“It must be nice to disappear
To have a vanishing act
To always be looking forward
And never looking back.”
(Lou Reed, Vanishing Act, 2003*)
L’Hotel San Guido sta lì da un secolo ormai, nell’Interzona fra la vecchia Milano che non c’è più e la moderna Chinatown bladerunneriana che c’è oggi.
Entri e una cameriera ti offre un calice di vino bianco coi salatini. Poi Matteo Salimbeni, usuale anfitrione dei percorsi che si biforcano by snaporaz, ti guida insieme agli altri quattro spettatori di turno nella saletta da pranzo, dove la cameriera bruna (Gilda Deianira Ciao) si avvicina a una donna bionda in mutande e canottiera (Noemi Bresciani) ad alzarsi tremante dalla sedia e rivestirsi d’una lussuosa pelliccia, accompagnata da Innocent When You Dream di Tom Waits. Quindi la donna si avvia con fatica a lasciare la sala appoggiandosi a un bastone e con l’altra mano alla spalla della cameriera, che la sorregge strisciandole accanto sulle ginocchia.
Ma si tratta davvero di un’anziana cieca o di un’aspirante ballerina, oppure (come ipotizzano le note sulla performance) di una… “casalinga disperata”? come sempre, Heartbreak Hotel non offre risposte, bensì piuttosto una surreale telefonata in cui Salimbeni spiega che all’hotel del mistero si entra sulla scorta di un dolore e se ne esce dopo aver “ucciso il drago” o non se ne esce mai più (come dall’Hotel California degli Eagles) essendone stati divorati. Si (e ci) interroga con la ripetitività – invero un po’ stucchevole – di una filastrocca infantile sulla natura della cameriera, sulla sua essenza prima di fare la cameriera, o di “essere cameriera”, dedita alla cura di quell’unica stanza, la 304.
Alla quale veniamo guidati per tre piani di antiche, strette scale di quell’albergo che sembra progettato apposta per ispirarci rimembranze dell’Overlook kinghiano o degli oscuri interni dei film di Lynch, mobili antichi, abat jour e tende di broccato ad ogni angolo.
Quando arriviamo alla stanza, troviamo la cameriera (con parrucca bionda, foto a sinistra) in mutande e canottiera, scompostamente riversa in una vasca da bagno piena di cenere e striscioline di carta, mentre la donna bionda (ora con parrucca nera) veste il camice celeste da cameriera e s’accinge a stirare davanti alla finestra. Allora la cameriera è stata uccisa? Da chi, perché, ma – soprattutto – chi è la “vera” cameriera? Ancora abbozzi di un giallo (evocato anche dalla finte locandine pulp impaginate dagli snaporaz, cfr. immagine in apertura) di cui però mancano gli appigli logico narrativi. Al suono di una canzoncina doo-wop anni ’50 (Daddy's Home), la cameriera striscia fuori dalla vasca e si trascina lentamente sul pavimento fino a raggiungere la bionda. L’abbraccia, la “stira”, si lascia rivestire del camice, le toglie a sua volta il vestito.
Inizia una coreografia gestuale muta e intensamente corporea, sudata e sensuale, fra le due donne, ora entrambe in mutande e canottiera, dal fisico similmente minuto, come le due amiche speculari di Mulholland Drive (non a caso la musica diventa I Put A Spell On You, versione di Marilyn Manson per la colonna sonora di Strade Perdute , sempre del regista del Montana). Ma, come anche nel film, le due donne sono amiche o nemiche? Sono due bonnes genettiane, una serva e una padrona, due amanti o due rivali? O forse sono due anime contrapposte di una medesima donna che noi vediamo in lotta per ricomporsi?
Heartbreak Hotel è un luogo fatto per echeggiare interrogativi e non per risolverli. Anche qui le domande restano ad aleggiare, fra le voci dei veri ospiti dell’albergo che occupano le altre stanze intersecandosi alle situazioni della performance, senza bisogno di fittizie registrazioni ad imitare un realistico ambiente sonoro. E poi evaporano come le due speculari cameriere, che strisciano fuori dalla stanza una sull’altra come un’assurda testuggine in biancheria intima, sulle note malinconiche della Vanishing Act di Lou Reed (tratta dall’album The Raven ispirato da E. A. Poe, da cui la citazione in apertura/chiusura).
Solo quaranta minuti di corpi silenti e domande senza risposta per questa nuova stazione del misterioso progetto Heartbreak Hotel degli snaporaz (qui ospiti della stagione di Zona K), che va sempre più allontanandosi dalla linearità del “Primo Soggiorno” verso la stilizzazione degli elementi di una possibile vicenda pulp in una direzione astratta e antinarrativa. Stavolta rimane un po’ più involuta sul piano del testo, offrendo invece di più su quello prettamente teatrale, grazie alla coreografia di teatro danza delle esili quanto duttili Gilda Deianira Ciao e Noemi Bresciani.
Potete prenotare il vostro "soggiorno" all'hotel dei cuori infranti fino a domenica 29 ottobre telefonando a Zona K (02 97378443 - 393 8767162 - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.). E poi… scrutate la nebbia, sperando che l’hotel riappaia laggiù, dall’altra parte di quel lago…
“How nice it is to disappear
Float into a mist
With a young lady on your arm
Looking for a kiss”.
(*)
Mario G
P.S.: QUI e QUI trovate i nostri articoli sulle precedenti due stanze di Heartbreak Hotel.
P.S.2: a parte la seconda (sulla sinistra), le foto ai lati dell'articolo risalgono alla preparazione dello spettacolo, quindi non rispecchiano esattamente l'ambiente e i costumi della performance cui abbiamo assistito venerdì 27 ottobre all'Hotel san Guido.