La Metamorfosi è un classico, si sa: benché non scritta per il teatro, l'agghiacciante novella "body horror" di Kafka è stata portata sulla scena già diverse volte. Ricordo un tg del lontano 1988, in cui (miracolo) si dava notizia della versione di Steven Berkoff con un incredibile Roman Polanski/Samsa, che strisciava sul palco con una sorprendente camminata da ragno (foto a sinistra); poi quella vista davvero al rimpianto Teatro Smeraldo de La Fura dels Baus (2006), stranamente recitata in chiave naturalistica e non orrida come ci si sarebbe aspettato dai terribili catalani (foto a destra).
Ora è in scena al Teatro Franco Parenti per la raffinatissima regia del maestro Eugenio Barba con Julia Varley e Lorenzo Gleijeses, che ne è anche l'unico interprete, strepitoso sia come danzatore che come attore e mimo (ha alle spalle lavori con Kemp, Nekrosius e Martone, prima del lungo sodalizio col Barba).
Un team drammaturgico (supportato da Chiara Lagani) che dà vita a un autentico capolavoro metateatrale, in cui scarafaggio è il ballerino Gleijeses stesso (nelle foto di scena ai lati e sopra), oppresso dalla voce del coreografo-dio, che lo bacchetta deluso dalle sue prove recenti (ha "dimenticato molti dettagli importanti"), spingendolo a migliorarsi in quella che a me è parsa un'ironica autoparodia di "metodo grotowskyano trita-attori"; poi da un padre che non l'ha mai apprezzato (Gleijeses è veramente figlio d'arte e proviene dal teatro napoletano classico), vedendolo come "un insetto" già sin dalla sua prima apparizione scenica professionale. Ancora, da una petulante fidanzata "concreta", che lo accusa di perdersi nel suo solipsismo artistico, peraltro del tutto inutile per la vita pratica quotidiana. E, non bastasse, dalla saggia psicanalista, irreperibile quando serve, cui racconta per messaggio il sogno di essersi trasformato in scarafaggio (l'unica citazione testuale da Kafka).
Tutte voci off (*) che interagiscono col protagonista - solo in scena - dal cellulare, dalle implacabili segreterie telefoniche, generando momenti autenticamente comici nella tragica discesa agli inferi dell'isteria autodistruttiva dell'attore-ballerino Gleijeses/Samsa ossessionato dalla perenne inadeguatezza che lo va trasformando in quell'insetto che è stato sin dall'inizio agli occhi del padre.
Una strepitosa regia luci e sonora (entrambe di Mirto Baliani) che spazia da minacciose ritmiche industriali a frammenti di classica e lirica (Casta Diva), Simon e Garfunkel (Sound of silence), Morricone (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto), orribili neomelodici partenopei e sudamericani dalle onnipresenti radio e tv, riempiendo di beceri suoni quotidiani l'essenziale scena (Roberto Crea) delimitata da quattro simbolici pendoli di Foucault e facendoci "vedere" tutto quello che in realtà non c'è. Perché sul palco c'è solo un grosso televisore e l'aspirapolvere Roomba che razzola intorno al protagonista come "scarafaggio meccanico". Dopo l'incipit della prova di scena del danzatore nel buio fra geometrici fasci di luce verticali dall'alto, tutto si svolge nella sua evocata abitazione, dove Gleijeses (abilissimo mimo) si contorce ossessionato dal ripetere in ogni momento domestico i gesti coreografici del proprio lavoro in un'inesausta e sempre frustrata ricerca di perfezione, come ben sa chiunque sia diventato "scarafaggio" agli occhi del mondo per una propria ricerca espressiva in qualsivoglia linguaggio artistico.
Correte, corriamo tutti senza in realtà muoverci d'un passo, come Gleijeses/Samsa, nel nostro cammino "dalla luce alla tenebra". Un orribile scarafaggio ci seguirà sempre dal riflesso nello specchio, come curiosamente accade anche al Dylan Dog Old Boy di Anime Mutanti ora in edicola (a lato tavola del compianto Carlo Ambrosini).
Purtroppo Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa resta in scena al Parenti solo fino a stasera (25 aprile), ma forse riuscirete e recuperarlo in qualche altra tappa della lunga tournée ormai in corso dal 2019 di questa prima regia di Barba fuori dallo storico Odin Teatret: ne vale assolutamente la pena perché tutto in questa (apparentemente) breve ora di performance è profondamente meditato e cesellato da autentici geni dell'arte teatrale; e il risultato brilla in ogni aspetto.
Un'ora che riempie come un intero Amleto.
Buon 25 aprile se ci leggete oggi.
Mario G
(*) Le voci off sono rispettivamente: Eugenio Barba (coreografo), Geppy Gleijeses (padre), Maria Alberta Navello (fidanzata) e Julia Varley (psicologa).
NB: foto di scena dallo spettacolo per gentile concessione del Teatro Franco Parenti.