In un fortunato servizio di ormai ben 5 anni fa (all’epoca ripreso sul suo blog da un Assante ancora ignaro del FantaRock che lo attendeva nell'imminente futuro), tracciavamo alcune curiose linee di collegamento fra rock psichedelico/progressive, punk/wave e dark/goth/metal, scoprendo impreviste interzone di contatto fra generi a lungo considerati non comunicanti.
Torniamo oggi sull’argomento con un servizio-sequel, notando che in una serie di dischi recenti quelle aree di contatto si sono assai più che rafforzate: dischi che tra l’altro sono tutti usciti in Italia – epicentro del genere prog a livello mondiale, pare – e vedono un’interessantissima collaborazione fra musicisti italiani e nomi cult di diverse stagioni del rock internazionale, a conferma della non subalternità del rock alternativo dello Stivale.
Nel Prog wave punk-a-metal del 2014 preannunciavamo che la Black Widow si proponeva “di far sbocciare i Mugshots (…) come una sorta di incrocio fra Stranglers e Blue Öyster Cult”: ebbene, nel loro notevole Something Weird uscito alla fine del 2016 l’horror garage dei bresciani convive col protopunk di Ruggeri (ospite nel singolo Sentymento), insieme ai contributi offerti da membri di Delirium (il Fossati prog), Death SS, Venom, Counting Crows e di numerosi altri metallari italici. Come del resto nel monumentale Big Red Dragon di Sophya Baccini in veste di Aradia (2013) trovavamo lo stesso Steve Sylvester dei citati Death SS accanto a Sonja Kristina dei Curved Air (prima moglie di Stewart Copeland, il quale suonò col gruppo prog poco prima di fondare i Police!), Christian Descamps dei progressivi francesi Ange, insieme a membri degli Osanna e del Tempio delle Clessidre.
Non bastasse, l’etichetta genovese ha licenziato nel luglio 2017 il doppio Annunaki a firma Chromium Hawk Machine, realizzando così il manifesto più cosmico della fusione prog wave (oltre che della musica d’ispirazione fantascientifica): un’interminabile stream of consciousness improvvisativo free form di Nik Turner – indomito sax-flautista degli Hawkwind ormai quasi 80enne – con Helios Creed, gran strapazzatore di chitarre industriali coi Chrome.
Se qualcuno fosse tentato di obiettare che quelli sopra riportati sono i consueti mix di ogni produzione targata Black Widow, potrà osservare da sé che a fine 2016 usciva per tutt’altra etichetta (Unifaun Productions) White Zombie, l’ultimo (ad oggi) album d’inediti dell’inglese Paul Roland, gran cultore di weird e horror, ispiratogli dagli insegnamenti del compianto Dr John sul voodoo in musica e prodotto da un giornalista di Rockerilla, Max Marchini, che vi suona anche basso, chitarra e percussioni. Marchini (grande amico di Greg Lake impegnato nel rilancio dell’etichetta Manticore degli ELP) ha chiamato a supportare la non eccelsa voce del Roland l’“alta sacerdotessa” Paola Tagliaferro – duttile interprete di un’avanguardia assai prog – e Annie Barbazza, altra pregevole vocalist e multistrumentista molto stimata dal parimenti compianto bassista/cantante dei Crimson/ELP, che la considerava addirittura “la più bella voce femminile che avesse mai sentito”.
Se non l’avete ascoltato, questo White Zombie (cover qui sopra a sinistra), fatelo perché secondo il sottoscritto potrebbe ben essere il disco più ricercato e originale della carriera del Roland.
E se invece vi capitasse di pensare che “alla fine queste son tutte operazioni stracult ma totalmente di nicchia”, vi ricordo che il da noi già lodatissimo Close – Lamb – White – Walls dei Twenty Four Hours (2018) è un autentico manifesto della fusione prog-wave, allineando cover dei Pink Floyd e dei Tuxedomoon in un poderoso doppio album che punta a fondere nientemeno che Beatles, Genesis, Floyd e Joy Division. Potendo vantare oltretutto gli stessi Steven Brown e Blaine Reininger dei Tuxedomoon come ospiti di lusso, che evidentemente non disdegnano né la compagnia dei musicisti italiani (Brown nell’87 pubblicò anche un mini di cover di Tenco!) né la fusione con atmosfere progressive così distanti dalla loro storica electro wave glaciale.
E che il rock italiano non suona affatto “minore” a musicisti dalle orecchie autenticamente aperte ce lo conferma ancora una volta un nuovo supergruppo misto: sono gli O.R.k., fondati nel 2015 e composti dal cantante Lef (Obake, Hypersomniac), dal chitarrista Carmelo Pipitone dei Marta Sui Tubi, dal bassista Colin Edwin dei Porcupine Tree e da Pat Mastelotto, batterista dei King Crimson dal ’93!
