“Perché si vede sorgere d'un tratto la sagoma della nave dei folli, e il suo equipaggio insensato che invade i paesaggi più familiari? Perché, dalla vecchia alleanza dell'acqua con la follia,
è nata un giorno, e proprio quel giorno, questa barca?”
(M. Foucault)
“Everyone was hanging out / Hanging up and hanging down
Hanging in and holding fast / Hope our little world will last.”
(Jim Morrison, Ship Of Fools)
Una cosa va ammessa, a posteriori: noi amanti del dark c’eravamo sbagliati, sul metal: nei primi ’80, noi fan di Cure e Bauhaus snobbavamo (ricambiati) Iron Maiden e Venom come musica per tamarri motociclisti, al confronto con lo stiloso espressionismo gotico dei nostri idoli discendenti da Bowie e Eno. La consideravamo musica rétro e legata agli anni ’70, con quei capelli lunghi e ancora gli assoli di chitarra… ma, a pensarci bene, la maggior parte dei nostri idoli o sono morti (Ian Curtis, Rozz Williams), o son diventati pop star commericalizzandosi (Robert Smith, Siouxsie), o si sono sciolti presto (Bauhaus, Sisters of Mercy), proseguendo carriere soliste raramente all’altezza dei debutti.
Il sottoscritto resta affezionato a quei nomi, beninteso, ma – per correttezza critica – bisogna ammettere che le star del metal si son rivelate più durature e il genere più capace di evolversi senza implodere: che si ami o meno la 35ennale carriera sempre al top dei Maiden, non si può negare che il genere che allora appariva immobile e monolitico ha poi dato vita in pochi anni al black metal (Venom e poi band scandinave), al thrash (Metallica), all’industrial di Nine Inch Nails e poi Marilyn Manson, poi il gothic/doom (My Dying Bride, Cathedral) fino a… finché il grunge non ha riallacciato i fili fra rock alternativo post punk e hard/metal: da lì in avanti i due percorsi tornano a mescolarsi e a rivitalizzarsi a vicenda.
Nasce così il cosiddetto stoner di Melvins, Kyuss e poi Queens Of The Stone Age, lo sludge (di cui devo ancora capire la differenza con lo stoner!), e poi le evoluzioni in area doom di Electric Wizard (ma anche degli italiani Doomraiser), degli Sleep, Earth fino allo sperimentalismo puro dei Sunn O))) (su cui sorvoliamo perché qui ci porterebbero fuori strada). Una psichedelia oscura da paludi infestate di bokor voodoo va a braccetto con l’hard sabbathiano, con l’impatto frontale dell’hardcore punk e del thrash metal primordiale, con le chitarre accordate sui registri più bassi per generare i suoni tellurici del doom… ok, tutto quel che segue è in qualche modo figlio di tutto ciò che l’ha preceduto, ma ogni tanto bisogna anche aggiustare il tiro delle riflessioni critiche, no? Il tutto serviva per sottolineare che è l’ibridazione dei suoni che genera l’evoluzione: infatti, se oggi ascoltate gli inglesi Interpol o i francesi Soror Dolorosa, non scoprite nulla. Che piaccia o meno, è solo un revival dei Joy Division.
Ed eccoci finalmente al punto: i Narrenschiff, band marchigiana al debutto, che prende il teutonico nome dall’opera satirica di Sebastian Brant (1494), che nel tempo ha ispirato opere pittoriche da Dürer a Bosch (vedi qui a lato) e forse – di questo non sono certo ma nemmeno lo escluderei – anche la canzone dei Doors citata in apertura. I Narrenschiff - figli di quell'evoluzione - proprio nel fango stoner/sludge affondano le proprie radici sonore, servendoci un minaccioso piatto che (come osservano giustamente le note all’album Of Trees and Demons), è “saturo di basse frequenze, psichedelia e ritmi serrati che dai padri fondatori Kyuss scava fino alle paludi di Sleep ed Electric Wizard”.
Il concept ruota appunto intorno al Narrenschiff, “questo vascello dove i folli (o gli individui etichettati come tali) sono sia prigionieri della nave stessa e del mare sconfinato che li circonda, sia completamente liberi di andare e scegliere la propria direzione”, spiega il gruppo in un’intervista a Musictracks. “Il viaggio che compiono è sia fisico che metaforico. La nave parte fisicamente nelle acque per poi attraversare foreste, deserti e finalmente prendere il volo per lo spazio dove concluderà il suo viaggio nell’orizzonte degli eventi. Metaforicamente i membri dell’equipaggio partendo dalla condizione di prigionieri, soggiogati dall’etichetta di ‘folli’, durante il loro viaggio prendono coscienza di essere qualcosa di diverso ma al contempo giusto e sensato, diventando a quel punto veramente liberi, come un dormiente che si risveglia”.
“Una delle realtà più ‘ignoranti’ dello stoner italiano”, continua la nota promozionale, e qui mi trovo meno d’accordo: sì, il suono è duro e sporco, ma non poi così “ignorante” come potrebbe apparire a prima vista. La componente psichedelica gli apre orizzonti più estesi e siderali da esplorare del fango che sta sotto i piedi. Infatti, oltre a titoli programmatici come Desert, troviamo spiritosi (presumo) riferimenti scifi come Atomic axilla, robot Godzilla e, soprattutto, il brano più ambizioso dell’album che (d’accordo con l’etichetta Red Sound e la promozione Doppio Clic) vi proponiamo in download gratuito: Event Horizon, l’orizzonte degli eventi, ossia – secondo la fisica dei buchi neri – la regione dello spazio-tempo oltre la quale cessa di essere possibile osservare il fenomeno. Non a caso, i brani dell’album sono spesso introdotti da dialoghi tratti da film di fantascienza, per introdurre l’ascoltatore al mood che lo attende.
Dal fango alle stelle, possiamo dire, anche come augurio all’affilato trio di Senigallia, che – se non si discosta particolarmente dagli stilemi del genere di riferimento – lo interpreta con convinzione e sicurezza sufficienti a non farci rimpiangere i sopra citati capiscuola. Non si discosta però amplia lo spettro sonoro di riferimento, anche grazie alla collaborazione, proprio in questo lungo brano conclusivo, di Francesco Lilli al digderidoo.
Ritmi lenti e incombenti, atmosfere minacciose, dilatazioni spaziali, per un sound forse meno spericolato, o “folle”, per es. rispetto ai già recensiti Lorø, ma date un ascolto ai Narrenschiff, coi piedi nel fango: vi potrebbero guidare all’aggancio… spaziale (come gridava Jeeg Robot nello storico anime della nostra adolescenza). Infatti, l’inserimento (pur recente) del canto, in capo al bassista Riccardo Pancotti, richiama anche piacevoli ricordi hawkwindiani: in fondo, l’incrocio psichedelica/hard, anni prima dello sludge era già nato lì.
Mario G