"La morte è un'esperienza fantastica"
(Gaspar Noé, da Climax)
Riflettevo tempo fa sul curioso fatto che l’epoca più laica (stavo per scrivere “sazia e disperata”) della storia dell’umanità assista per converso a una decisa ripresa dell’horror di possessione: dall’Esorcismo di Emily Rose a L’ultimo Esorcismo, in realtà è stata (altro che ultimo!) tutta una profluvie di titoli basati proprio sul concetto di diavolo della religione cattolica, come i due The Conjuring, The Possession, The Vatican Tapes, L’altra faccia del diavolo, Il Rito, E liberaci dal male (appena passato in tv), colla sua interessante ambientazione poliziesca newyorkese anziché classicamente chiesastica. E son solo i titoli più famosi. In tutti, a partire dal capostipite di Blatty/Friedkin, la chiave di volta della trama è sempre l’esorcismo praticato da un (mai così apprezzato in questo periodo come negli horror) prete cattolico: il che è un po’ anche il limite del sottogenere, drammaticamente ripetitivo nella sua dinamica imperniata su fenomeni inspiegabili (anche quelli sempre gorgoglii blasfemi, contorsioni e bave schifose) – ricorso all’esorcista – iniziale rifiuto razionalista della pratica – aggravamento dei sintomi – drammatico esorcismo finale.
Tutto ancora da risolvere il quesito sociologico, scopriamo invece finalmente uno scatto in avanti nel genere a livello cinematografico nel recentissimo Luz, film d’esordio del tedesco Tilman Singer: incredibile rivelazione di un trentenne che l’ha girato (apprendiamo dalla presentazione al Milano Film Festival) come tesi di laurea all’Academy of Media Arts Cologne, scartando tutti i cliché suddetti e rivelando una personalità registica già solidissima.
La trama è semplice, anche se l’interpretazione assai meno: Luz (l’intensa, sorprendente Luana Velis, sopra a sinistra) è una giovane tassista di origine cilena in un’imprecisata città di lingua tedesca. Entra da sola e visibilmente contusa in una stazione di polizia, deve essere interrogata dall’ispettrice Bertillon (Nadja Stübiger, foto sotto a sinistra), assistita dal traduttore Olarte (Johannes Benecke), isolato in cabina dietro un vetro con le cuffie, e dallo psicanalista Rossini (Jan Bluthardt). Quest’ultimo però è stato prima avvicinato in un gelido bar (unico altro ambiente del film) da un’avvenente bionda, Nora (Julia Riedler, ambedue nelle foto ai lati), che lo seduce, lo ubriaca e sembra impossessarsi di lui (immagine a destra).
L’obiettivo è ricostruire cosa ha fatto Luz nelle ultime 24 ore in quel taxi, per arrivare in quello stato al commissariato. Non sarà facile. Lo psicanalista si serve dell’ipnosi regressiva per ricostruire il passato della ragazza: ribelle in un collegio femminile cattolico cileno, sembra aver effettuato rituali sciamanici su una compagna di scuola. Singer procede per flash, abbagli – sia visivi che narrativi – senza regalarci spiegazioni: come però dice lui stesso in un’intervista su Dread Central, “c’è un’entità demoniaca che desidera quella ragazza” e, beffandosi dell’ipnosi, risalirà dal corpo dell’amica e compagna di scuola Nora ad occupare quello dello psicanalista (foto a destra), che finirà per spogliarsi e rivestirsi da donna, per poi accostarsi a Luz in un bacio saffico per interposto corpo. Il ritmo è sempre più frenetico, la stanza si riempie di nebbia come se Luz fosse in grado di materializzare l’ambiente esterno nella sala dell’interrogatorio, rivive l’incidente, i due poliziotti sono sconvolti, Bertillon spara nella nebbia. Ma a chi?
Niente preti, nessun esorcismo, niente rigurgiti verdastri né teste che ruotano sul collo a 360°. Ma neanche alcuna catarsi finale a sciogliere la tensione. Alla fine, Luz esce dal commissariato da sola, esattamente come vi era entrata, seguita dalle frasi che l’hanno accompagnata a più riprese per tutto il breve film (70’): una parafrasi blasfema del padre Nostro e la domanda “è proprio questo che vuoi? Come puoi continuare a vivere in questo modo?”. Ma chi veramente sta uscendo da quel luogo?
Il regista non ce lo dice, come non sapremo il nome del demone, la sua vera origine, di che culti sudamericani si tratti né altri dettagli realistici chiarificatori. Ma in compenso usa divinamente la mdp e la sgranata fotografia 16 mm di Paul Faltz, dilatando gli esigui spazi fino a farci vedere anche quello che non filma attraverso un geniale sound design (Jonas Lux, Henning Hein e Steffen Pfauth): Luz mima i movimenti della guida e noi ne sentiamo i rumori nella stanza vuota, finché – attraverso il sincopato montaggio dei flashback e la nebbia nella stanza – ci ritroviamo proiettati nel taxi maledetto insieme allo psicanalista ormai posseduto dal demone-femmina.
Non meno efficaci allo straniante clima d’inquietudine creato dalla regia – che ci riporta l’ermetismo del Possession di Zulawski e le identità violate del recente, bellissimo Hereditary, l’altro caposaldo imprescindibile nell’innovazione del sottogenere demoniaco (recuperatelo se non l’avete ancora visto!) – sono le musiche elettroniche minimaliste di Simon Waskow, fredde come la messinscena ed evocatrici di altri fantasmi, quelli dei Can degli anni ’70.
E, sull’onda della musica elettronica, potremmo fin cedere alla tentazione di un vago parallelo con lo straniamento psichedelico del Climax di Gaspar Noé: un vero saggio sulla techno come nuova psichedelia, a sua volta visto al MFF e – per quanto diversissimo – chiuso in un bozzolo di pari ellissi narrativa (in cui il regista ci guida mostrandoci le sue vhs di Possession - guarda un po' - Suspiria, Un chien andalou, Querelle e Inauguration of the Pleasure Dome di Kenneth Anger, secondo me il riferimento più diretto del suo film). Nessun demone se non quello della droga nel film del provocatore francese sulla festa dei ballerini ma, come dice Gomarasca nella sua recensione per Nocturno, “un’affascinante quanto ripugnante messa dionisiaca dove le peggiori atrocità accadono di fronte a una platea incapace di dare un valore morale alle azioni compiute”.
E, se pensiamo che fra i cartelli posti a stacco fra le scene verso la fine si staglia quello che dice “la morte è un’esperienza fantastica”, non sembra poi così fuori luogo collegare questo “rave di morte” col suo precedente Enter the Void sulla trasmigrazione delle anime e, per proprietà transitiva, coll’ermetico debutto di Singer.
Volo pindarico? Se seguite i movimenti di macchina ubriachi del Noé, cosa non lo è?!
Purtroppo, a differenza dei numerosi prodotti di consumo “medi” citati in apertura, Luz non è al momento in distribuzione in Italia: dopo il passaggio al MFF sarà al Festival di Sitges ma, come tutte le opere sperimentali, non sarà di facile reperimento dalle nostre parti. Climax invece lo recuperate più vicino: apre il ToHorror Festival mercoledì 10 ottobre.
Buon viaggio. In ogni senso.
Mario G