Con l’eco dei 3 Oscar incassati contro le previsioni (Cronenberg disse a del Toro in quel di Cannes che il suo film era molto bello ma che la giuria non l’avrebbe mai premiato perché era un fantasy) che ancora rimbomba, Eagle Pictures pubblica il dvd (per nolo e vendita) de “Il Labirinto del Fauno” di Guillermo del Toro mentre lo fa fugacemente riapparire pure nelle sale. La copia in nostro possesso è priva di extra (ma per i feticisti ne sta per uscire una a doppio dvd), la qualità del film in digitale nella media dei prodotti recenti, non tradisce le atmosfere prevalentemente buie e “da orchi” della storia. Ma non è dell’oggetto che vogliamo parlare.
Se non l’avete visto al cinema (e anche se l’avete visto, come me), è un must e uno dei film più originali che ci ha offerto la stagione 2006. E ve lo dice uno che dopo 15 minuti di Signore degli Anelli (qualsiasi episodio) già guarda altrove. Il Fauno di del Toro è un fantasy “adulto”, se ci passate l’ossimoro, che ha ben pochi riscontri nel cinema contemporaneo: il “Re-cycle” dei fratelli Pang, forse il più estetizzante “Mirrormask” di Dave McKean, o il “Tideland” di Terry Giliam (che attendiamo di vedere)…
Insomma, non sono proprio in molti a saper utilizzare fate, fauni e creature di fantasia (fiabesche e orribili al contempo, proprio come le fantasie dei veri bambini) per riflettere sulla mostruosità del mondo reale. Giacché, avrete notato, nel film le nefandezze son sempre attuate dagli umani, mica dai “mostri”. L’operazione è virtuosistica, perché la sceneggiatura riesce a portare avanti perfettamente parallele – e altrettanto credibili ai nostri occhi – sia la vicenda storica del bieco capitano franchista Vidal e dei partigiani resistenti, tanto quella del mondo fatato in cui si rifugia la bambina Ofelia, per sfuggire a tanta insensata crudeltà e ottusità dei “grandi”. Fino all’amaro finale (non ci dilunghiamo sulla trama, dandola ormai per nota ai più), in cui i due mondi si ricongiungono melodrammaticamente ma con rara efficacia drammaturgica. E anche il finale amaro per una fantasy “fiabesco” è un bel colpo di coda, non dimentichiamolo.
Uscendo dalla sala, ricordo d’aver pensato: “bellissimo, ma a chi piacerà un film così, che lascia un po’ d’amaro in bocca sia ai cultori del fantasy che a quelli del cinema d’autore serio?”. Puntualmente, pochi giorni dopo, ebbi la conferma da un’amica che si disse un po’ delusa, perché “s’aspettava un fantasy e non una ricostruzione della guerra civile di Spagna” e, subito dopo, mi poneva la domanda chiave: “ma, secondo te, il fauno c’era davvero o era tutta una fantasia della ragazzina?”.
Capite? È geniale: il film regge perfettamente, sia che voi scegliate di credere alle fate e consideriate reale la discesa nel mondo delle tenebre di Ofelia, sia che voi pensiate il coté fantastico come una via di fuga psicologica di una bambina schiacciata da un mondo drammatico per il quale l’infanzia, la delicatezza e la fantasia sono pesi morti (il film è ambientato nel ’44 ma… vi dice qualcosa su altri mondi che avete sotto gli occhi?).
In questa perfetta coesistenza delle due dimensioni, aperta alla nostra libertà di interpretazione (stavo per dire alla nostra voglia di crederci) sta la valenza più “posthuman” del film, nel senso dickiano del termine: utilizzando l’armamentario narrativo della fiaba, del Toro fa un’operazione che potremmo quasi accostare alle dimensioni parallele dei romanzi di Philip Dick, che invece li tracciava con gli strumenti della fantascienza. Altri toni, altri registri, certo, altri apparati di riferimento, ma… pensate un attimo a Ubik (“Io sono vivo, voi siete morti”), ai mondi/storie capovolti della Svastica sul sole… e alle storie non-storie di David Lynch, che ci mostra un’attrice, la quale recita un personaggio, poi lo vive, poi vive il suo precursore, poi esce di scena e incontra lo spettatore… certo, in questi libri/film c’è tutto un discorso metalinguistico ed epistemologico che non è nel mirino di del Toro, ma in nuce la questione delle dimensioni parallele e il crollo di un concetto logico lineare di “realtà” c’è anche qui ed è sviluppato mirabilmente.
Alla fine, la scelta è nostra, ci dice il regista messicano: le fate sono incredibili e, usciti dal film, torniamo nel nostro mondo grigio senza fauni e magie, in cui sono la “ragione” e la “logica” (o la real politik) a creare i mostri? Bene, l’abbiamo voluto noi “uccidere il bambino dentro”.
Come dice il capitano Vidal, uno dei cinestronzi più granitici e memorabili degli ultimi anni ma in fondo un cattivo lucido e intelligente, “siamo tutti qui per scelta”.
Scegliete la vostra dimensione e buona visione.