«If the doors of perception were cleansed,
every thing would appear to man as it is, infinite.»
(William Blake)
Pittore e poeta, figura giustamente di spicco nella mostra L’Ange du Bizarre sul “Romantisme Noir” (vista questa primavera al Musée D’Orsay di Parigi), che proprio il cupo viluppo di onirismo e morbosità indagava, William Blake allunga le sue nere ali da tempo anche sul mondo del rock.
Non solo la citazione in apertura (dal suo poema The Marriage of Heaven and Hell), via Aldous Huxley, è responsabile nientemeno che del nome dei Doors, ma per esempio il suo dipinto Nabucodonosor (1795) ha fornito la copertina a Death Walks Behind You degli Atomic Rooster (1970, immagine qui a destra).
E qui ci avviciniamo al punto, perché l’ambizioso album messo insieme da Sophya Baccini con la sua band al femminile Aradia (altra simbologia tenebrosa: il riferimento è al Vangelo delle Streghe di Charles Godfrey Leland, la band la vedete nella foto sotto a sinistra), e la produzione di Massimo Gasperini di Black Widow, si inserisce proprio in quella temperie diciamo dark prog che nei ’70 strisciava nell’ombra dei più celebri Genesis o Pink Floyd, grazie alle più oscure armonie organ-driven di Van Der Graaf Generator (sicuramente i leader della corrente 'drammatica' del prog), Black Widow, High Tide, i perduti Necromandus o, appunto, i citati Atomic Rooster.
Sotto la copertina (in apertura) riproducente il quadro di Blake Il grande Drago Rosso e la donna vestita di sole, la virtuosa cantante napoletana d’estrazione lirica allinea dunque 13 brani per oltre 72’ di musica cangiante e prismatica, che riflette “tutti colori del buio” dipinti dal grande visionario inglese. Il quale nel suo Marriage of Heaven and Hell mirava ad equiparare ordine divino e mondo materiale, abbattendo ogni struttura morale a colpi di “the road of excess leads to the palace of wisdom” (c’informa Antonello Cresti nel suo prezioso libro Come To The Sabbat).
Per farne suono, Sophya si serve di una tavolozza strumentale ricchissima: piano, organo Hammond, clavicembalo, celeste, mellotron, synt, Moog, violino e viola, oltre ovviamente a chitarre e batteria. Oltre a una variopinta rosa di voci ospiti: Enrico Iglio del suo vecchio gruppo Presence, Christian Decamps degli Ange, Roberto Tiranti dei Labyrinth e Ken Hensley Live Fire (voce dalle vibrazioni stratosiane nel brano Just), Aurelio Fierro jr ed Elisa Montaldo del Tempio delle Clessidre, Irvin e Lino Varietti degli storici Osanna, Sonja Kristina dei Curved Air (band assolutamente da riscoprire, peraltro).
E, last but not least, Steve Sylvester dei Death SS, a dimostrazione del fil rouge che lega prog e metal nello scavo del “sonno della ragione” perseguito dal sommo Blake (il quale sosteneva anche che “L'immaginazione non è uno stato mentale: è l'esistenza umana stessa”). E del fatto che dunque forse il satanismo perseguito dal teatrale Sylvester non è poi fatto di sole mascherate.
Gran voce duttilissima, quella della Baccini (a lato in concerto con le Aradia) è comunque lo strumento che svetta sul ricchissimo impasto armonico, ricordandoci tutta la teoria delle “streghe dall’ugola d’oro”: dalla Jinx dei Coven alla Dagmar Krause degli Henry Cow, fino alla Ginevra Di Marco dei CSI e qua e là a una Diamanda Galàs più melodica.
Ma, come sempre quando ci si trova di fronte a un progetto così ampio, profondo e personale, è difficile recensirlo senza essere riduttivi: perché la stessa definizione di neo prog (o dark prog) che ho usato sopra è in sé già riduttiva, per un affresco in cui si stratificano musica classica e lirica, folk, psichedelia e progressive, certo (un cenno di The Great Gig in the Sky nel piano di Beatrice), ma anche memorie della dark wave più recente (diciamo, quella più ricercata e dilatata dei Virgin Prunes o dei Christian Death di The Scriptures, o magari del David Sylvian solista più esoterico e “spirituale”).
Un po’ come nei folli affreschi musicali dark-barocchi di Devil Doll, anche se in maniera più sorvegliata e meno isterica, il disco degli Aradia distilla decenni di musica sul lato oscuro, di concept album e opere rock.
È un disco monumentale e sicuramente di livello internazionale, che vi consiglio di ascoltare con attenzione, di filato in cuffia, con l’occhio ai testi profondamente blakeiani (in inglese, francese e italiano, con traduzioni a fronte ove serve).
Ma, se dovessi proprio indicare dei brani migliori, credo punterei su Satan, La Porta dell’Inferno, The Number (quale? Ma 666, dubitavate?!), la citata Just (su Paolo e Francesca della Divina Commedia, altra fonte d’ispirazione forte per Blake) e Cerberus (come sopra).
Buon ascolto. E... ricordate: "Per me si va nella città dolente...".
Mario G