La cosa più intrigante nel recente rifiorire del filone della possessione demoniaca secondo me è proprio il fatto che sia in corso: nell’epoca più laica e secolarizzata della storia, quando Dio (almeno il Dio del cristianesimo cattolico, quello più interessato al fenomeno) è più lontano dal vivere quotidiano di milioni di persone, ecco che il diavolo – suo diretto contraltare – torna protagonista di un crescente numero di pellicole horror, perlopiù di produzione americana tra l’altro, cioè di una cultura in cui il cattolicesimo è minoritario, infatti nelle trame viene sempre contestualizzata la presenza di un prete cattolico per l’inevitabile rito dell’esorcismo, che solo il Vaticano può autorizzare.
E infatti, nel Vatican Tapes di cui qui ci occupiamo, diretto da un regista di seconda fila ad Hollywood come Mark Neveldine (responsabile del non memorabile Ghost Rider - Spirito di vendetta) e in uscita nelle sale italiane per Koch Media/Midnight Factory dal 7 gennaio (giusto poco dopo la nascita del Redentore!), il motivo è che il padre della protagonista posseduta è un fervente cattolico di origine irlandese.
I film di questo genere di solito hanno uno sviluppo piuttosto rigido (loro principale limite): quadretto di vita (apparentemente) normale, manifestazione di fenomeni inspiegabili nel (o meglio nella) protagonista, crescendo inesorabile di questi ultimi con progressivo fallimento d’ogni moderna terapia medica e psicanalitica, fino alla rassegnata resa nelle mani del prete esorcista per una pratica “eccezionale, ormai quasi desueta, che solo il papa può autorizzare…” eccetera.
Qualcuno qui dirà che "tutti gli horror rimescolano sempre la stessa zuppa", ma - se per esempio ci spostiamo sul non meno affollato sottogenere dell'horror vampiresco, notate che differenza abissale passa fra due film come A Girl Walks Home Alonе at Night di Ana Lily Amirpour (locandina qui a destra) e Kiss Of The Damned di Xan Cassavetes (sotto a sinistra la fascetta del dvd internazionale), benché ambedue con protagoniste vampire femmine dirette da registe donne. Sapreste propormi due horror di possessione altrettanto diversi, sia stilisticamente che tematicamente?
Perché dunque tanto interesse (a Hollywood non si finanziano film che non si pensa di poter vendere con profitto, neanche a un Carneade come Neveldine, che maneggia una biondina anche convincente, ma non certo una diva costosa, come Olivia Taylor Dudley) per un genere che sembrava aver detto tutto già col ciclo de L’Esorcista, quello anticristico di Omen, la variante gestatoria di Rosemary’s Baby e il relativo filone fiorito (anche in Italia, con varianti anche originali, da Stridulum a Holocaust 2000 fino al vertice de La Setta) tra metà Settanta e inizio Ottanta?
La domanda non è retorica ma rimarrà aperta, perché io stesso mi pongo il problema e non so dargli una risposta certa: semplice exploitation commerciale? Non basta. Risorgenza dalla finestra di un bisogno di “sacro” esiliato dalla porta della Ragione? Bisogno di vedere il Male in qualcosa di esterno da noi? Può darsi, amerei sentire il parere di un antropologo sulla materia. Intanto che lo aspettiamo, dedichiamoci al film in uscita, che nella trama non si discosta dallo svolgimento sopra riassunto: la bionda Angela, “angelica” sin dal nome, si taglia alla festa di compleanno e di lì comincia a dar segni di squilibrio che preoccupano sempre più l’osservante papà Roger e il laico fidanzato Pete. Attira i corvi (messaggeri del Maligno, apprendiamo), provoca un incidente d’auto, in ospedale spinge un poliziotto al suicidio (una delle scene più forti, che vedete in questo clip), poi scatena una violenta rivolta degli internati nel reparto psichiatrico in cui si fa beffe dei tentativi di cura di una strizzacervelli pure biondina e angelica, ma di cui l’indemoniata mostra di conoscere vizi e peccati segreti (altra scena gustosa all’arco del Neveldine).
Il regista ci mette naturalmente anche un po’ di riprese “POV” (i tapes del titolo), altro ingrediente ormai obbligatorio del sottogenere dopo L’Ultimo Esorcismo di Stamm. Qui le riprese intradiegetiche non sono in realtà essenziali alla trama, che infatti paga il doveroso tributo allo stile oggi di moda (da Le Radici del Male a L’Altra Faccia del Diavolo) per poi tornare alle riprese “normali” per le fasi cruciali. Che in un film del genere sono appunto quelle dell’esorcismo, anche qui proposto attraverso gli ormai inesorabili tòpoi delle vocine distorte, frasi in aramaico, stimmate improvvise, levitazione e devastazioni dell’ambiente circostante con minaccia alle vite di cari ed officianti.
Non vogliamo spoilerarvi il clou, ma sappiate che almeno stavolta l’esorcismo andrà a finire in modo inaspettato, giacché la dolce Angela non è “semplicemente” posseduta da un demonietto dispettoso: è nientemeno che l’Anticristo lei medesima.
Purtroppo, però, il film si conclude sbrigativamente (a solo un’ora e un quarto di proiezione) proprio quando la ricetta cominciava a profumare di spezie originali, ossia con la protagonista divenuta oggetto di un culto fanatico quanto mediaticamente controverso: si sarebbero potute aprire le porte videodromiche di discorsi metafilmici sulla diabolicità dei media, della credulità umana (da cui il successo stesso del genere?) e… ma via, un Neveldine non è un Cronenberg, e neanche l’Amenábar dell’originale Regression (purtroppo degnato di minor successo di quanto meritasse nel periodo prenatalizio). Se ha tenuto il meglio in vista di un (mai scongiurabile) sequel, secondo me ha fatto male: con 20 o 30 minuti in più in questa direzione poteva chiudere in levare mantenendo il film comunque su una durata non eccessiva per gli standard attuali e con un bel botto… apocalittico (se non è quasto il caso…!).
Così resta una visione “di serie”, anche se gli va riconosciuto qualche autentico salto sulla sedia.
Mario G