Mentre Nocturno di questo mese celebra il docufilm Osannaples di M. Deborah Farina sulla storica - ma ancora attiva - prog band napoletana (*), noi ci spingiamo un passo più avanti ad analizzare lo sviluppo di una scena punk all’ombra del Vesuvio. Il Punk è uno stato d'animo, non solo un genere musicale: il suo diffondersi tra i giovani tra la fine dei ‘70 e l'inizio degli ‘80 del secolo scorso è stata una deflagrazione che ha investito il mondo occidentale da New York a Londra, attraversando l'Europa fino ad arrivare in Italia, dove è riuscito ad attecchire anche nella parte più notoriamente tradizionalista e poco avvezza alle influenze internazionali, cioè il Sud.
Ce lo racconta Davide Morgera, giornalista e musicista, in Africani Marocchini Terroni, un romanzo/diario pubblicato dall'etichetta/editrice Goodfellas, in cui descrive l'avvento del movimento Punk, il cui impeto coinvolgerà anche la gioventù partenopea al grido di Do it yourself!
Alle origini della scena
Siamo nel settembre del 1979, l'Italia è una dimenticata colonia sul fondo dell'Europa, ancora provinciale e nel pieno degli anni di piombo, degli schieramenti politici e delle repressioni inflitte alla nuova generazione di “Kids”, che più di ogni altra cosa brama la libertà espressiva.
Il loro riscatto arriva con la benedizione di una sacerdotessa che, come in un rito religioso, porta in Italia il sacro fuoco del Rock, che esplodeva e mutava forma già da diversi decenni altrove, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. I due concerti che Patti Smith ha tenuto in quel fatidico mese a Bologna e a Firenze sono da considerare la scintilla che ha infiammato il fervore giovanile, assetato di scoprire nuovi eroi, nuovi suoni e un nuovo immaginario collettivo.
Tuttavia la colonizzazione del BelPaese da parte di questa forza esplosiva è stata lenta, in particolare al Sud. Nonostante il super concerto che Lou Reed aveva tenuto allo stadio Partenio di Avellino, facendo drizzare le orecchie ai punx meridionali – che probabilmente non sapevano neanche di esserlo – il Sud rimaneva sempre isolato geograficamente e culturalmente dal resto dell'Italia e dal mondo. Certe sonorità hardcore che si facevano largo tra la folla di ragazzini che desiderava metter su una band per imitare i Clash o i Sex Pistols erano ancora materiale alieno al di sotto di Roma.
Dove fare il noize
A Napoli, in particolare, i contesti sociali erano molto diversi dalle situazioni inglesi e americane che avevano generato quel suono, eppure in maniera totalmente sotterranea cominciava un certo fermento di cambiamento: anche qui la gioventù cercava un modo di liberarsi dalle ragnatele del cantautorato e dalla tradizione della tammorra, i “Kid” avevano l'esigenza di poter esprimere se stessi, di portare alta la bandiera del Do it yourself, di voler esser Punk.
Questa è una delle tematiche che con forza serpeggia tra le pagine di questo mémoire di Davide Morgera, un libro che racconta uno spaccato di storia nascosto, ma fondamentale per comprendere la potenza di un movimento che si è imposto come un'onda di anarchia musicale in America, GB e quindi in tutta Europa, prendendo le forme di ribellione che ogni luogo offriva, perché in ogni posto c'è sempre una ragione per incazzarsi e urlarlo a pieni polmoni, magari imbracciando una chitarra scordata, tanto della tecnica non ci frega, o di sfogare i propri turbamenti adolescenziali sui tamburi della batteria, proprio come Morgera ha fatto con i suoi Underage, tra il 1981 e l'83.
Come scrive l'autore stesso: “Può esserci un Punk indigeno e autoctono, in definitiva italiano? Non abbiamo propriamente la faccia slavata e le espressioni alla Johnny Rotten, non camminiamo senza meta sulla Bowery come i Ramones, non siamo squatters in una grigia città industriale, non siamo ai limiti di una vita fatta di disperazione e sostanze stupefacenti, non abbiamo Thatcher e Reagan. E allora, che cosa può far diventare noi mediterranei dei veri punk se il contesto socio-culturale, antropologico e fisiognomico è diverso da quello del mondo anglo-americano? Che cosa succede in città che può giustificare una sfilza di testi di protesta contro tutto e tutti? Ma che cosa succedeva, allora, in città? Come farsi conoscere, come lanciare il nostro grido, questa freccia impazzita, questo pugno nello stomaco al perbenismo di una città già schiava di Pino Daniele, rock progressivo, cantautorame, nacchere e tammorre?”.
