Continua il successo del vampiro in ogni linguaggio e forma. Ormai sarebbe puro fantasy anche solo l'idea di tenere il passo con tutte le uscite editoriali, cinematografiche, fumettistiche, saggistiche etc. che il mercato ci svalanga senza tregua (leggete i nostri recenti speciali QUI, QUI e QUI).
Anche il teatro registra il fenomeno: solo lo scorso giugno vi abbiamo riportato del Dracula di Dejan Dukovsky al Litta, ora il CRT ci propone invece l'altro caposaldo del romanzo gotico, Il Vampiro di John W. Polidori, suo precursore (era il medico di Byron nella famosa notte di Villa Diodati del film Gothic di Ken Russell), nella messinscena di Andrea Nanni (Celesterosa/I Sacchi di Sabbia).
Fortunatamente, entrambi i registi - pur con visioni diversissime, quasi all'opposto della mise en scène (frenetica la prima, sobria fino all'astrazione la seconda) - scartano intelligentemente il confronto con ciò che il cinema sa far meglio, cioè l'horror puro, violento, d'azione, iperrealistico, grandguignolesco come si diceva una volta. Se soggiacciono a un tema "di moda", di certo non ne traggono una rappresentazione "alla moda" o vittima dei cliché neogotici adolescenziali dominanti.
Il Vampiro va dunque in scena al Salone CRT (via Dini a Milano fino al 21 novembre) in una forma rarefatta, minimale ed essenziale, come un doppio monologo: lui dal testo Polidori, lei dal Prode di Marina Cvetaeva (ispirato dalla fiaba Il Vampiro di Afanasjev, a sua volta tratta dal Polidori).
Entrambi maturi, narrano compostamente, in un sussurro, le confessioni mancate (sottotitolo dello spettacolo), ossia le due facce del proprio romanzo di formazione.
Sono fratello e sorella, entrambi in adolescenza conobbero il famoso vampiro del romanzo "dagli occhi di piombo" (Lord Ruthveln non viene mai nominato direttamente, mai presente in scena, sempre evocato come un fantasma).
Ciascuno dei due - interpretati con consumata finezza da Silvio Castiglioni (foto in apertura) ed Emanuela Villagrossi (sopra a destra) - racconta la propria storia, da solo.
Pertanto anche noi seguiremo la loro impronta con una doppia recensione scritta a quattro mani.
La platea è stata rinnovata, nuova disposizione delle sedie nel teatro, basta con le panche di legno con cuscini di niente. Bravi!
Entriamo, in scena c'è già l'attore, al buio. E' bello vedere che è lui che ci attende, non siamo noi a fissare il vuoto in sua attesa.
La scena è vuota e nera. Lo schermo sul fondo piatto e livido.
Le luci di sala si spengono. Luci di taglio ai lati su di lui. Due fari laterali illuminano di ombre il volto e il corpo dell'attore che - trasformato in vampiro dall'abile gioco di luci - inizia a parlare. Il suono della sua voce è costante, esile che sembra sempre lì lì per spezzarsi, sofferto, quasi monocorde. Pochi gli accenti e i cambi di ritmo.
Pochi passi calibrati, spesso solo accennati, spostandosi nella luce danno ritmo e colore al grigio scuro della scena.
Sono sempre le luci a sorprenderci, portandoci in un nuovo spazio. Più ampio, più chiaro ma mai vuoto di significato.
Luci accecanti a terra per abbagliare noi durante l'uscita di scena di lui e l'entrata di lei
Ora è lei a narrare. Il suo corpo si rompe in scena con armonia (peccato quell'incespicare di parole che un paio di volte interrompe il ritmo facendoci uscire dalla suggestione).
Ancora, tutto accade fuori scena, come nella tragedia greca. No action, solo logos sulle tavole del teatro.
Il suono è un altro elemento di accompagnamento interessante. Ronzii fuori scena, sussurri, echi di cori chiesastici sempre più lontani; lamenti.
Anche nella colonna sonora gli elementi classici del gotico vengono rarefatti fino a un astrazione quasi da musica electro postindustriale.
Meno preponderante delle luci, sostiene le parole che creano immagini nitide del bosco, del lago, della camera, collante glauco di uno spazio scenico paurosamente spoglio.
Spettacolo breve (un'ora esatta) e non facile, non dinamico, richiede attenzione e concentrazione. Ma il suo gioco di sottrazione di ogni cliché sull'abusata figura dai canini lo rende visibile anche a chi pensa che i vampiri abbiano ormai succhiato tutto il nostro sangue residuo.
Chi invece è interessato a un serio approfondimento sullo sviluppo della figura letteraria del vampiro, può scaricare dal sito della Gargoyle l'illuminante saggio di Fabio Giovannini, introduzione al secondo volume del Varney di Prest e Rymer, dotto confronto fra le caratteristiche del Ruthven di Polidori, del feuilleton Varney e quindi del celeberrimo Dracula di Stoker.
Mario G & LaCri
P.S.: Posthuman dà il benvenuto a LaCri, che debutta collaborando con Mario a questo articolo.
P.S.2: foto di scena di Filippo Guerrieri.