"In mezzo ai miei piedi un tappeto di cose immonde che brulicano..."
(cit. dal testo)
La storia di Beatrice Cenci, giustiziata a soli 22 anni nel 1599 per un meritatissimo parricidio di autodifesa, è una tragedia storica che fa impallidire per crudeltà anche quelle di Shakespeare (e tanto horror contemporaneo). Siete ignoranti di storia come il vostro Recensore? Ripassatela sulla Wikipedia al link sul nome della sfortunata aristocratica romana, ne trarrete un quadro più che bastevole a farci un'idea di cosa fosse quello che oggi si chiama "patriarcato" sui media, quando l'Italia era retta da sovrani (laici o apostolici) non più illuminati, almeno nei rapporti col gentil sesso, dei talebani afghani attuali.
Vi troverete anche compiuto elenco delle poco meno di venti opere letterarie tratte dall'orribile fatto storico, della quasi decina di opere musicali e delle otto in campo cinematografico, di cui forse la più nota - quella di Lucio Fulci del 1969 - è solo la penultima: qui sotto una drammatica clip delle abbondanti torture messe in scena dal "poeta del macabro", che nella fosca vicenda dei Cenci ha trovato pane per quella che la critica francese ha definito "crudeltà artaudiana" del suo cinema pulp.
Definizione che in parte tradiva però gli intenti del loro geniale e (all'epoca) incompreso connazionale Antonin Artaud, che col termine "crudeltà" intendeva impietosa ricerca di una verità catartica, costi quel che costi psicologicamente sia all'attore che al pubblico, non certo un dispiego di sangue per puro gusto grandguignolesco. Eppure anche il grande attore-regista-drammaturgo fu attratto verso la morbosa storia della povera nobildonna rinascimentale violata dal padre e infine vendicatrice di se stessa, dei torti subìti da lei, dalla matrigna Lucrezia, dal fratellastro parimenti abusato con l'allora punitissima sodomia, non meno che dai rivali politici, della cui violenta eliminazione Francesco Cenci godeva intensamente.
Come dice, urla, Claudia Franceschetti delle Scimmie Nude, sola in scena a reggere la parte di Beatrice, dell'antagonista Francesco, e di qualche immaginario aristocratico ospite delle sue scellerate orge romane, contrario alla sua condotta ma come tutti troppo timoroso della sua vendetta per opporsi nei fatti alle scelleratezze di questo Gilles de Rais capitolino. Tollerate anche da papa Clemente VIII, che alla fine punì i figli congiurati nell'eliminarlo per autodifesa con la pena capitale, dimostrando - se analizziamo il caso con gli occhi dell'antropologo - che all'epoca il delitto di parricidio era comunque considerato più grave della somma di nefandezze di cui quel padre si era macchiato.
Le quali dunque ispirarono, fra gli altri, Percy Bysshe Shelley, che nel 1819 scrisse la tragedia in versi I Cenci (The Cenci) in 5 atti, che evidentemente colpì l'Artaud, il quale a propria volta nel 1935 ne trasse il dramma in prosa Les Cenci, rappresentato per sole 17 recite nel maggio di quell'anno al Théâtre des Folies-Wagram di Parigi perché "troppo surrealista", troppo "artaudianamente crudele" e - se stiamo sempre alla Wiki - comunque anche visivamente violento per il pubblico dell'epoca.
La messinscena diretta, riportando in vita la drammaturgia quasi un secolo dopo, da Gaddo Bagnoli per Scimmie Nude si basa su uno spazio scenico a X (o a croce greca, direbbe qualche amante dei supplizi storici, v. foto a sinistra) rivestito di rosso, con un piccolo "camerino" celato da una tenda ad ognuna delle 4 punte della croce, da cui l'attrice può così scendere e uscire di scena nell'abito grigio da dama rinascimentale con cui impersona Beatrice, per cambiarsi infilando la cotta e gli stivali rientrando poi in scena e muovendosi lungo i rami della X come il turpe e ringhioso Francesco (o un'altra figura di contorno maschile). Personaggi che la Franceschetti serve con abili torsioni vocali per passare da un registro più femmineo a uno più maschile, in una performance che predilige il testo e la parola all'aspetto performativo del teatro danza, comunque nel dna della scimmiesca compagnia. Che ha disposto noi spettatori intorno alla X, sulla gradinata a fianco della regia/mixer (ottimo il minaccioso soundscape originale di Antonio Mainenti), in un giro di sedie addossate alle pareti o su cuscinetti a terra per un supplemento di "crudeltà artaudiana" per i più giovani e flessuosi.
E' una tragedia breve, quella rimessa in scena oggi, che non dura molto più di un'ora di "crudeltà" corpo-voce-costumi-suoni per l'unica interprete in scena, ma è giusto così: diretta al punto e intensa.
Poi, dopo i (lunghi) applausi, il regista Bagnoli si è prestato a un simpatico "gioco interattivo con drink" col pubblico, utile per riflettere su quanto appena visto sul "palco". Qui a destra vedete la lavagnetta con le definizioni proposte da noi spettatori dello spettacolo (indovinate qual è quella del Vostro Umile Recensore) e commentate dal regista.
Perché il teatro della crudeltà alla fine deve "trasformare" anche chi vi assiste, no?
Mario G.
PS: foto di scena courtesy ufficio stampa Teatro della Contraddizione, tranne le ultime tre, "pugnale in rosso", "palco a X" e "lavagna", scattate da Mario con smartphone durante lo spettacolo del 21 novembre.
La cit. in apertura è riportata a memoria, Posthuman si scusa con regista e attrice se non fosse del tutto precisa.