«Il leader è sufficientemente abile da produrre stati alterati di coscienza durante i quali è possibile sottoporre il soggetto a una suggestione autoritaria. (…) Quando mi toccava, sentivo vibrazioni che irradiavano dal suo corpo e che mi colmavano completamente di un senso di pace e di benessere.»
(Jean-Marie Abgrall, La Mécanique des sectes)
Poco prima di Ferragosto vi consigliavamo Holidays come “un buon horror per rinfrescare pigre serate estive”. Bene, con The Invitation (di cui vedete la locandina italiana qua sopra e quella internazionale qui a destra) siamo ben oltre: il film di Karyn Kusama (regista di Girlfight, Aeon Flux e Jennifer’s Body) in verità condivide col citato horror a episodi solo l’essere stato distribuito in home video da Midnight Factory nello stesso periodo estivo, ma per il resto è tutt’altra pasta. Anzitutto è un lungometraggio (anche se breve, 96’ ormai definiscono un film succinto!) e non un’opera collettiva; e poi, in fondo, non è neanche proprio un horror a ben guardare: anzi, la storia inizia come una specie di Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese più teso psicologicamente (c’è meno humour intorno alla riunione di amici nella casa che fu di Eden/Tammy Blanchard e Will/Logan Marshall-Green e ora lei condivide col neo partner David/Michiel Huisman, si capisce in fretta che non è tutta amicizia quella che sprizza) e solo nell’ultimo quarto d’ora circa assistiamo alla degenerazione delle relazioni all’interno del gruppo verso il thriller puro.
Ma sempre di violenza tutta umana si tratta, beninteso: niente occultismo, streghe o fenomeni paranormali, se non quegli “stati alterati di coscienza” prodotti nella mente umana – e tanto facilmente, ci insegna la cronaca – appunto dal potere di un parimenti umanissimo leader carismatico, come accennato dalla citazione dello psichiatra/criminologo francese riportata in apertura.
È infatti proprio a una delle sette di cui Abgrall s’è tanto occupato che si sono rivolte Eden e il suo nuovo partner: lui un ex produttore discografico stressato, lei per superare la tragica morte accidentale del figlio che aveva avuto col precedente marito, il protagonista Will appunto, invitato alla cena insieme alla nuova compagna Kira. La coppia presenta agli amici un video in cui il loro guru, a coronamento della liberazione dell’anima dai pesi superflui, “aiuta a morire” un’adepta, per favorire il suo ricongiungimento con un caro scomparso. E chi non ne ha uno da qualche parte? Sembrerebbe alla fine l’obiettivo principale di una delle tante congreghe “feelgood” fiorite nella California post hippie e dedite a riconnettere fricchettoni e divi nevrotici “con il proprio sé più profondo” a colpi di diete salutiste, sesso tantrico, spinelli o pillole per favorire la meditazione, a prezzo (sovente) di molti dollaroni sonanti. In qualche caso, a prezzo del sangue.
E Will non ci sta, da subito: lui non crede di poter superare il dolore per la perdita del figlio solo con la salvifica devozione all’ultimo santone in giro ad Hollywood e sente subito puzza di bruciato: dietro i sorrisi stampati di quella che fu la sua straziata coniuge e del suo affascinante boy friend-amicoditutti nota porte chiuse a chiave, inferriate alle finestre, pillole (guarda un po’) in dosi industriali, improvvisi schizzi di rabbia per chi dissente (il pacioso amico Ben si becca uno schiaffone per una battuta)… già, proprio tutti gli elementi del plagio, corroborati dall’atteggiamento eccessivamente “sedato” dell’ex moglie e di “sexy Sadie”, un’altra amica del gruppo che sembra proprio l’archetipo della scoppiata hippie tutta sesso e canne; o del corpulento Pruitt/John Carroll Lynch, a sua volta in fuga dall’incubo d’aver per sbaglio ammazzato la moglie quand’era ubriaco.
Per un po’ il barbuto Will fa la figura dell’isterico che non sa rilassarsi, ma quando l’ambiguo David accende una lanterna rossa in giardino lui capisce che si tratta di un segnale per l’inizio di qualcosa che col sentirsi bene c’entrerà pochissimo…
Il film della Kusama – che cita Rosemary’s Baby fra le proprie influenze in campo di paranoia movie, ma appunto scarta Lucifero in favore dei demoni della nostra mente – è assai ben servito dal team di interpreti sopra citati, tutti credibili in una recitazione che deve favorire il crescendo attraverso una serie di sottili sfumature di gesti ed espressioni più che di botti ed effetti speciali, oltre che nel valorizzare l’economia degli spazi (dopo il prologo stradale di Will e Kira, tutto il film si svolge nella bella villa di Eden). Come notano giustamente Pulici & Gomarasca nel booklet del dvd, come in un buon paranoia movie “deve dominare il dubbio se ciò che un personaggio di riferimento crede o teme sia reale o no”. Ecco, Will qua e là prende sì lucciole per lanterne, ma secondo me a noi spettatori risulta subito chiaro che in quella villa qualcosa non va per il verso giusto e che la responsabilità sia da attribuire ai troppo sorridenti padroni di casa e non all’ispido ex marito dolente.
A parte questo dettaglio, la svolta sanguinaria, dicevamo, è rapida ed efficace, anche senza eccedere nello splatter. Ma il finale – che non si deve svelare – rincara la dose in maniera geniale, con solo una panoramica sulla collina punteggiata di lucine delle altre villette e un po’ di rumori d’ambiente, aprendo però le porte a un agghiacciante scenario apocalittico ballardiano (e parlo del Ballard postmoderno della tetralogia di Cocaine Nights, in cui il male sgorga insensato proprio dai santuari del benessere e del tutto-a-posto).
Da vedere sicuramente, magari anche per tirare un ardito parallelo e vedere dov’è finito lo spiritualismo superstizioso dei coloni americani del ‘600, fra cui è ambientato il The Witch di Robert Eggers, proprio in questi giorni in sala (a Milano purtroppo solo all’UCI Bicocca ma meglio che niente, no?).
Mario G