Spellbound (letteralmente “avvinto”) è il titolo originale del film da noi noto come Io ti salverò di Sir Alfred Hitchcock con Ingrid Bergman e Gregory Peck, prodotto nel 1945 da David O. Selznick, appassionato di psicanalisi come il regista, che vi ritrovava i suoi temi preferiti, la colpa e la confessione e che definì il film «...una storia di caccia all'uomo presentata in un involucro di pseudo-psicanalisi».
Che per il soggetto si ispirò al romanzo del 1927 dalle tinte gotiche La casa del dottor Edwardes di Francis Beeding (nom de plume di due scrittori britannici di romanzi gialli, John Leslie Palmer e Hilary Aidan St. George Saunders).
Libro che in Italia trovate pubblicato dal Saggiatore, anche se sempre col titolo nostrano del film.
E che, ciò che qui più conta, per la celeberrima scena onirica dell’analisi su Gregory Peck/Ballantyne (che potete ripassare nella clip qui sotto) si affida alle visioni di un esperto della materia, l’allora 41enne Salvador Dalì, coi colleghi surrealisti maestro della visualizzazione dell’inconscio e cineasta a propria volta (la scena delle forbici che tagliano un occhio, che vedete riprodotta nello still frame sopra a destra, omaggia il Chien Andalou di cui l'artista catalano fu coautore con Buñuel, insieme a L'âge d'or).
Proprio da questi due film sperimentali Dalì derivò l’immaginario che voleva il maestro del brivido britannico da poco trapiantato a Hollywood: non più «...la nebbia che confonde i contorni delle immagini» o «... lo schermo che trema», ma «...tratti netti e chiari», contorni taglienti e immagini piene di luce, come nei quadri di Dalí e de Chirico.
Ebbene, la mostra Spellbound: Scenografia di un Sogno a cura di Beniamino Levi in corso a Napoli alla Basilica seicentesca di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta presenta per la prima (e unica) volta in Europa le scenografie originali di trenta metri create da Dalì per il film di Hitchcock, che calano lo spettatore all’interno della mitica scena del film con occhi che spuntano dalle pareti e dai tendaggi, uomini senza volto e oggetti dai bordi contorti.
Qui sotto un breve trailer, ma se n'è parlato anche nella puntata di Wonderland del 31 maggio scorso:
Il capolavoro di Dalì è inoltre avvalorato da proiezioni e dalla colonna sonora premio Oscar del compositore Miklos Rosza, in cui spicca un innovativo impiego del theremin, “nonno del sintetizzatore” in seguito molto usato soprattutto nelle soundtrack di fantascienza.
“Film quasi schizoide, in completo conflitto con se stesso, che vuole trasformare in thriller lo studio psicanalitico, ma allo stesso tempo rifugge verso il poetico (la metafora dell’albero scompigliato dal furore del vento, la citazione). Che vuole la verità ma si lascia da subito corrompere dal potere immaginifico del sogno" (dalla bella recensione di Quinlan.it), Io ti salverò ebbe comunque un notevole successo ai botteghini, pur essendo stato considerato a lungo dalla critica un Hitchcock “minore”: costato un milione e mezzo di dollari ne fruttò sette al produttore: nel giro di poche settimane aveva già reso otto volte il suo costo!
Secondo i registi Rohmer e Chabrol è «...un grande film d'amore dove la donna intesa come angelo custode assume il ruolo protettore e materno... di confessore e di salvatrice».
L’esposizione ruota dunque intorno ai concetti di paranoia, perdita della memoria, fase onirica, psicoanalisi e recupero della memoria e comprende oltre cento opere originali di Dalì (sculture in bronzo, opere in vetro Daum, grafiche, libri illustrati, tarocchi daliniani, oggetti di design e arredi surrealisti), valorizzate dalla dimensione cinematografica hitchcockiana e da originali effetti sonori e multimediali.
A proposito: abbiamo precisato “unica volta” perché la mostra, patrocinata dal Comune di Napoli, dopo l’Italia volerà direttamente a Seul e di lì a New York. All’esterno della Basilica partenopea, la monumentale scultura di Dalì La Persistenza della Memoria, dialogherà con la Pietrasanta, proprio nel cuore pulsante del centro storico di Napoli. E questo però nessun’altra città del mondo potrà replicarlo.
Mario G