Il numero 357 di Dylan Dog ora in edicola, Vietato ai Minori (copertina in apertura), proietta il celeberrimo investigatore dell’incubo in una vicenda dai toni nettamente vintage, ossia nel torbido mondo degli snuff movie. E già questo tema sa di cinefilia intrinsecamente un po’ rétro: infatti, nell’era dei video girati con lo smartphone e postati direttamente sui social network, nella storia scritta da Pasquale Ruju si parla di ancora di vecchie sale cinematografiche, recuperate per proiezioni clandestine di film ultraviolenti “dal vero”, riservate a un ristretto circolo di viziosi dell’ambiente hollywoodiano chic. Le belle tavole intense e ricche di sfumature firmate da Davide Furnò & Paolo Armitano (una la vedete qui a destra) ci mostrano magazzini di segrete pizze di pellicole piene di torture e morte in diretta che – se anche il mondo dello snuff è esistito come ce l’hanno mostrato gli storici film del genere – con ogni probabilità oggi sembrano un omaggio nostalgico ai tempi che furono.
Che infatti furono a partire dal lontano 1976 – anno di uscita del famigerato Snuff di Michael e Roberta Findlay (su cui approfondite nell’ottimo Nocturno dossier n 4, “Sesso & Violenza” del 2002, cover a sinistra), di cui vedete un fotogramma sotto a destra – per poi generare, nel mondo e in Italia, un interessante filone ibrido che si nutre di eros (il coevo Emanuelle in America di Joe D’Amato), mondo movie (il caposaldo Cannibal Holocaust di Deodato dell’80), raggiunge il suo “classico” nel ’79 con il thriller Hardcore di Paul Schrader e il capolavoro assoluto che guarda oltre nell’82 col Videodrome di Cronenberg, di cui sotto a destra vedete una locandina internazionale e in cui i laidi filmetti sono solo un’esca per ritrarre un mondo in cui l’immagine televisiva sostituisce progressivamente la realtà (allora era “fantascienza” in Italia, il giovane Berlusconi muoveva ancora i primi passi nella tv commerciale!).
Pur non essendosi mai avuta ufficiale conferma della reale esistenza di un mercato clandestino di video sadici in cui le torture e la morte delle vittime non è simulata, la morbosità dell’argomento ha nutrito altri film nel corso del tempo, spaziando appunto fra exploitation e denuncia massmediologica, thriller, horror e fantascienza metafilmica: a metà ’90 l’ottimo Tesis del giovane Amenàbar e il futuribile Strange Days della Bigelow, fino al mediocre 8mm coll’imbalsamato Nicolas Cage dagli occhioni liquidi perennemente sgranati ma che in realtà non dice nulla di nuovo su un tema che sembra ormai alla frutta; e che invece risorgerà prepotentemente nel nuovo millennio con gli Hostel di Eli Roth, l’estremo (ma insensato e disonesto) A Serbian Film e il recente Green Inferno, in cui ancora Roth aggiorna intelligentemente il soggetto terzomondista di Deodato al mondo dei telefonini e dei social attuali, come si diceva in apertura. Morbosità e metafore che attizzano il critico “intellettuale”: lo snuff – come del resto il porno come culmine dell’abiezione erotica – ha sempre solleticato insieme ai bassi istinti anche le interpretazioni simboliche. A partire dallo storico Peeping Tom di Michael Powell (1960): è il cinema stesso una forma di voyeurismo? È intrinsecamente “osceno” l’occhio che guarda l’immagine che scorre sullo schermo?
In effetti, tornando al fumetto bonelliano, 8mm (Delitto a luci rosse, da noi) sembra il modello più vicino per la sceneggiatura dylaniana di Ruju, che infatti si basa sulla ricerca di una donna scomparsa, qui un’attrice di horror al tramonto, che sembra aver scelto il modo più estremo d’interpretare l’artaudiano teatro della crudeltà per morire in scena, che si dice sia il vero nirvana dell’attore. Non posso rovinarvi qui le sorprese della trama, ma posso dirvi che il twisting end del fumetto ci riserva una sorpresa “gialla” che lo distacca da quello che ci aspetteremmo da questo tipo di trame, con un finale gustosamente aperto.
Ciò che non ci potrebbe mai offrire, invece, è un protagonista in qualche modo irretito da ciò che gli tocca vedere come detective: Dylan Dog è un fumetto seriale con un eroe fondamentalmente positivo, che non può rivelarsi un personaggio moralmente sordido come il Max Renn di Cronenberg o l’Estremista di Peter Milligan (copertina qui a destra).
