E chi pensava che la musica del 2015 avesse tante sorprese in serbo? Quando ho descritto Osso come uno dei dischi più arditi quanto impervi ascoltati negli ultimi tempi mai mi sarei aspettato che quel suono così estremo ed urticante avesse già un “genere” intorno a sé. Lo scopro ora, sentendo il debutto senza titolo dei padovani Lorø, trio composto da basso-chitarra-batteria (o meglio “granitic guitar, heavy-concrete drums, psychotic noise-electronic inserts”, come si presenta la band) che si definisce “Noise Math Rock”. Che col progetto della congrega Bernocchi/MoRkObOt in effetti ha non poco a che spartire.
Anzitutto, l’impianto diciamo così post-metal (notare l’aptang norrena sulla “O” del nome), concettuale e senza compromessi col facile ascolto. Qui magari la struttura è leggermente più definita, i suoni sono meno convulsi e manipolati in direzione dell’inintelligibilità: c’è un solo basso, ben distinto dalla chitarra e dalla batteria. Ma quando si viene investiti in piena faccia dall’impatto complessvo dei tre strumenti – insieme ai droni prodotti dal synt manipolato dal bassista Mattia Bonafini (ascoltatelo librarsi quasi tangeriniano in A Trick Named God) è difficile non pensare ai gorgoglii dell’Osso.
Infatti, volendo descrivere il cocktail sonoro dei Lorø, si finisce per appellarsi ai medesimi elementi: un preciso e minaccioso mathcore, che spazia da incombenze doom ad assalti hardcore noise cerebrali, quasi industrial, fino ad aperture ambient, addirittura jazz/lounge (in High Five), talvolta vicini alle sperimentazioni degli Zu, altro pluricitato caposaldo di questa spigolosa famiglia sonora.
Personalmente, non avevo mai approfondito molto il filone post rock, che di tal famiglia mi pare il decano più diretto (più del prog metal virtuosistico alla Dream Theater, per intenderci, anche se l’aggancio non è poi nemmeno lontanissimo). Forse per questo mi ha stupito particolarmente trovarmi così spesso di fronte a progetti musicali rigorosamente strumentali (il che contribuisce a renderli ancora una volta accostabili).
Questo da un lato mi spinge a ridimensionare leggermente la sensazione di unicità dell’impianto musicale che avevo inizialmente nutrito ascoltando Osso e qualche video clip dei MoRkObOt. Ma dall’altro non può che farmi lodare la maturità compositiva ed esecutiva del trio padovano, che già al debutto sfoggia una capacità di farsi accostare ad avanguardisti rodati e celebrati come appunto il Bernocchi o il Pupillo con la sua mikepattoniana combriccola.
Disco non facilmente fischiettabile, anche questo, ça va sans dire, ma ascolto parimenti obbligatorio per chi vuol seguire la musica italiana che guarda avanti. Senza paura di niente.
Mario G