Ricordate La Casa delle Conchiglie (la cui sfiziosa copertina costò al vostro recensore una settimana dietro la lavagna di Facebook!)? Bene, a dispetto della (o magari anche grazie alla) peccaminosissima copertina, deve aver dato abbastanza soddisfazioni al suo editore, dato che a distanza di circa un anno Hypnos ci offre già un seguito fresco fresco del raffinato romanzo occulto-libertino di Ivo Torello.
S’intitola La Gorgiera della Contessa Sanguinaria, vol. 1 del nuovo ciclo Gli strani casi di Ulysse Bonamy: sequel in un certo senso apocrifo perché – pur parto del medesimo autore – in realtà in questo nuovo romanzo breve (120 pagine contro le 400 de La Casa delle Conchiglie) l’ambientazione, che del precursore era un po’ il vero protagonista, cambia decisamente.
Ora ci troviamo sempre a Parigi, ma non più nel 1860 bensì negli anni ’20 della Belle Époque; il celebre bordello di lusso dal pavimento di conchiglie c’è ancora ma sta sullo sfondo della vicenda, anche se alla fine sarà proprio la magia “bianca” della sua tenutaria Madame Sabatière, ormai novantenne, ad aiutare il protagonista a salvarsi dal pericolo d’incantesimi assai più “neri”.
Già, perché – prima di tutto – c’è anche un nuovo protagonista, come presagite sin dal titolo: Ulysse Hilaire Bonamy (sagacia di Torello scovare anche nomi propri che “sappiano d’epoca”), simpatico gaglioffo d’elastica moralità, non si sa come buon conoscitore d’arte e ladro di opere per facoltosi acquirenti, insomma un “faccendiere” nel giro degli antiquari, dei collezionisti di – ça va sans dire – squisiti cimeli del più bizzarro e proibito libertinaggio; quindi, parimenti malvisto nell’opposta trincea degli sbirri.
Dalla casa di piacere, lo scenario si sposta sulle tavole di un piccolo cabaret da cui all’improvviso sparisce una ballerina di dubbia fama, in realtà figlia di facoltoso capitano d’industria: rapimento o messinscena? A dipanare l’ambigua matassa viene ovviamente chiamato il riluttante Bonamy, improbabile cocktail di Poirot e Lupin che, col suo disinvolto impiego delle arti occulte (dall’unguento per avere visioni extracorporee agli anelli nuziali per sentire i pensieri di chi li porta), potrebbe in realtà ricordare un John Constantine francese, meno cinico e certamente meno straziato dal peso delle colpe che gravano sulla sua coscienza (a destra una copertina del fumetto by Dave McKean).
In realtà – a dispetto del fiero antimodernismo sbandierato dall’autore – sono parecchi i riferimenti fra il suo lavoro e quello del celeberrimo fumettista Alan Moore (papà anche del citato Hellblazer): non solo la maliziosa copertina (in apertura) disegnata da Elena Nives Furlan, che ricorda l’erotismo Art Nouveau di Lost Girls (a sinistra), ma soprattutto quella che secondo me è la più felice griffe del Torello, cioè far girare sulla sua giostra personaggi di fantasia inframezzati da figure storicamente esistite in un’epoca dettagliatamente dipinta.
Qui ad esempio troviamo i pruriginosi scatti di Alfred Cheney Johnston, fotografo americano di stelline discinte delle Ziegfeld Follies (a sinistra un suo elegante bianco e nero d’epoca), accanto al Levot fotografo di bellezze dell’altrettanto immaginaria Maison des Coquillages. Tecnica portata all’apoteosi proprio da Moore con La Lega degli Straordinari Gentlemen e dalla sua saga a nuvolette passata di peso nella serie tv Penny Dreadful (a destra copertina del fumetto tratto dalla serie con Eva Green).
Ma forse questo è un abbaglio di noi squallidi modernisti (*) e Torello nel suo omaggio alla golden age dei pulp magazine come Weird Tales (a sinistra un esempio di copertina della rivista degli anni ‘30) si è semplicemente abbeverato alle stesse fonti di Alan Moore e del suo epigono showrunner John Logan: il Conan Doyle più mystery, immaginiamo, insieme a quei detective dell’occulto come il Thomas Carnacki di William Hope Hodgson (destra un'edizione internazionale), l’Harry Escott di Fitz James O’Brien, lo Steve Harrison di Robert E. Howard, o il Moris Klaw di Sax Rohmer, tra l’altro papà del popolarissimo genio del male noto come Dr Fu Manchu (e notate il malizioso ricorso ad appetitose damsel in distress in tutte le copertine dei pulp dell’epoca, come nella fiorente trasposizione cinematografica con Cristopher Lee).
