Un'esperienza estrema, va detto subito, come ne ricordo poche nel mio pur lungo corso di cinefilo pulp.
Satirico, grottesco, sanguinario e politicamente scorretto, alla fine splatter oltre ogni soglia del kitsch, The Substance, solo secondo lungometraggio della francese Coralie Fargeat (e primo in inglese) è destinato a dividere il pubblico tra chi lo adorerà come nuova frontiera del visibile - accanto ai 'cugini' Titane, Crimes of the future, the Neon Demon e oggi Kinds of kindness di Lanthimos - e chi lascerà la sala tenendosi lo stomaco dal disgusto, come gli orripilati spettatori dello show del finale in teatro.
Da qualunque parte starete, probabilmente rimarrà inscritto fra i futuri classici dell'oltre, come la stella della protagonista Elisabeth Sparkle (Demi Moore, bravissima) nella Walk of Fame hollywoodiana.
La storia è ormai nota: Demi/Elisabeth, cinquantenne ex star da Oscar ora pseudo-JaneFonda di un programma tv di aerobica per signore, viene silurata in quanto "vecchia" dall'odiosissimo tycoon Dennis Quaid, in cerca di "nuova carne" per gli ascolti del suo network.
Depressa, prova il misterioso nuovo farmaco del titolo, che promette una scissione del DNA con partenogenesi di un nuovo sé, più giovane, bello e performante per il canuto paziente. Il prodotto fa ciò che promette: la giovane Maragret Qualley/Sue sbuca dalla schiena della Moore, la sutura alla meno peggio con ago e filo (facendoci drizzare i peli!) e subito fa il suo ingresso trionfale nel mondo da novella Barbie strafiga puntando subito a recuperare il ruolo perduto in tv.
Naturalmente vince, anzi stravince, come una brava ochetta patinata funzionale allo star system; solo che adesso vive da "Doriana Gray" solo a metà: a una settimana di vita nel dorato regno del sexy successo ne segue una di ritorno nelle spoglie della cinquantenne di prima, sempre più pesante e inaccettabile ormai: qui il film della Fargeat tocca probabilmente il suo culmine filosofico e malinconico, nell'incontro al bar con un ancor più anziano "collega di Substance", che le conferma dolorosamente ciò che appunto la "ex Sparkle" comincia a sentire, ossia che la settimana "da vecchia" diventa vieppiù un tempo morto di cui non si sa che fare, in attesa di ritornare a godersi la "teenage wildlife" della giovinezza.
Sarà questa brama divorante a portarla alla caduta di Icaro: dilatando a tradimento la vita di Sue, accelera parallelamente l'invecchiamento di Elizabeth, che ben presto si trova reclusa in casa, prigioniera di un corpo mostruoso e inguardabile (qui sotto a sinistra un momento della preparazione di Elisabeth-mostro).
Se il concept satirico potrebbe ricordare black comedy come La morte ti fa bella, la regista francese per il suo moderno Jekyll & Hyde femmini(le)sta cita capisaldi dell'intera storia del cinema come una vera "Tarantina": gli ambienti gelidi della tv e quelli squallidi e vuoti dove rifornirsi di 'substance' rimandano al Cronenberg di Videodrome/eXistenZ, i molti momenti body horror (iniezioni, suture, deiezioni) il Canadese più storico, il transfert nella nuova identità sembra il trip "oltre l'infinito" dell'astronauta Bowman di Odissea nello spazio (da cui viene ripreso anche il celeberrimo tema di Zarathustra di Strauss), mentre la trasformazione di Demi/Elizabeth in mostruosità abnorme ricorda La Mosca ed Elephant Man.
Invece, il finale splatter grottesco - vero limite del film perché ridondante (a parte il ribrezzo) su un concetto già ben chiaro - accumula La Cosa di Carpenter alla massa carnosa di Society di Yuzna e forse anche sì, ai fiotti di sangue in teatro di Carrie (still a destra).
Va detto che, nonostante l'orgia gore nel finale, The Substance è pieno di momenti di cinema davvero notevole: parrà poco (specie dopo), ma l'incidente in auto in soggettiva di Elisabeth è probabilmente quello che più mi ha spaventato davvero al cinema. I molti momenti in cui la coraggiosissima Demi Moore si osserva (e quindi si mostra a noi) nuda allo specchio del bagno candido sotto luci glaciali, contemplando con orrore i primi segni d'invecchiamento (peraltro in un corpo in realtà 62enne da far subito la firma per arrivarci così!) e i già accennati raccapriccianti interventi di iniezione, sutura, suzione di fluidi vitali. Ma anche gli amplificati rumori suini del Quaid che ingolla gamberoni mentre silura senza pietà la sua ex star (a sinistra).
Poi l'angusto ufficetto in cui lei ritira il prodotto senza mai incontrare alcun operatore umano, che mi ha fatto pensare a un box racconta di Amazon; e la voce asettica dell'assistenza sulla "Substance Experience" che seccamente informa la protagonista che quella che lei ormai considera la sua "rivale" giovane che le sta rubando la vita condannandola a precoce deperimento NON è "un'altra persona" ma lei stessa, facendoci così riflettere sul fatto che - se ci sembra di vivere nel plastificato mondo globalizzato di Barbie - non è "colpa di Amazon", delle multinazionali in genere etc. Perché Amazon non è altro che l'efficiente spedizioniere di ciò che noi abbiamo liberamente dichiarato di desiderare.
Quindi, nonostante l'orrenda miseria di tutti i personaggi maschili del film, la Fargeat è abbastanza equanime nel mostrare due personaggi femminili (due alter ego) che accettano senza esitazione di essere valutate secondo i loro canoni maschilisti, condannandosi con le proprie manine al ruolo di "Barbie dell'orrore".
Una tesi lineare e un tantino programmatica, si può dire, senza quelle affascinanti zone d'ambiguità dei citati Cronenberg e Ducourneau, ma sicuramente attuale e servita con stile che meno politically correct non si potrebbe.
Tesi che pertanto non avrebbe avuto bisogno dell'esplosione blood & gore del finale, troppo lunga e spinta fino ai limiti del grottesco, che rischia sempre di stemperare la critica sociale bella risata grassa da pop corn movie demenziale. Ma è l'unico limite, questo, di un film che - se siete forti di stomaco - va visto assolutamente (dal 18 ottobre in sala per I Wonder) e che come dicevamo si candida ad essere ricordato come una delle metafore più estreme della follia contemporanea, raggelato nella colonna sonora electro di Raffertie.
Mario G