Premesso che non conoscevo ancora il regista Bertrand Bonello e non ho letto la novella La bestia nella giungla di Henry James (1903) cui il film è liberamente ispirato, le mie riflessioni si appuntano unicamente alla pellicola (a destra il poster ufficiale, sopra e ai lati alcuni still dal film), che non sono in grado di confrontare con la sua fonte letteraria.
The Beast (La Bête), girato nel 2023 e giustamente definito "romance distopico", occupa ben 126 (eccessivi) minuti in un'attorcigliata, complicata vicenda di eterno ritorno nelle vite di due sfortunati amanti, i pur capaci Léa Seydoux e George MacKay, impegnati in interminabili e anche noiose sequenze di dialoghi sussurrati sempre con lo stesso tono anodino, che puntano alle vette della filosofia esistenziale très française ma rischiano di mettere in difficoltà lo spettatore, che fatica a capire non solo come e perché la vicenda si sposti da un tempo all'altro (per questo in fondo c'è sempre la famosa sospensione), ma soprattutto le motivazioni ultime del vagare dei personaggi in ciascuna epoca e delle loro azioni.
Non essendomi risultate chiare le dinamiche della trama, farò quel che di solito rifiuto: ve la copio dalla Wiki, così evito quelle astute reticenze del critico che per non dire di non aver capito un tubo s'inerpica in discorsi sull'autorialità (QUI un preclaro esempio). Nella Parigi del 2044, quando l'intelligenza artificiale ha sostituito gli esseri umani in pressoché ogni campo, una donna e un uomo che sentono di conoscersi senza essersi mai visti si sottopongono a un procedimento per "ripulire" il rispettivo DNA dalle emozioni superflue, rivivendo le loro vite precedenti da amanti sfortunati: nel 1910, come membri dell'alta società parigina della Belle Époque all'alba della storica alluvione della Senna, e nella Los Angeles del 2014, dove lei è un'attrice in erba e lui un misogino che ne diventa ossessionato.
Fin qui sembrerebbe tutto tranquillo: una sorta di moderno L'anno scorso a Marienbad (o L'invenzione di Morel, stessa fonte) crosstemporale, in cui però spunti e temi si accumulano senza mai sciogliersi.
Una misteriosa veggente (Elina Löwensohn, qui a destra, attrice feticcio di Bertrand Mandico) spiega a Gabrielle/Léa che "in futuro sarà accettato da tutti ciò in cui oggi credono solo alcuni mistici", cioè in pratica che ognuno di noi vive diverse vite.
Questa dovrebbe essere la ratio sottostante all'eterno ritorno dei due inconsapevoli (non) amanti, che vediamo prima in abiti ottocenteschi, poi in una fabbrica di bambole lungamente illustrate, vittime della citata (e reale) alluvione che sommerse Parigi: la sequenza della nuotata nel tunnel invaso dall'acqua è probabilmente - oltre che una citazione di Inferno di Argento (qui sotto) - la più drammatica e toccante del film.
Poi vediamo Gabrielle entrare nello stesso locale (sotto a destra, dal geniale nome di Fractal) nel 1963 (dove si sente Sarà Così di Gino Paoli, rinnovando la passione del cinema francese per il pop italiano rétro), nel 1972 (dove si balla con le Pointer Sisters), nel 1980 (scatti nervosi su Fade to grey dei Visage) e poi in tempi moderni (i brani Fractal part 1 e 2 sono composti dallo stesso regista e siamo nella techno dura), immagino 2014 e 2044, in cui la protagonista rivive la stessa situazione di esclusione: da sola in discoteca, chiede di sedersi a un tavolo occupato da tre bellone (ogni volta agghindate in figheria coerente coll'epoca) le quali la mandano via ogni volta in malo modo, ritenendola incapace di "andare fino in fondo". A cosa? All'immancabile situazione lesbo, prescritta dal medico ai registi d'oggi? Probabilmente sì: in effetti la proposta viene poi avanzata alla protagonista anche dalla bambola Kelly (Guslagie Malanda, qui sopra a sinistra con Léa), sorta di servile assistente digitale "Siri" in carne (nera) e ossa, da cui però Gabrielle cortesemente si ritrae, senza che a noi poveri spettatori venga offerta mai alcuna chiave di lettura per questi accadimenti.
Altro elemnto ricorrente esotericheggiante è il piccione che - ci viene spiegato - se ci entra in casa annuncia una morte, la nostra o quella di una persona cara. E il tema dell'incombenza di un fatto imprevedibile ed enorme in agguato sopra la nostra vita, collegamento col racconto di James, ricorre in effetti più volte nel film. E' quest'incombenza che spinge nel passato Gabrielle (che si dichiara sposata a un uomo amato e che l'ama), nel presente George a ritrarsi dall'incontro amoroso, Che, quando viene tentato, sfocia in un imbarazzante scambio di persona: Gabrielle crede di baciare George, ma all'improvviso si trova sovrastata da un altro uomo che respinge con terrore (e sconcerto del vostro umile recensore): forse è la versione moderna di quell'ingombrante marito?
Alla fine, Louis/George finisce per sovrapporsi alla figura di Elliot Rodger, reale serial killer di una strage californiana del (vero) 2014, diventando uno psicopatico misogino che vuole punire le donne che lo rifiutano e quindi si accanisce per prima sulla protagonista, che invece farebbe dei tentativi d'andare verso di lui, in una rarefatta ambientazione - la Los Angeles futura viene efficacemente (ed economicamente) resa con un'ambientazione pressoché contemporanea - di strade (forse "covidianamente") quasi vuote, poche auto e poca gente in giro, scambi interpersonali come dicevo freddi e in qualche modo sempre "sordinati".
Non vi svelerò ovviamente il finale, ma sembra che Gabrielle non riuscirà a liberarsi del tutto dalle aborrite emozioni che la rendono così fallibilmente umana, quindi non avrà il lavoro che agognava all'inizio. Né noi le nostre due ore e mezza di vita nell'era devastata e vile delle AI strizzateci dal Bonello.
Dopo l'anteprima di stasera (21 novembre) al Fantasticon Film Fest di cui s'è detto, bizzarro inizio "autoriale" per un festival che punta più su generi "pop" come anime, fantasy, videogiochi, effetti speciali e cosplayer, I Wonder distribuisce coraggiosamente The Beast/La Bête nelle sale italiane: opera impervia e secondo me troppo irresoluta, benché ben girata e con parecchie belle immagini algide; prevedo che non sarà una programmazione facile.
Predisponetevi a intensa concentrazione.
Eddie Hyde
PS: tutte le foto del film sono di Carole Bethuel (courtesy I Wonder, via ufficio stampa Echo Group)