Ecco perché dico che il riferimento che viene in mente subito è 8mm: perché il limite principale del film di Joel Schumacher secondo me sta proprio nel fatto che il buon Cage strabuzza l’occhione di fronte all’orrore ma non ne viene mai realmente toccato (e noi con lui). Anche un cinefilo horror come Dylan si mostra prevedibilmente schifato dagli spettacoli di torture reali che sarà costretto a visionare in questa vicenda, ma – fortunatamente per noi horroristi morbosi – i disegni di Furnò/Armitano sono meno reticenti del protagonista (e di quanto si potrebbe temere appunto da un fumetto seriale da edicola): ragazze nude legate ai tavoli di tortura, mazze chiodate, inevitabili schizzi di sangue… sembra quasi di essere tornati alle origini della testata, in quel periodo fra fine anni ’80 e primi ’90 in cui il ciclone splatter (anche con la S maiuscola della rivista fondata dall’ottimo Paolo Di Orazio) investiva il fumetto italiano con un’onda rossa di bulbi oculari strappati, arti mozzati col machete etc.
Curioso fenomeno, no? Un paio d’anni fa proprio Di Orazio lancia un nuovo (e purtroppo non fortunatissimo) tentativo di riportare in fumetteria uno Splatter rinnovato (una copertina qui a sinistra), Stefano Fantelli ne segue le tracce colla sua saga Cannibal Family per Edizioni Inkiostro, Andrea Cavaletto lo fa con Paranoid Boyd (cover sotto a destra), e oggi il rinnovato Dylan Dog della “cucina Recchioni” torna a mostrarci efferatezze come una testa spappolata dalle ruote di un’auto e così via, in una vicenda che potrebbe a tutti gli effetti appartenere alla prima era dell’investigatore dell’incubo.
Il quale, come sapete, nel restyling di Roberto Recchioni ha cercato il rinnovamento (a partire dall’eccellente vicenda s/f Spazio Profondo, cover qui a lato, giusto 20 numeri fa). Pensionando l’ispettore Bloch, sostituendolo colla coppia formata dall’antipatico ispettore nero Carpenter con la più malleabile assistente islamica Rania, dotando l’ormai stagionato detective dell’occulto di un (forse misterioso) cellulare, opponendogli un nuovo cattivone (John Ghost, sul n. 341), perfino adombrando (nel finale del n. 346) che il fido Groucho sia in combutta col nemico. Una pista ardita, che per il momento però rimane un “non sequitur” nella saga del detective di Craven Road, il quale nel new deal è stato coraggiosamente messo in discussione nei propri consolidati cliché narrativi in vari modi: messo a nudo nella sua cronica inconsistenza sentimentale con le donne, sfrattato dalla storica magione e “barbonizzato”, persino invecchiato, sfiduciato e riprecipitato nell’alcool (nella mini saga del Pianeta dei Morti e nello speciale 29 La casa delle memorie) in un crepuscolare mondo zombizzato.
Tutti percorsi che però sembrano già in qualche modo già rientrati: negli ultimi numeri della testata, infatti, ho avuto l’impressione che le vicende potrebbero sostanzialmente appartenere anche al corso storico dell’Old Boy (che frattanto procede come se il nuovo corso non fosse mai partito nell’omonima collana parallela), a parte che l’ispettore Bloch ora compare di tanto in tanto come amico-consulente e a volte il protagonista bisticcia un po’ con uno sbirro cui sta sulle balle. È dunque già finita la rivoluzione? È servita solo a moltiplicare le collane e gli spin-off della saga (oltre alla Old Boy, i rinnovati Color Fest, I Colori della Paura con la Gazzetta dello Sport, vicende classiche riscritte in 40 pagine e ridisegnate a colori, i volumi in hard cover in fumetteria e chi più ne ha più ne metta)? Oppure il rinnovamento del personaggio non è stato gradito dai lettori storici (forse ormai più numerosi dei giovani) e il nuovo corso di Recchioni sta prudentemente moderandosi per tornare ad allinearsi al DD storico con solo qualche ritocco cosmetico?
Purtroppo, non disponiamo di dati certi di vendita per dare una risposta certa ai dubbi su cui si chiude la nostra analisi dell’interessante operazione editoriale in corso sulla testata che ha ridato smalto alla corazzata Bonelli (ricordiamo che senza il successo di Dylan Dog non sarebbero nati né Nathan Never né Julia, né di recente Orfani, Morgan Lost - di cui qui sotto a sinistra vedete un'ardita sequenza sui torridi passatempi dei coniugi Rabbit, protagonisti del n. 6 - od ottime mini saghe come Hell Noir sempre del Ruju e Ut di Roi/Barbato).
Certo è che se una storia vintage come il Vietato ai Minori fosse uscita tra l’86 di Jack lo Squartatore e l’87 de Gli Uccisori forse non avremmo notato un grande scarto…
Il tema è succulento – oltre che sanguinolento – quindi continueremo a seguirlo. Intanto, buon divertimento… “vietato” a voi!
Mario G