"Ciò che conduce gli uomini all'arte e alla scienza è la fuga dalla realtà quotidiana"
(dal testo)
Impegnato a scrivere una versione apocrifa del Dottor Jekyll di Stevenson - di cui leggete un assaggio in forma di racconto sull'antologia La Prima frontiera di Sandro Battisti - sono andato a vedere la versione teatrale di Corrado Accordino al Libero di Milano (titolo esatto Jekyll e Hyde, ovvero io e la Bestia) carico di curiosità per suggere spunti eventualmente utili.
Tra luci e ombre ne ho trovati, anche se in una chiave di lettura diversa da quella che sto seguendo io, ma va detto che il testo è ricco di frasi e riflessioni ficcanti e stimolanti.
Andiamo con ordine: sprecati i primi cinque minuti in un'inutile introduzione metateatrale dei due attori (lo stesso Accordino, anche regista e drammaturgo, e Alessia Vicardi) che faticano a trovare appunto la chiave interpretativa giusta per la loro messa in scena, ma che secondo me si riduce a cercare l'effetto comico attraverso la frenetica ripetizione di un tormentone lessicale ("Tutto. Ma... tutto-tutto?"), entriamo finalmente nel vivo.
Scene (Lucia Rho) e costumi (Elisa Bianchini) guardano al realismo storico (il romanzo è del 1886, décor e abiti in linea) e non puntano all'attualizzazione del soggetto, anche se il testo di Accordino scarta decisamente la riproposizione fedele della trama del romanzo, impossibile in teatro (e forse oggi noiosa anche in un film), per presentare il conflitto chiave di Stevenson fra Bene e Male - e in particolare sul perché dell'attrazione verso il Male - articolandolo in quattro quadri in realtà anacroniostici, nel senso che si staccano via via sempre più dall'ambientazione vittoriana di riferimento per cercare l'attualità filosofica del tema.
1. il Male come atto creativo, che introduce la prima "infedeltà" al romanzo, interamente sviluppato al maschile. In scena il ruolo di Jekyll viene interpretato dalla Vicardi, che vediamo vergare allo scrittoio le angosce del tormentato dottore, mentre Accordino si è trasformato nel turpe Hyde grazie a una maschera di stracci (foto a sin.) che lo fa somigliare vagamente a una performance di Olivier de Sagazan (per intenderci, quello delle copertine di Ligotti del Saggiatore, cfr. qui a destra).
Questa scelta serve a metaforizzare - ci ha spiegato il regista - l'atto del generare, che è tipicamente femminile. Infatti più avanti vedremo Hyde poggiare il capo in grembo al Jekyll-donna, laddove il testo dice "tutti generiamo: corpi, figli, idee...".
2. Purtroppo, se "la carne si ammala di mortalità, le idee si ammalano di mostruosità". Quest'affilata metafora del conflitto di Stevenson (la più vicina alla mia impostazione della riscrittura letteraria), ripetuta più volte nel corso del breve spettacolo (un'ora soltanto), ci porta al secondo quadro, il Male dello specchio, ossia il confronto con se stessi. E se Hyde fosse la vera vocazione (ossia "superare i confini dell'umano"), o addirittura la parte migliore di Jekyll? Se quindi la Bestia fosse la nostra risorsa più grande, la tentazione il vero motore della nostra creatività?
3. Il Male come confronto con la psicanalisi (qui la Vicardi è psicologa di Jekyll), che ai tempi di Stevenson doveva ancora abbattersi sui solidi valori vittoriani, ci getta nell'anacronismo più manifesto: la Bestia qui è quella componente atemporale di noi, indipendentemente dal tempo in cui viviamo. "Il problema della scienza è il cuore dell'uomo" e "nessuno è un solo sé". Ma è anche dio, infatti, dice Jekyll, "non serve essere credente per giocare ad essere Dio".
Purtroppo il quadro psicanalitico viene schiacciato da un altro preponderante momento comico, basato sulla sostituzione di tutte le parole sgradite all'insofferente Jekyll ("normalità", "malattia", "perdita" etc.) con nomi di ortaggi: ne risulta uno spassoso dialogo tipo "Quindi lei ha perso la banana dopo una grave zucchina che l'ha resa un cavolo...", perché anche questo quadro ha spunti succosi, come ad esempio "la moralità è solo la regola del buon vicinato che ci permette di non sprofondare nel caos se esternassimo sempre tutto quello che realmente pensiamo" (cito a memoria, possono esserci lievi imprecisioni).
4. L'ultimo quadro è il "Male poetico" (dice Accordino, nell'intervista al TgR RAI3), travaglio necessario comunque per far germogliare la parte migliore di noi. Siamo al finale, Hyde si accoccola sul grembo della Madre, sempre la Vicardi, cui tocca chiudere il cerchio con una richiesta d'amore ("Aiutatemi ad essere il meglio di me"), che a mio parere - a dispetto del palese intento di giungere a una sintesi hegeliana del dualismo chiave del soggetto - scivola eccessivamente nel pistolotto moralista.
Tra le luci e le ombre, il Male e il Bene, quello di Stevenson (a sinistra una stampa dell'epoca) e quello di Accordino, noi fantarocker non possiamo non lodare il moderno sound design a cura di FA.DE Music Production, che dona stridori industriali ai cambi di quadro, schitarrate hendrixiane alle trasformazioni di Jekyll in Hyde e una canzone di Tom Waits in chiusura.
Non tutto brilla a gloria perpetua, forse, ma dato che "il mio problema è la mia fame di conoscenza", la visione è comunque foriera di spunti preziosi e quindi consigliabile, anche se ormai purtroppo è finita la tenitura al Libero e non possiamo che augurarvi di recuperare il lavoro in una prossima tappa teatrale che al momento non siamo in grado d'indicarvi.
Mario G