Peraltro, Fu Manchu è un cattivone metafora (in America) del “pericolo giallo”, quindi qui non ci riguarda (anche perché la tematica è già ottimamente sviscerata in quest’articolo su Giornale POP): eppure, quei “lunghi baffi che gli coprivano completamente il labbro superiore e gli davano l’aria del tricheco” non avvicinano un po’ il pervertito antiquario edonista Detanger a un affilato (“alto, secco e ben vestito”) Fu Manchu francese?
Il suo ruolo ne La Gorgiera della Contessa Sanguinaria è infatti quello dell’ambiguo collezionista di torvi cimeli, come il rosario delle indemoniate di Loudun (cfr. Huxley/Russell), fatto di ossicini di neonato sacrificato, il cranio di Gilles de Rais e i “peli pubici di Maria la Sanguinaria”. È lui che anela ossessivamente all’inamidato colletto di Erzsébet (nel libro tradotto Elisabetta) Bathory, la famigerata Contessa Sanguinaria del titolo, su cui scrisse il fondamentale romanzo omonimo la surrealista Valentine Penrose nel 1962 (lo trovate su ES, 2004). Tornando alla trama di Torello, pare che l’ambita gorgiera consenta a chi la veste di rivivere magicamente le raffinate torture inflitte dalla spietata nobildonna ungherese alle innumeri fanciulle sue vittime, come in un lascivo film snuff onirico.
È qui che la struttura del giallo occulto della novella di Torello si ricollega alla sua matrice originaria: il duello esoterico fra due opposte filosofie di vita, quella gaudente e solare del buon furfante Bonamy contro quella funesta e sadica di Detanger (cui almeno spetta la battuta più folgorante del libro: “Gradite qualcosa da bere? Dei dolcetti? Volete che la mia cameriera vi pratichi una fellatio? È davvero brava, e con quella bocca fa cose fenomenali.”!).
Come nel capostipite, l’autore usa questa struttura per celebrare le proprie passioni artistico letterarie, togliendosi anche qualche sfizio, come la goliardica parodia del militaresco Futurismo, ad evidenza arcinemico del suo fiero passatismo. Ed è in questa querelle estetico filosofica che si gusta il miglior succo della sua storia, assai più che nella costruzione del giallo (abbastanza semplice), della suspense (estranea al suo feeling, a dispetto del ricorso alle memorie degli episodi più crudeli della storia europea) o di un reale orrore sovrannaturale, che il suo mood ironico e salottiero sostanzialmente gli preclude.
In realtà, Torello – a dispetto del suo aristocratico disprezzo per ogni modernità – col Bonamy non ha fatto che mettersi sulle tracce dei giallisti italiani di questo scorcio di XXI secolo da lui tanto aborrito: ha dato vita a un personaggio di ladro-detective un po’ guascone ma in fondo tanto simpatico, una piacevole variante Anni Ruggenti dei vari Gorilla, Alligatore etc. che da anni occupano gli scaffali del giallo delle librerie italiane.
Ad ogni buon conto, La Gorgiera della Contessa Sanguinaria si legge d’un fiato, ancor più per la sua estensione così snella. Se ben sostenuto sul piano promozionale, potrebbe diventare addirittura un buon giallo da spiaggia 2019. E, soprattutto, serializzabile come tanto usa: il vol. 2, L’harem delle vergini dannate, è in arrivo per dicembre: nessuna anticipazione sulla trama, ma se quell’harem ci portasse magari un nuovo “Fu Manchu” metafora del molto attuale “pericolo islamico”… ok, regaliamo lo spunto d’attualità all’autore!
Mario G.
N.B.:
(*) Sulle fonti d'ispirazione per la creazione del personaggio s'è espresso l'autore stesso: essendo il suo articolo uscito a seguito del nostro, abbiamo preferito lasciare inalterato il nostro testo e proporvi il suo punto di vista QUI.
A proposito, non ditelo a Torello, sarebbe capace di piantarvi un pippone letale anche sulla musica – dove “dopo Stravinskij non è stato inventato più nulla” e così via – ma è giusto che il fantarocker in voi sappia che la Comtesse de Sang, come molti suoi colleghi serial killer, oltre al terzo episodio dei Racconti Immorali di Borowczyk, ha ispirato anche parecchia musica rock: dal nome dei metallari Bathory, già citati nel saggetto su Suspiria/Climax, a canzoni di Venom, Slayer, Cradle of Filth, Ghost e Siouxsie and the Banshees. Oltre alla glaciale Buried Dreams dei Clock DVA del 1990, per chi scrive il vertice del deliquio sadosonico.