L’Altra Faccia del Diavolo (locandina in apertura, poster americano qui sotto a destra) è un film di possessione/esorcismo della nuova era, quella del POV (ossia point of view) movie. Quella iniziata dall’ormai classico Blair Witch Project e recentemente esplosa colla serie dei REC, Paranormal Activity e – nello specifico – dai vari Exorcism, L’Ultimo Esorcismo, Il Rito e, appunto, questo “The Devil Inside” (titolo originale).
Avendolo perso al momento del passaggio in sala (alquanto pubblicizzato, ricordo l'inquietante poster stampato sul retro degli autobus milanesi), cogliamo l'occasione della sua distribuzioneda parte di Universal in dvd e bluray (economici ma ambedue privi di extra) per parlarne ora, riaprendo le attività di posthuman dopo una vacanza in Spagna funestata da una tale congerie di mala suerte che il pensiero della possessione mi è tornato alla mente anche fuor di fiction.
Il genere demoniaco era stato enciclopedicamente sviscerato dall’ottimo dossier n. 29 di Nocturno (“Il diavolo probabilmente”), mentre il fenomeno POV da quello (pure ottimo a mio parere) incluso nel numero 118 (luglio scorso) della medesima testata, dove pure il film di William Brent Bell veniva opportunamente sistematizzato. Dopo essere stato peraltro già analizzato a fondo da Davide Pulici nel suo articolo “L’occhio del Maligno” sul numero 114 (febbraio 2012), che anticipava l’uscita della pellicola nelle sale.Difficile compito dunque aggiungere qualcosa all’opus magnum di Nocturno su diavoli e cinema in soggettiva, o comunque a base di camera a mano. Il parere a caldo dell’umile sottoscritto è che la tecnica del POV (qui la protagonista è seguita da un documentarista, un po’ come ne L’Ultimo Esorcismo) giovi assai a svecchiare un genere che sembrava aver già detto tutto (o quasi) sul nascere, ossia col celeberrimo Esorcista di Friedkin: non solo la ripresa ‘sporca’ della videocamera a mano, coi numerosi fuori campo, fuori fuoco etc., contribuisce a ricordarci la massima lovecraftiana secondo cui “la paura più grande è quella dell’ignoto” (ossia nel film di ciò che non si vede chiaramente in campo), ma – per quanto sappiamo benissimo di trovarci di fronte a un trucco (appunto, un mockumentary, come suol definirsi il finto documentario che il film finge d’essere, sottogenere d’appartenenza de L’Altra Faccia del Diavolo) – l’effetto realismo funziona comunque, evidentemente a un livello subliminale, dato che sappiamo benissimo trattarsi di finzione orchestrata ad hoc.
I colpi di scena delle esplosioni di violenza degli indemoniati risultano più “autentici” (se si passa la contraddizione in termini), quindi spaventano maggiormente. E Pulici ci ricorda che primo compito d’un horror è pur sempre fare almeno un po’ di paura, il che qui riesce più volte, circondando anche gli spaventi di un clima d’angosciosa attesa che si nutre proprio di quegli “errori di regia” che un POV sapientemente dispensa: attese in cui non accade nulla (quindi tutto s’aspetta), sguardi (terrorizzati) in macchina, rumori fuori campo etc.
I due elementi (riprese ed economia di effetti) quindi si rafforzano a vicenda nel donare realismo a una delle materie più “incredibili” per definizione, nella società “sazia e disperata” del XXI secolo.
Da buon POV, fedele alla sua estetica povera e ‘rubata’, il resto del breve (80’ circa ) film – ossia l’indagine, i dialoghi, le scene preparatorie – ad esser sinceri è abbastanza sbrigativo e insignificante (volutamente? Chissà…). Ma le scene “forti” secondo me non deludono, pur in una materia se vogliamo ormai prevedibile: la Chiesa e il suo atteggiamento ambiguo verso il fenomeno, gli esorcisti in azione da soli e in contrasto con le autorità ecclesiastiche, i dubbi, poi i sintomi inequivocabili, infine la lotta col Maligno.
Ecco che, però, verso la fine s’innesta la variante interessante che potrebbe costituire un gradino d’innovazione nel genere: la possessione è “contagiosa”. Sì, anche nel primo Esorcista passava su von Sidow, ma qui il fenomeno si ripete più volte in breve tempo, colpendo ambo gli esorcisti e persino la protagonista, quasi ad avvicinare (notava già Pulici) il film al filone epidemico (punto di contatto fra i due il REC di Balaguerò e Plaza, dove l’epidemia zombesca nasceva appunto da un esorcismo fallito).Peccato che un finale non banalmente ottimista, però piuttosto ‘buttato via’ frettolosamente dal punto di vista narrativo, impedisca al regista di tematizzare lo spunto in una maniera che poteva essere interessante. Tra l’altro, l’emergere proprio sul finale di un ricordo della protagonista Isabella – “uno zio esorcista quando aveva 13 anni…” – lascerebbe ipotizzare che all’origine di tutta la demonologia in campo ci sia forse un caso di pedofilia familiare.
Succoso: il sovrannaturale scaturito da un Male orribile quanto “prosaicamente umano”?
Purtroppo, di più non è dato sapere. Un incidente tronca il racconto e – coerentemente colla filosofia del POV (la mdp è accanto agli attori) – anche il film, che si chiude con le frasi di rito sul “caso ancora aperto” e il rimando a un sito “per saperne di più”.
Se è il teaser di un previsto sequel, è maldestro come la chiusura sbrigativa della puntata di un serial e lascia allo spettatore un po’ d’amaro in bocca su un film che poteva lasciarci maggiori soddisfazioni. Vedremo, pare che il film in sala abbia avuto incassi promettenti all’inizio ma scemati in fretta: chissà se i produttori “sentono puzza di zolfo” su un eventuale numero due…
Mario G