Può un sagace montaggio non lineare di una classica trama di caccia al serial killer generare un film appassionante?
Il punto è tutto qui, perché senza quella struttura (tarantiniana assai) a sei quadri staccati dai relativi cartelli col titolo e logicamente rimescolati, Strange Darling (poster qui a destra e sopra) sarebbe la festa dell'uva dei più noti cliché del thriller made in USA (dove tutti hanno almeno una pistola in tasca o in casa).
Mentre, così frammentato, ci mitraglia un colpo di scena dopo l'altro, per scoprire - come accade ai personaggi secondari del film - cos'è realmente accaduto fra la bionda signorina e il suo muscoloso inseguitore, ribaltando più volte sapidamente le attese generate implicitamente dalla nostra logica lineare su chi sia il vero killer e chi la vittima.
Quel che si può riassumere senza spoilerare è davvero poco: Lei (Willa Fitzgerald, molto convincente) rimorchia quel tonto di Lui (il baffuto Kyle Gallner, anche lui ottimo americanone medio) per una notte di sesso occasionale in un motel. Essendo i due sconosciuti, Lei si premura di fargli capire che rischio rappresenti sempre l'azzardo di un po' di divertimento trasgry per una donna: "voi credete che a noi non piaccia, invece ci piace eccome, ma hai idea del pericolo? Mi prometti che tu non sei un serial killer?" (citiamo a memoria il dialogo, potrebbe non essere filologico ma il senso è quello).
Però il film si apre proprio con Lei (benché bionda invece che rossa come appare nell'incontro) che scappa a gambe levate in un bosco inseguita dall'energumeno armato di fucile Winchester (sotto a destra): allora la promessa era falsa?
Un momento: tornando nel motel, scopriamo che però è stata proprio Lei stessa a richiedere d'essere ammanettata e strangolata per un bel "famolo shtrano" ché è il mio compleanno.
Allora chi ha superato i limiti?
Lei si rivela poi anche una vera rompicoglioni, che induce comprensibilmente Lui a seccarsi e ammanettarla di nuovo dandole qualche scapaccione non più per gioco ma per rabbia e reale desiderio di ristabilire i ruoli. Ma quali?
Perché Lei a questa svolta va in brodo di giuggiole, quindi era proprio quel che voleva... però poi invoca la safeword (che nei giochi s/m è il limite convenuto da ambo i partner per non rischiare oltre il desiderato). Quindi il gioco si complica, anche grazie a qualche bustina di polvere bianca: chi davvero ha tradito le regole?
Altro non si può dire ma state tranquilli che si capirà chiaramente: Strange Darling cammina sul filo teso fra Pulp Fiction e Memento, due film (e che film!) basati appunto sui cliché del neo noir scompigliati da un montaggio non lineare; non entra nel giardino del compianto Lynch delle identità sfuggenti. Comunque, un film che oggi riesce ancora a distillare un succo a sorpresa da proteggere per non guastarlo prima della visione - non facendoti pesare uno solo dei suoi 96 minuti - è già una festa, in un cinema di genere fin troppo seduto sulle citazioni e le strizzatine d'occhio a tòpoi già noti allo spettatore.
La regia del quasi esordiente JT Mollner è adrenalinica e non ci lascia tempo per porci troppe domande sul già visto o meno, e questo è bene, poi è abilissima nella costruzione di ambienti tarantiniani alla Natural Born Killers fra i redneck dell'Oregon agreste (impagabili i due vecchi hippie campagnoli di Barbara Hershey ed Ed Begley Jr qui a sinistra). Eccellente la fotografia del coproduttore Giovanni Ribisi (nel motel a quadri monocromi quasi argentiani) e notevole la colonna sonora della bionda cantautrice losangelina Z Berg, tutta basata su morbide ballad acustiche sussurrate (sotto a destra la copertina), ideali per l'ambientazione ma violentemente stridenti coi contenuti drammatici della trama, che porta a compimento quello che definivo "spiazzamento tarantiniano" in una puntata del mio Sound Invaders a Wonderland anche nella composizione di brani inediti.
Se è vero che Mollner ha confezionato il tutto con un budget tra 4 e 10 milioni di dollari bisogna riconoscergli che ha utilizzato al meglio i suoi mezzi e gran merito alla spagnola Vértice 360 proporci in sala (dal 13 febbraio) questa piccola chicca, che pure in patria non ha strafatto cogli incassi. Perché vale davvero la pena di farsi sfidare dall'arguzia sceneggiatoria del regista, che ci spinge più volte a riflettere su come può essere facile per un killer recitare credibilmente la parte della vittima con chi si trova ad osservare la cosiddetta crime scene.
Meditate, meditate. Raramente accade che sia così... fibrillante farlo.
Mario G.