"We were rare birds, we made magic on some fallen star, and we were perfectly timeless..."
(Jonathan Wilson, Rare Birds*)
Concludendo il mio Sound Invaders (Wonderland, Rai4, 21/07/2020) dedicato al super cofanetto The Later Years dei Pink Floyd, dicevo che - se The Endless River davvero resterà il loro ultimo parto discografico - dovevamo sbrigarci a prenotare i biglietti per il prossimo "great gig in the sky".
Non è stato (ancora) necessario: in questi giorni è planato al Forum di Assago Roger Waters, l'altro ramo della Floyd family ormai inesorabilmente scissa, per ben 4 date del suo This Is Not A Drill "first farewell tour" (con squisito ossimoro surreale sul "primo addio"?!). Sono venuto meno per una volta al mio rifiuto morale per i concerti spettacolari e costosi nei grandi spazi e ho visto la data di martedì 28.
Prossimo agli 80 anni, facile che questo sia davvero un addio ai palchi; sempre in guerra con Gilmour, di certo non vedremo mai più i tre Floyd superstiti ancora in scena insieme, magari con un Brain One (pardon, Brian Eno!) alle tastiere in luogo del compianto Wright, come sognerei io. Ma Roger è fatto della pasta indistruttibile dei Grandi Antichi del Rock (come Dylan, Jagger, McCartney, Plant, Springsteen): a 79 suonati è ancora in forma e trotta su e giù, a destra e a sinistra del nuovo palco ipertecnologico che è la vera novità spaziale del suo luna park 2023; al centro dell'arena, visibile a 360 gradi dal pubblico che lo circonda, non lascia mai nessuno 'di spalle' rispetto alla scena. Quando lui è su un lato a cantare, il megaschermo a croce ce lo rimanda su ogni lato del poliedro spaziale, ripreso dalle videocamere a definizione più che cinematografica, sembra d'avercelo ovunque di fronte, mixato col consueto caleidoscopio psichedelico di filmati, schegge animate di The Wall, cartoon-clip completamente inediti per visualizzare ogni brano della lussureggiante scaletta (che vi riproduciamo completa in calce).
Canta ancora energicamente (anche se lascia al chitarrista Dave Kilminster e alle coriste Amanda Belair e Shanay Johnson le parti vocali più acute di Money e, se ricordo bene, Any Colour You Like), suona basso, chitarre acustiche ed elettriche, spesso siede al piano, soprattutto per la lunga The Bar, inedito che viene spezzato in due parti: nella prima parte del concerto viene presentato come "luogo dell'anima, in cui ritrovarsi a riflettere e a scambiare opinioni con gli amici", mentre nel finale della seconda parte è un omaggio al fratello maggiore morto lo scorso anno "con un paio di versi rubati a Sad Eyed Lady of the Lowlands di Dylan".
In mezzo scorre un lussureggiante fiume di Wish You Were Here, in cui riluce il sax di Seamus Blake, poi tutta la seconda parte di The Dark Side of the Moon, che quest'anno ne compie 50 di onorata classifica, assaggi dell'appena ristampato Animals (Sheep, con mega-pecora volante, vedi link in calce), diverse canzoni di The Wall e gemme sparse dei suoi concept album solisti successivi allo scisma, Amused to Death e Is This the Life We Really Want?
Nonostante commossi ricordi (e riprese in b/n) dell'amico Syd Barrett, nulla che risalga più indietro del lato oscuro della luna (ottavo album del quartetto), menchemeno all'Alba del Pifferaio Syd: per quei brani storici bisognerà aspettare il ritorno la prossima estate dell'altro ramo cadetto della Pink galaxy, i parimenti brillanti Saucerful of Secrets del batterista Nick Mason, che sembra rimasto l'unico depositario delle chiavi dei "Cancelli dell'Alba". E' questa una delle più dolorose contraddizioni della Waters-vision che travagliano anche il sottoscritto e non vi so spiegare, ma... tant'è.