La sofferenza del modo giovanile nel contesto sociale di quegli anni va ricondotta al problema della disoccupazione e della camorra, e al voler liberarsi dai provincialismi, ma le motivazioni vere forse vanno ricercate nel turbamento universale che richiedeva a piena voce un cambiamento, e questo accomunava tutti, ad ogni latitudine. Una sensazione che non appartiene solo a quegli anni, ma anche alle generazioni successive, di cui faccio parte anche io, che sono cresciuta in questi lidi. Nonostante la sua mole da metropoli, Napoli ha trovato sempre difficile coordinarsi con le realtà delle altre grandi città italiane, ci è riuscita meglio la vicina Salerno, forse meno intimorita dalla cultura e dalle tradizioni delle tribù autoctone, che in quel periodo ha visto nascere band come gli Spizois e Criminal Generation.
PostalPunk e fanzine
L'isolamento, però, era solo apparente, perché esisteva una fitta rete di interscambio tra la gioventù che voleva scoprire i cambiamenti in atto oltr'Alpe e nelle varie città del Nord Italia, consapevoli che solo scambiandosi informazioni su concerti e dischi in uscita si poteva creare un tessuto abbastanza forte ed elastico da poter assimilare e rendere proprie le sonorità irrispettose del punk. Così scopriamo (o ricordiamo per chi c’era) che prima di internet i ragazzi intessevano complicate e faticose catene di amici di penna e scambi di materiale, che le Poste Italiane hanno inconsapevolmente contribuito ad alimentare. Davide Morgera ne è stato un vero promotore, a lui si deve la vivacità del movimento, che trova il proprio mezzo nella circolazione delle fanzine. Tuttavia il suo riconoscimento più grande è quello di aver portato il punk a Napoli non solo in maniera teorica, ma anche concretamente prima con gli Elettroencefalogramma e poi con gli Underage.
Gli Underage nascono proprio con l'intento di riscattare la città e cercare di portare la scena punk al Sud, impresa quasi disperata, ma che il batterista del gruppo e cronista dell'avventura porta avanti con passione e zelo, dando vita a due fanzine seminali per il circuito hardcore, Megawave e Hate Again.
Il libro è un documento molto dettagliato di quegli anni cruciali della Napoli Punk – battezzata dal concerto evento dei Killing Joke a Mugnano, nell'estate del 1983 – dell'ascesa e caduta di una band che è la metafora stessa del movimento nel capoluogo campano, una storia che ha un carattere universale perché racconta delle vicissitudini che ogni rock band del globo affronta: dal problema di dove fare le prove (nel garage di papà non si può sparare l'ampli a palla come i dettami del genere impongono), perché non ci sono posti adeguati per fare certe cose e mancano i soldi per la strumentazione. Quindi oltre a dover creare una band bisogna crearle un habitat adatto in cui seminare e far crescere le proprie ambizioni e i propri sogni. Queste esigenze hanno come conseguenza la nascita dei primi club a Napoli, dove i pionieri gruppi hardcore possono esibirsi e in qualche modo creare quel senso di appartenenza in cui germoglia ogni corrente artistica.
Il locale fulcro di incontri e concerti per i Punx napoletani è lo ZX – il cui patron Luciano Dari fonderà anche l'etichetta discografica Musica Massima Magnetica – il primo club nato nelle viscere dei sotterranei di Napoli, proprio come accade in un meccanismo biologico in cui la città è un organismo che genera nei propri lombi (stavamo per dire nel proprio “Sprawl”!) qualcosa di vitale e pulsante, che prende la forma di una rivoluzione culturale e artistica.
