Ultimamente ci siamo un po' abituati a lagnarci continuamente che "non accade più nulla di nuovo in musica", che tutto suona "già sentito" a meno che non sia hip hop per ragazzini, che i dischi belli sono sempre quelli di artisti ormai canonizzati da anni... ma sarà proprio vero?
Il caso Billie Eilish
A me sembra che il 2019 ci abbia invece offerto - oltre che dischi belli a profusione - almeno due debutti freschissimi e molto intriganti, tra l'altro partoriti da artisti giovani come i Beatles al debutto o quasi, e in generi ben diversi fra loro: il primo è il pluripremiato When We All Fall Asleep, Where Do We Go? (Interscope) di Billie Eilish, un dolente affresco trip hop assai maturo e 'malato' per un'autrice a malapena maggiorenne, ma che già non ci fa rimpiangere gli scomparsi (troppo presto) Portishead, che ha fatto sfracelli un po' ovunque e su cui non servirà dilungarsi oltre, visto che ha appena incassato ben 5 premi Grammy venendo consacrato disco dell'anno a livello mondiale e sicuramente lo conoscete tutti.
I nervosi Black Midi
L'altro è sicuramente una proposta meno trendy e dai suoni più grintosi, e a maggior ragione stupisce che provenga da una band di circa ventenni, ossia i londinesi Black Midi. Un intreccio così nervosamente articolato e istericamente stimolante, da essere stato definito dall'amico e coautore Ernesto Assante una sorta di "progressive punk": ossimoro che allude all'ardito incrocio di complessi cambi di tempo in brani secchi e grintosi come i Pere Ubu, o i primi tre dischi dei Wire concentrati nel loro unico album Schlagenheim - in tedesco più o meno “colpire nel segno” - e nel singolo (non incluso) Talking Heads, omaggio che non servirà spiegare oltre. Entrambi pubblicati dalla blasonata Rough Trade, già etichetta dei suddetti Pere Ubu, di Fall, Red Crayola...
La tragica Shaam Larein
Esce invece in questi giorni per l'etichetta Icons Creating Evil Art un'altra sorprendente, oscura gemma, intitolata Sculpture (di cui vedete la nera copertina quasi joydivisioniana in apertura), il debut album di una giovane cantante svedese di origini mediorientali, Shaam Larein (che vedete ritratta ai lati, sola e con la band live).
Anticipato dai primi due avvolgenti singoli Aurora e Traveler, Sculpture è un maelström in cui sprofondiamo in sonorità che ricordano il dark anni '80 di Siouxsie & the Banshees ma anche qualche atmosfera liturgica dei mistici Dead Can Dance, la prima PJ Harvey e la sua recente epigona turbinosa Chelsea Wolfe.
Ma, a differenza dell'intenso uso di droni in cui fluttuano i fantasmi di voce della Wolfe (almeno prima di Birth of Violence), nella miscela sonora di Shaam Larein emerge più distinta una componente folk-psichedelica - saranno le radici mediorientali - per così dire un ponte tra gli storici Coven e Jex Thoth (con la quale credo abbia anche condiviso il palco e che vedete a sinistra raccolta in una ieratica posa live), che rendono le sue composizioni più intensamente rituali di molto doom cui viene sbrigativamente associata.
Contribuisce al mood l'impiego di altre due voci femminili nella band (vedi foto qui a sinistra e line up in calce), che fanno da controcanto alla linea principale della solista: quasi un coro tragico greco che interagisce coll'eroe protagonista in scena (nel passato della cantante, oltre al jazz, c'è anche il teatro in cui ha accompagnato il padre, che emerge anche dalla performance del video di Aurora), più rilevante nell'economia complessiva del suono delle chitarre graffianti che predominano appunto nel goth metal.
È una scultura sonora raffinata, al di là della sua drammaticità e anche della sua brevità: poco più di 35 minuti che però bastano per iscrivere con autorevolezza un nuovo nome dal profondo Nord nell'ideale trilogia del disagio al femminile contemporaneo, accanto alle citate Billie e Chelsea (qui s sinistra in copertina al suo ultimo album più folksy).
Buoni ascolti, il 2020 parte già bene. Sanremo passerà...
Mario G
LINE UP
Shaam Larein: lead vocals
Linnea Hjertén: vocals, keys
Nathalie Ahlbom: vocals
Elmer Hallsby: bass
Johan Borgström: guitar
Mille Hökengren: drums
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