Loro definiscono la loro policroma miscela sonora “primordial energy with playful acoustic psychedelia and precise alternative rock, but with an added seasoning of intense ambient electronica”: ascoltando il loro ultimo capolavoro Ramagehead (uscito nel febbraio 2019 per KScope con copertina di Adam Jones dei Tool che vedete qui a destra) si sentono echi inevitabili (ed esaltanti) di Crimson moderni e Porcupine, ma anche di Floyd, Muse, Soundgarden e System of a Down, il cui cantante Serj Tankian è pure ospite in un brano. E quando finiscono quei 38 minuti rimpiangi che il disco fosse così corto perché ti sembra d’aver ascoltato uno di quegli storici dischi degli anni ’70 che in 40’ scarsi ti aprivano mondi che non avresti mai più smesso d’esplorare.
L’ultimo caso esemplare di questo nuovo excursus nella new prog wave post 2010 è quello rappresentato dall’emozionante percorso del polistrumentista Enrico Gabrielli, ex Afterhours di lungo corso poi fondatore dei Calibro 35, con cui omaggia le colonne sonore jazz funk del cinema pulp italiano degli anni ’70, dai poliziotteschi all’immaginaria soundtrack per un fantafilm inesistente di S.P.A.C.E. (2015), che se non è citato nel nostro saggio FantaRock è solo per nostra svista, ma avrebbe tutte le carte in regola per fungerne da ideale accompagnamento alla lettura. Il tastierista-fiatista Gabrielli, noto anche come Der Maurer, oltre che con Morgan, Capossela, Nada, Zen Circus e Marco Parente, ha suonato a fianco dei tardi Gong di Daevid Allen – gran mago delle teiere volanti, pioniere di molti dei percorsi che qui seguiamo – e poi con Damo Suzuki (Can), Steve Wynn (Dream Syndicate), Muse e col Mike Patton di Mondo Cane, altro omaggio dell’avanguardia alla canzone italiana suonato con musicisti italiani (Roy Paci), per approdare infine a Hope Six demolition Project, ultimo parto di P J Harvey, che ha accompagnato anche nel relativo tour live.
Collaborazione che probabilmente gli ha fatto conoscere anche Mick Harvey, che poi ha sorprendentemente coinvolto nel suo ultimo lavoro col trio The Winstons, fondato nel 2016 con Roberto Dell'Era e Lino Gitto (foto a lato) e in cui compare come Enro Winston. Sorprendentemente perché, a dispetto di una cover degli Stranglers (la suadente Golden Brown), i Winstons sono più dediti a un sopraffino prog psichedelico e canterburiano in cui mai ci saremmo aspettati di sentire in A Man Happier Than You l’ombrosa voce dell’ex perno musicale della miglior parte della carriera dei Bad Seeds di Nick Cave, che dal progressive son sempre stati distanti come la Terra dalla Luna. Se vi ascoltate il loro ultimo Smith (titolo che forma un raffinato calembour orwelliano col band name, copertina surrealista in apertura e qui a lato), uno dei vertici del 2019 in rock, italiani e non solo, vi troverete infatti una cover del Robert Wyatt dei Wilde Flowers (Impotence) cantata nientemeno che da Richard Sinclair dei Caravan, i non dimenticati colleghi di quella scena. Chiude la raccolta Rocket Belt, cantata invece da Nic Cester dei Jet, garage band australiana contemporanea.
Tre ospiti, tre generazioni, tre lontanissimi pianeti della galassia rock che i tre Winstons riescono a far felicemente coabitare nei soli 41 minuti di un altro album che finisce prima di quando avremmo sperato, lasciandoci sul palato il gusto pieno di un’avvincente avventura sonora, parzialmente riscoperta (la scena di Canterbury) e parzialmente ancora tutta da scrivere.
Un'altra gemma di rock italiano (pubblicata Ventidiciotto/Rokovoko/Sony) in cui – citando ancora Max Marchini – “il progressive è un'attitudine alla musica e non un genere”, e che quindi si fa collettore di talenti internazionali, oltre che ponte ideale fra stagioni musicali ormai sempre meno lontane fra loro.
Quello che ci auguriamo diventi presto anche l’album di cover di brani citati nel saggio FantaRock che sta faticosamente cercando di venire alla luce, con la collaborazione di diversi musicisti intervistati nel libro e… molti altri che scoprirete.
E voi pensavate che non ci fosse più niente da scoprire nella musica del 2000?!
Buoni ascolti estivi.
Mario G