Minorenni e Disordine
Assistiamo quindi all'epopea degli Underage, delle loro prime esibizioni, e delle loro occasioni mancate, come il famoso concerto dei Disorder a Bologna, di cui sarebbero dovuti essere i supporter, ma tutto salta per colpa dei ritardi dei treni; tutti ostacoli che la mancanza di mezzi acuisce. Trovarsi così distanti dai punti nevralgici in cui il movimento era più vivace è fonte di frustrazione per i nostri eroi, che si sentono diversi nella loro stessa città, che li addita solo per delle spillette appuntate ai giubbotti di pelle, figurarsi portare le creste colorate che contraddistinguevano l'imperante look del Punk londinese. Per Napoli erano arditezze, i costumi non erano ancora sdoganati come oggi. Vestire in un certo modo era come portare una bandiera, era uno schieramento per niente modaiolo, ma assolutamente ideologico. Il Do it yourself si esprimeva con tutti i mezzi possibili, soprattutto con il look. Il gruppo si barcamena tra i tentennamenti di alcuni membri, e rischia lo scioglimento proprio alla vigilia del primo album, Afri-cani. Come in un'epopea romantica, i pionieri del PartenoPunk (neologismo nostro) si bruceranno prima di sorgere realmente, seguendo l'anarchica ideologia del movimento, insofferente a schemi e dettami, che si nutriva di una genuina e spontanea autodistruzione.
I frutti della mala semenza
Il messaggio che trapela dalle pagine è quello del forte legame e reciproco supporto che le varie band hanno avuto fra di loro, vero motore e linfa per la vita della corrente musicale. Per esempio, i bolognesi Raf Punk supporteranno gli Underage per la realizzazione del loro disco, Afri-Cani.
Dal collettivo attivista nato attorno agli Underage germoglierà poi il gruppo dei Napunxs, seme dei centri sociali Tien'a Ment e Officina 99, nati rispettivamente nel 1989 e 1991. Proprio quando finalmente ci sono i posti in cui radunarsi e fare le prove, il punk muore, almeno quello purista di prima e seconda generazione. Prende il sopravvento l'Hip Hop – forse perché l'anima della città è più in sintonia con il genere e le sue tematiche – e le successive ibridazioni con altri generi, come il metal, con un sottobosco di band nate sulla scia dei Randagi.
Ne parla anche Mario G nel suo Sound Invaders nella puntata del 30/03/2021 di Wonderland (v. schermata della rubrica e copertina dell'album Beast Must Regret Nothing qui sotto).
A partire da 25'58 circa della puntata, vi trovate citazioni di Sub Terra di Vitolo, Sophya Baccini, Maethelyia e soprattutto dei nuovi, rombanti partenogarage The Devils.
Purtroppo, per una questione anagrafica, personalmente mi sono persa l'avvento del PartenoPunk, ma ho potuto godere dei benefici che la passione dei ragazzi di allora ci ha regalato, portando la musica rock a Napoli, liberandola e liberando anche noi punxs delle generazioni successive dalla sudditanza culturale di sentirci sempre “figli di un dio minore”. A loro si deve il fermento che si è avuto in seguito. Con gli anni Novanta si è assistito proprio ad un intensificarsi di musicalità incrociate, con contaminazioni africane e rockeggianti che si mescolavano ad un ritrovato interesse verso la musica popolare. Ne conseguirà un postmodernismo musicale, in cui il rock si fonde alla tammorra, con ballerine tarantolate che ballano scalze al suono delle chitarre elettriche dei Crocevia e i Novaroots sulle spiagge di Capo Miseno, dove la scena trova il proprio humus. Uno scenario a cui sento di appartenere anche io, visto che ero parte del suo circuito di promozione, disegnando le copertine dei dischi e le locandine per il volantinaggio.
Ringrazio Morgera per aver mostrato un volto della mia città che ci era oscuro, grazie a lui abbiamo un quadro più chiaro della complessità di una città che si ama e si odia, capace di rispondere a stimoli così diversi dalla propria natura che a noi pare sempre così provincialista, e che forse tanto provinciale alla fine non è (*).
Roberta G.
P.S.: (*) Tornando sul discorso del provincialismo, è solo il caso di ricordare che il face paint che rese spettacolari i live set dei Genesis il giovane Peter Gabriel lo apprese proprio dagli Osanna, probabilmente durante un concerto genovese dei primi '70.
N.B.: Copertina e foto del libro courtesy Goodfellas. Foto delle ballerine tarantolate by Roberta G.