“Talvolta dal loro odore gli uomini possono sapere che sono vicini, ma il loro aspetto nessuno può conoscerlo, salvo che nelle fattezze di coloro che essi hanno generato tra l'umanità. Essi camminano invisibili ed abominevoli in luoghi solitari dove le Parole sono state pronunciate ed i Riti urlati nelle loro Stagioni.”
(H. P. Lovecraft, L'Orrore di Dunwich)
Girato nel 2016 e uscito rapidamente nelle sale italiane nel settembre del 2017, The Void è oggi finalmente disponibile in hv per i molti che (come il sottoscritto) l’avessero perso sul grande schermo. Un vero peccato, perché i cupissimi orrori sovrannaturali di cui il film dei canadesi Jeremy Gillespie e Steven Kostanski (già registi dell’horror comedy Father’s Day nel 2011 ed effettisti per il recente It di Muschietti) gronda non poco, insieme a copiose colate di sangue e liquami rivoltanti, sicuramente sul grande schermo argentato renderebbero al meglio.
Vale comunque la pena di vederselo anche sul piccolo schermo, specie se siete anche voi degli appassionati del vecchio mastro Carpenter, perché The Void è un piccolo catalogo aggiornato della filmografia del Maestro: i due registi, nel dietro le quinte Nightmare Logic sul making of the film incluso negli extra, parlano di The Fog; ma, quando l’esterrefatto agente Carter (Aaron Poole) si trova assediato nel piccolo ospedale isolato dove ha portato un misterioso ferito da un’ancor più misteriosa setta di incappucciati bianchi come KKK con un triangolo in corrispondenza del volto (foto a destra), il pensiero corre subito all’immortale Distretto 13 del ’76.
Quando il povero Carter esce per cercar soccorso via radio, un incappucciato – sempre in assoluto silenzio – cerca di pugnalarlo. Ma, barricatisi nel poco difendibile nosocomio, il poliziotto e gli altri presenti scoprono che i minacciosi incappucciati non cercano di espugnare il loro indifendibile “Fort Apache”, ma piuttosto lo presidiano per impedir loro di uscirne: e qui non si può non rivedersi nella mente il cordone di barboni guidati da Alice Cooper de Il signore del male. La mal assortita compagine degli assediati comprende l’ex moglie del poliziotto infermiera, un medico e una stagista, un padre anziano la cui giovane figlia sta per partorire, un altro sbirro più anziano e infine una minacciosa coppia padre e figlio armati, violenti e con un prigioniero (all’inizio li abbiamo visti dar fuoco a una donna mentre questi tentava la fuga). Non certo la più affiatata compagine per difendersi da orrori che travalicano l’umana comprensione.
Del resto, come dar loro torto? Sotto i loro occhi un’infermiera impazzisce, affetta un paziente, viene uccisa e risorge come mostro orrendo e tumescente, un’altra (la ex del protagonista, Kathleen Munroe) sparisce nel magazzino alla ricerca di farmaci e si trova nelle grinfie di un doctor che più mad non si potrebbe, intenzionato a farne utero per la nascita di una nuova creatura da incubo (tra l'altro curiosamente simile al mostro che fronteggia Nathan Never nello speciale Generazioni Numero Zero ora in edicola coll'albo n. 324, che vedete qui a destra). Alla vista del quale nella nostra retina esplode (oltre a sangue e frattaglie in quantità industriali), netta come una visione, la memoria del mostro de La Cosa, la terza importante citazione carpenteriana del competente duo canadese, che mostra di conoscere la materia che evidentemente ha nel cuore.
Per cercare di risolvere il mistero, non resta che inoltrarsi nei minacciosissimi, uterini sotterranei dell’ospedale, vero e proprio Ventre della Bestia, fino all’inconcepibile porta interdimensionale rappresentata dal misterioso triangolo della setta, allestita nel “santuario” di una sorta di divinità aliena (con qualche somiglianza col Pinhead di Hellraiser, lo vedete nell'ultima foto in basso a sinistra) che fu la morgue dell’ospedale. È qui che s’incentra invece il riferimento lovecraftiano da più parti citato a proposito del film (ecco perché la citazione in apertura), perché a quanto pare le mostruosità che infestano il luogo sono sbarcate da una non meglio precisata altra dimensione, come i Grandi Antichi del Solitario di Providence; un altrove montuoso e nuvoloso, in cui qualcuno dei loro umani finirà a propria volta, in un finale che è stato non a torto accostato a quello de L’Aldilà di Fulci.
Forte di un notevole crescendo di suspense – soprattutto nella prima parte in cui i misteri s’addensano uno sull’altro – il film va a sfociare in un tripudio gore che vi godrete ancor di più vedendo il making dei mostri, le protesi in lattice e gli effetti speciali “all’antica” nella citata featurette Nightmare Logic e in Behind the monsters, appunto negli extra del dvd/bluray: un autentico sollazzo per l’horrorista nerd che ama entrare “sotto la buccia dell’orrido” di cui si pasce.
Meno completa invece la sceneggiatura dei due coregisti, che hanno sacrificato all’impatto visivo (indubbio) del loro film molta della logica che – anche in un horror – servirebbe ad elevare un solido prodotto di exploitation al rango di instant cult con “qualcosa in più da dire”: quel che manca soprattutto è un approfondimento del tema principale che ritorna più volte, quello della maternità: Carter e l’ex moglie Allison sono separati dopo la perdita di un figlio, anche il dottor Powell (Kenneth Welsh) in passato ha perso una figlia e il suo macabro esperimento su Allison mira a farle partorire una mostruosità tentacolare (qui sopra a destra) in grado di sconfiggere l’implacabilità della morte (“Questa è davvero la fine del ciclo di vita e morte”, dice il folle). Intanto, in ospedale la giovane Maggie (Grace Munro) sta per dare alla luce un bambino, scopriremo poi, figlio dello stesso mad doctor (o del Grande Alieno?).
Voi direte che è pedante pretendere logiche spiegazione del sovrannaturale da un film horror, ma così è fatta la mente umana, che ci piaccia o no: se non viene messa in grado di dare un senso a quel che accade, finisce che non riesce ad empatizzare a fondo alle peripezie dei personaggi e quindi bisogna per forza distrarla col botto (o col fiotto).
Nondimeno, a parte queste piccole falle, The Void rimane un horror breve (86’) ma che funziona – anche se non apre nuove prospettive sul dramma della maternità (quelle si trovano negli inquietanti “qualcosa in più" di Babadook o Goodnight Mommy) – e che ci tira con sé con un ritmo che non lascia tregua (ho dovuto interrompere la visione per fare altre cose e ammetto che ho fatto fatica, cosa sempre più rara). Nel panorama attuale, da tenerselo stretto.
Mario G.