Perdiamoci allora nelle policromie del monolito a croce: ora stele da odissea nello spazio, ora grattacielo ora videoinstallazione psichedelica quanto mai ce n'è stata una, ora schermo di agghiaccianti tg sulla violenza predominante nel globo; Roger da sempre non gira intorno alle sue posizioni politiche e questa probabilmente è la performance in cui le spara più dirette. Ce n'è per tutti: Reagan, Trump - definiti senza mezzi termini "criminali di guerra" - ma persino Obama e il "nuovo" Biden ("he just started"); posizioni indurite sicuramente dal poco promettente clima generale, in cui l'Orologio dell'apocalisse da lui esplicitamente citato non è mai stato così vicino a una terza guerra mondiale nucleare, che sancirebbe il "final cut" della razza umana sul pianeta azzurro facendo brillare i "due soli al crepuscolo" dell'omonima canzone eseguita in chiusura di concerto.
Ce n'è anche contro la disinformazione organizzata dai media (con riferimenti espliciti e sostegno al caso Assange), contro l'esecrata ingordigia capitalista: il maiale volante si libra su di noi durante Money, invitando a "steal from the poor - give the rich". Waters è rimasto sempre fedele ai suoi ideali dell'era hippie, anche adesso che siede alla cloche di uno show ipertecnologico che si serve della più avanzata tecnologia dello spettacolo capitalista, offerta ai suoi devoti a prezzi non proprio popolari (i biglietti più "proletari" sfiorano i 100 euro, il "vip pack" più di lusso supera i 360!).
Non si sa se indignarsi per come sta andando alla rovina il pianeta, strabiliarsi per l'abbagliante bombardamento immaginifico o commuoversi al suono dei classici intramontabili che probabilmente non sentiremo più.
Esaltiamoci, sì, perché almeno una volta ci siamo stati (purtroppo, personalmente non ero mai riuscito a vedere in concerto i Pink Floyd finora, né uniti né divisi). Abbiamo visto "navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, (...) raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti NON andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia". Quando cioè il destino ci toglierà anche i duellanti Waters, Gilmour o il nostalgico e più pacifico Mason, portando il nostro orologio generazionale un passo più vicino alla fine di quell'era dei giganti fondatori della chiesa del rock, la cui grandezza - come forse quella dei divi della Hollywood della golden age - non potrà mai essere eguagliata da alcun epigono.
"Volatori rari. Perfettamente senza tempo"*.
Mario G
(*) La citazione è tratta dall'album omonimo, il più pinkfloydiano di Jonathan Wilson, già al secondo tour come chitarrista di Waters. Forse involontariamente, ma mi è parsa una perfetta metafora dell'irripetibile viaggio del bassista e dei Pink Floyd tutti nella musica del XX secolo.
SETLIST (dal sito musicadalpalco):
Comfortably Numb – Cover di Pink Floyd
The Happiest Days of Our Lives – Cover di Pink Floyd
Another Brick in the Wall, Part 2 – Cover di Pink Floyd
Another Brick in the Wall, Part 3 – (da The Wall)
The Powers That Be – (da Is This the Life We Really Want?)
The Bravery of Being Out of Range – (da Amused to Death)
The Bar (inedito)
Have a Cigar – Cover di Pink Floyd
Shine On You Crazy Diamond (Parts VI-VII, V) – Cover di Pink Floyd
Wish You Were Here – (da Wish You Were Here)
Sheep – (Cover da Animals)
Set 2:
In the Flesh – Cover di Pink Floyd
Run Like Hell – (da The Wall)
Déjà Vu (da Is This the Life We Really Want?)
Déjà Vu (Reprise)
Is This the Life We Really Want? (da album solista omon.)
Money – Cover di Pink Floyd
Us and Them – Cover di Pink Floyd
Any Colour You Like – Cover di Pink Floyd
Brain Damage – Cover di Pink Floyd
Eclipse – (da The Dark Side of the Moon)
Two Suns in the Sunset – (da The Final Cut)
The Bar (Reprise)
Outside the Wall – (da The Wall)
P.S. le foto del concerto di martedì 28 sono state scattate da Mario & Ale con lo smartphone dalla sua posizione in platea: sono realistiche e senza trattamenti, perdonate se anche tecnicamente imperfette. Da una di esse però Roberta G ha tratto "All just Bricks in the Wall", la visionaria tavola dedicata da Posthuman all'immaginario di Waters che vedete in testata.
QUI, QUI e QUI qualche video parimenti artigianale di Comfortably Numb, Sheep e Us and Them postati a caldo sul mio profilo FaceBook.