Ormai l’avrete letto, saputo. Sofferto.
Poco più d’un anno dopo Arthur C. Clarke, anche il grande James G. Ballard ci ha lasciati: abbiamo perso all’età di 78 anni un altro di quei grandi nomi della letteratura mondiale, non solo fantastica, che poteva vantare d’aver dato al genere (che oggi molti danno per morto) una di quelle svolte epocali da cui non si torna indietro: l’invenzione del cosiddetto inner space, ossia il sondare non tanto gli spazi siderali alla ricerca di epiche avventure cosmiche, bensì l’interiorità umana, caverna dagli orridi non meno inesplorati e potenzialmente altrettanto spaventosi e oltretutto più realistici.
Specie se esposta al “contagio” dei mass media e della spettacolarizzazione della vita, della politica, di tutto, che lui già intuiva lucidamente precorrendo il cyberpunk alla fine degli anni ’60, in piena euforia da “Era dell’Aqcuario”.
QUI leggete il necrologio del Corriere della Fantascienza, che riassume l’essenziale su di lui. QUI invece quello del blog di Urania, con un utile FAQ (domande e risposte sintetiche) per chi volesse farsi qualche pillola introduttiva a digiuno del Ballard-pensiero-temi-opere etc.
Cosa aggiungere da parte nostra?
Personalmente, ho letto "Crash" quando uscì per Rizzoli all’inizio degli anni ’90, se ben ricordo. All’epoca non mi entusiasmò particolarmente dal punto di vista letterario, se devo dire: così freddo, chirurgico, quasi un saggio medico sulla follia eromeccanica dei suoi personaggi, volutamente privo di suspence (il finale veniva anticipato in apertura).
Però, mi pensai, se ne potrebbe tirar fuori anche un bel film, se dietro la macchina da presa ci fosse il tipo giusto. Vediamo… ecco, un Cronenberg, fu la mia prima idea, oppure anche un Greenaway, se accettasse di abbandonare per un po’ i suoi barocchismi secenteschi in favore di un immaginario postmodernista… sapete tutti come andò a finire. Per nostra fortuna, oserei dire, visto che perfino il prudente Mereghetti salutava il Crash di Cronenberg come un esempio in anticipo (era del ’98) del “cinema del nuovo millennio”.
Magari il nuovo cinema fosse tutto così, potremmo dire ora che siamo diventati (third) “millennium people”, per citare un altro suo titolo della produzione recente (Feltrinelli, 2004), in cui – fedele ad un corso iniziato forse col capitale “Atrocity Exhibition” (radice dello steso Crash per molti versi, molto apprezzato da un altro guru apocalittico come Burroughs) – Ballard aveva ormai abbandonato la fantascienza nel senso proprio del termine per scrivere degli allucinati reportage dal piante dell’assurdo, cioè il nostro.
Appartiene a questa fase, ad esempio, il romanzo breve “Un gioco da bambini”,
Non avendolo mai conosciuto di persona, mi piace immaginare che dei coccodrilli sulla stampa Ballard se ne sarebbe sbattuto amabilmente.
Quindi io scelgo di ricordarlo attraverso uno dei suoi (moltissimi) racconti, riuniti da Fanucci nella trilogia complessiva che copre l’intera sua carriera: s’intitola “Meno Uno” come questo articolo (lo trovate su Tutti i racconti vol. 2) e riesce a creare un’atmosfera da incubo senza utilizzare nessun’arma tipica della narrativa di fantascienza, nessuna scoperta tecnologica, nessun folle esperimento sfuggito di mano.
Se non, ancora una volta, la mente umana: quella di un primario che – perduto un paziente nel proprio ospedale – riesce a convincere tutti i medici, assistenti e personale che, molto comodamente per tutti, molto semplicemente, quell’uomo non è mai esistito. È stato solo un errore di una segretaria. Geniale.
Molto ‘dickiana’ questa sparizione del reale, non trovate? Molto… contemporanea, no? O dite che stava solo parlando di un ospedale italiano?!
Quando l’ho finito, stavo già pensando: potrebbe venirne fuori un corto niente male anche con pochissimi mezzi, quasi non servono scenografie né effetti, se io e Walter…
Buon viaggio a James. Chissà che non riesca ad inviarci ancora qualche visione dallo space below.
Mario