“La fotografia è jazz per gli occhi. Quello che vi chiedo è di ascoltare la musica attraverso i vostri occhi”, disse William Claxton dell’arte in cui poi è diventato un monumento, proprio rappresentando i musicisti che amava e donando loro una nuova dimensione: quella della vita quotidiana, oltre a quella notturna e fumosa dei jazz club in cui esprimevano la propria arte. E che lui inseguì sulle strade d’America, spesso accompagnato dal musicologo Joachim-Ernst Berendt, il cui Nuovo Libro del Jazz (copertina qui a sinistra) campeggia anche sullo scaffale del vostro scribacchino, con dedica di Paolo Conte, cui il 13 novembre spetterà il compito di chiudere la terza edizione di JazzMI col suo concerto al Teatro Arcimboldi per i 50 anni della sua Azzurro.
“Sai, a volte anch’io faccio qualche foto ai concerti, anche se non sono certo un mostro della tecnica: uso un corpo macchina Cosina con uno zoom universale Tamron, che costa meno degli originali Pentax…”
“Beh, allora direi che hai tutto quel che ti serve, amico mio. Non ti resta che andare e fotografare”.
Questo invece William Claxton lo disse direttamente all’umile sottoscritto una ventina d’anni or sono, quando lo incontrai in occasione di una sua mostra alla Galleria Sozzani di Corso Como. Ormai secoli fa: allora si fotografava ancora in pellicola e il buio dei concerti ci imponeva di tirare le sensibilità (che al massimo arrivavano ai 1600 ASA) fino a 3200, con immancabili effetti di sgranature, oppure tempi lunghi di scatto con immagini conseguentemente mosse, anche se a volte imprevedibilmente espressive…
Però il Maestro doveva aver ragione, se qualche anno dopo alcune mie foto sono andate in mostra allo Spazio Oberdan accanto ai big nostrani della fotografia musicale, nella mostra sui 10 anni della rassegna Suoni & Visioni e poi in qualche altra piccola mostra. Certo, nulla di paragonabile al peso massimo che Claxton (1927-2008) rappresenta nell’iconografia del jazz che infatti, se esiste, poggia fondamentalmente su Herman Leonard e su di lui.
In particolare, Claxton fu l’artefice dell’iconizzazione di Chet Baker nell’archetipo del musicista bello e maudit che vedete riprodotte in molte copertine dei suoi dischi (come vedete qui sopra a destra ad esempio) e che tanto portò al successo planetario del trombettista del cool californiano, che infatti vedete ripreso in due scatti storici nella piccola galleria che qui vi offriamo in anteprima della sua imminente mostra alla Triennale di Milano.
Infatti, l’edizione 2018 di JazzMI (a Milano dall’1 al 13 novembre prossimi) s’inaugura proprio il primo di novembre con la sua mostra itinerante Jazz Life, che approda nel nostro Paese per la prima volta negli spazi della Triennale, ente che peraltro del festival è uno dei partner principali nonché sede di molti concerti, presso l’annessa sala del Teatro dell’Arte e insieme al Blue Note, al Conservatorio, al Teatro Arcimboldi e così via, occupando location illustri e quartieri periferici della metropoli.
Oltre a quelle che avete visto qui sopra, la mostra del “jazz visuale” di William Claxton comprende immagini di Charlie Parker, Count Basie, Stan Getz, Miles Davis, Thelonious Monk e molti altri giganti assoluti del sound in bianco e nero, da cui è sempre emozionante farsi ispirare.
Specie quando si è in cammino per seguire gli itinerari del JazzMI 2018, che porterà i concerti degli epigoni contemporanei di quei pesi massimi (per esempio, qui a sinistra l'attesissimo duetto John Zorn/Bill Laswell in una foto ripresa in un concerto a San Francisco), oltre a presentazioni, proiezioni e incontri coi musicisti stessi in ogni angolo del capoluogo lombardo, in una nebulosa di suoni e fusioni pressoché impossibile da districare ma in cui sarà fantastico perdersi.
A mo’ di bussola noi vi abbiamo proposto un personalissimo menu di concerti (arbitrariamente) imperdibili, che trovate nel mio articolo ospitato su MediaTrek.
Come abbiamo segnalato anche lì, i sensi di colpa ci assediano per i molti nomi validissimi che inesorabilmente abbiamo lasciato negletti: a voi il "giallo" di scoprirli e valorizzarli, infatti si va dagli YellowJackets, titani della fusion dal '77, agli sperimentali Yellow Squeeds di Francesco Diodati (di casa Auand).
Ma nel jazz – direbbe Claxton – ognuno deve svilupparsi il suo film (in bianco e nero o giallo). Quindi immergetevi, fate le vostre scelte e buone… visioni sonore!
Mario G