“Floating down, the sound resounds Around the icy waters underground.”
(Pink Floyd, Astronomy Dominé)
“Non puoi nemmeno concepire di provare il desiderio di guardare altrove. Ed anche se non ci sono semplici immagini da vedere, tuttavia sussiste davanti a te un qualche tipo di visione, uno scenario in espansione infinito e soverchiante. E la vastità di questo scenario è tale che nemmeno l’abbagliante effusione di tutti gli universi conosciuti è in grado di dare misura e senso a certi prodigi. Tutto è così brillante, grande e vivo. Paesaggi senza fine su cui brulicano vite ignote ad occhi mortali. Diversità inimmaginabile di forma e movimento, disegno e dimensione, con ogni dettaglio perfettamente cristallino, dalle figure ciclopiche che barcollano, stagliate sullo sfondo di orizzonti senza fine, alle forme ciliate più minute che si contorcono in un’scura cavità oceanica. E persino tutte queste cose non sono che un mero frammento di tutto quello che c’è da vedere e da sapere. Ci sono astronomie labirintine che si mescolano e si confondono le une nelle altre, cagionando evoluzioni istantanee, trasformazioni costanti tanto dell’apparenza che dell’essenza. Ti senti testimone dei dei fenomeni più criptici che esistono o che potrebbero mai esistere. E tuttavia, celato in qualche modo nelle ombre di ciò che riesci a vedere c’è qualcosa che non è visibile ancora, qualcosa che batte come un pulsare di tuono e promette visioni ancor più grandiose”.
È un brano del racconto Gli occhiali nel cassetto di Thomas Ligotti, tratto dalla sua antologia Lo Scriba Macabro (copertina qui a fianco), pubblicata di recente da Elara. La sto leggendo adesso. Non l’ho ancora finita: Ligotti è scrittore di razza ma va preso a dosi controllate, come l’oppio. La sua scrittura labirintica e ossessiva, barocca nel senso di priva di un baricentro narrativo (a volte persino di una narrazione strictu senso aldilà della fine cesellazione di atmosfere d’incubo), centripeta verso il buco nero di un nihilismo cosmico assoluto e leopardiano, può dare allucinazioni. E infatti le dà, è quello il suo fine e vi assolve da maestro qual è, anche se poco noto in Italia.
Solo il fatto che lo sceneggiatore Nic Pizzolatto abbia dichiarato che nella serie True Detective (stagione 1) alcuni dialoghi fra i detective Matthew McConaughey e Woody Harrelson fossero ispirati a Ligotti (checché nella storia si citino la Carcosa e il Re Giallo di Chambers, prontamente riedito da Vallardi dopo l’edizione di solo qualche anno fa curata da Hypnos) ha fatto sì che – dopo I canti di un sognatore morto (copertina a sinistra), già su Elara da qualche anno – l’editoria italiana si accorgesse del “nuovo Lovecraft” di Detroit: così oggi finalmente troviamo per il Saggiatore anche gli altri stordenti racconti di Teatro Grottesco (cover a destra) e persino il saggio filosofico La cospirazione contro la razza umana (sotto a sinistra), che trovate recensito con l’usuale profondità filosofica da Alberto G. Biuso.
Io però ho citato in apertura quel brano di Ligotti non per misurarmi col nihilismo di Schopenauer o Zappfe (nume tutelare dello scrittore), ma perché la sua visione cosmica mi è tornata alla mente mentre vedevo un film attualmente sugli schermi ancorché assai meno nihilista in verità, in quanto assai più intriso di misticismo orientale che di Nietzsche: il Dr Strange diretto da Scott-Sinister-Derrickson con Benedict Cumberbatch e tratto dall’omonimo fumetto Marvel (di cui sotto ai lati vedete un paio di storiche tavole by Steve Ditko), che a 13 anni ricordo d’aver letto en passant sugli albi dell’Uomo Ragno. Non vi tedierò riassumendo la trama (che trovate facilmente anche senza il mio aiuto), con il suo prevedibile confronto fra forze del Bene e del Male cosmico a colpi di magia ed animazioni 3D e ribaltamenti escheriani di metropoli da far sembrare Inception un esercizio di base di Photoshop. Tutto questo è già stato detto e scritto.
L’aspetto più intrigante del film, oltre appunto alla stordente visionarietà del mondo occulto che spalanca a Strange l’Antico Tilda Swinton, è la sottile connessione che tesse fra le frontiere più fantascientifiche della fisica quantistica e le teorie di sistemi filosofici fino a poco tempo fa considerati “superstizioni” o comunque speculazioni non-scientifiche. È davvero possibile sgusciare dalla nostra dimensione quotidiana ad altre contigue ma separate, come sembrano suggerire certe stranezze osservate dagli scienziati nel moto degli elettroni? Possiamo farlo con la meditazione, separando da quello fisico il corpo che induisti, buddhisti, Steiner e l’occultista Madame Balavatsky chiamavano astrale? O con le arti marziali (il che in fondo è lo stesso), scoprendo alla Kill Bill che “il legno può temere la nostra mano”?
Forse l’incredibile sviluppo raggiunto dalla scienza ci può finalmente illuminare su quanto in verità ancora non sappiamo minimamente dell’universo che ci circonda (e del cervello con cui lo esploriamo): forse, una volta che abbiamo accettato (ed è nozione conclamata da quasi un secolo) che il “pieno” della materia “solida” è fatto per lo più di “vuoto” (l’enorme distanza fra nucleo ed elettroni di ciascun atomo della materia stessa) o che a velocità prossime a quella della luce sia possibile una dilatazione del tempo (e quindi forse uno spostamento sul suo asse, che lineare non è), possiamo almeno prendere in considerazione il fatto che ciò che oggi ancora non conosciamo, paradossi dalle incredibili conseguenze come l'effetto farfalla o il gatto di Schrödinger, potrebbero un domani apparire un “uovo di Colombo”, come adesso è la sfericità della Terra e la sua rotazione intorno al Sole (per cui un tempo qualcuno finì al rogo). "Pensate, fino a buona parte del XXI secolo, si viveva ancora in uno spazio 'solo' tridimensionale...".
Allora forse addirittura le visioni di Escher (di cui prosegue l'esaltante mostra a Palazzo Reale già citata nel mio servizio sul Cubo su Nocturno) appariranno intuizioni pionieristiche e non follie surrealiste. Allora intuizioni della cultura psichedelica (cui pare Ditko non era estraneo) sulle possibilità di espandere le facoltà mentali non sembreranno solo farneticazioni di un manipolo di hippie troppo sballati. Dr Strange lo suggerisce, non a caso facendoci balenare nelle orecchie per qualche istante l’immortale Interstellar Overdrive dei Pink Floyd del ’67, infinitamente più vicina al buio assoluto dell’orizzonte degli eventi cosmici del Dr Strange (e dell'universo di Ligotti) delle tonitruanti musiche composte per il film da Michael Giacchino.
Ebbene, quest’area di confine cui ho appena superficialmente accennato non è solo lo spunto più interessante del blockbuster hollywoodiano del momento, ma – secondo me – è la frontiera più stimolante in cui può muoversi oggi la fantascienza tout court, fondendosi con l’horror occulto e weird di derivazione lovecraftiana e, per l’appunto, l’immaginario rock psichedelico dei Floyd o dell’oscuro David Tibet, che collaborò col Ligotti su un paio di dischi dei Current 93 (In A Foreign Town, In A Foreign Land e I Have a Special Plan for This World). Un "piano"... cospiratorio?
Vedere. Leggere. Ascoltare. Meditare.
Mario G