«”Dio promette la vita eterna" disse Eldritch.
"Io posso fare di meglio; posso metterla in commercio”»
(P. K. Dick, Le tre stimmate di Palmer Eldritch)
Emmanuel Carrère ha detto di Philip K. Dick: "Faceva parte della categoria di persone che cercano un significato in ciò che forse non è ha". Dopo aver conosciuto Dick, Carrère decise di parlare di questo autore di fantascienza, che sognava di scrivere "romanzi veri".
Siamo qui di fronte ad una “biografia” (il perché delle virgolette verrà spiegato nel seguito di questa recensione, non spoileriamo in partenza): “biografia” di Philip K. Dick, autore di culto, se non l’autore di culto della Fantascienza, di titoli come Ubik e l’immortale Do Androids Dream of Electric Sheep? (tradotto in vario e malo modo nelle diverse edizioni italiane, oltre che in un film piuttosto noto che non nomineremo, NdR) e The Man in the High Castle (che troviamo inspiegabilmente intitolato in italiano con: La svastica sul Sole, almeno fino all'uscita dell'omonima serie tv col titolo originale, NdR).
Questa “biografia” virgolettata, tuttavia non è una biografia come le altre (e non per il solo fatto di essere virgolettata!), ma per una particolarità: quella di essere scritta da uno dei romanzieri più eclettici della letteratura francese degli ultimi anni, Emmanuel Carrère (foto a sinistra), autore non di culto, ma osannato per un’altra “biografia” (anche questa virgolettata), incentrata sullo scrittore russo Limonov (edita in Italia sempre da Adelphi), oltre che autore da un lato di eleganti thriller da leggere con piacere e d’un fiato in metropolitana o mentre si aspetta che fuori smetta di piovere, e dall’altro lato di opere più personali e quasi confessionali come il romanzo-saggio sul Vangelo di Luca, Il Regno, e il suo ultimo (ancora inedito in Italia) Yoga, dove ci narra l’attraversamento di una profonda crisi psicotico-depressiva e delle tecniche di cura da lui adottate per “uscirne” (tra virgolette anche questo!).
Quindi, davvero una strana “biografia”, dal momento che nulla, al di fuori di una sua personale passione per Dick, lasciava presagire che Carrère potesse interessarsi alla fantascienza e cimentarsi in un simile lavoro, dal momento che nella sua opera, non vi è la minima traccia, neppure un refuso, di fantascienza. Ma così stanno le cose.
Io sono vivo, voi siete morti (a lato la copertina, in apertura dettaglio) è senza dubbio una “biografia” riuscita. Vi ritroviamo la genesi e gli ingredienti del mondo di Dick, la sua infanzia segnata dall'assenza del padre o, peggio ancora, dai suoi discutibili scherzi (un giorno decide di indossare una maschera antigas per divertire il figlio, episodio che resterà impresso nella memoria del bambino come un evento fortemente traumatico), l'adolescenza e il rapporto col mondo degli psichiatri e del loro linguaggio.
Dick si è costituito attraverso una violenta lucidità che lo porta ad utilizzare diversi "giochi" per creare una distanza accettabile dal mondo, e che gli permettesse di sopportarlo.
Emmanuel Carrère, fine chirurgo di parole e dettagli, mescola un'infinità di elementi, tutti preziosi, e li tesse ed intreccia li uni con gli altri, li mette in scena, vi ricama sopra per dare spessore e ci guida in una biografia con una mimesi vissuta: capita infatti addirittura che le vite dei due scrittori si incrocino nel loro rapporto col mondo e con la letteratura. In particolare in quella sottilissima capacità di sublimare la vita, nell’universo fantascientifico per Dick e addirittura in quello più prosaico e che in teoria dovrebbe lasciare molto meno spazio alla “fantasia” delle biografie (si pensi anche al caso di Limonov).
Ma, seppure con le necessarie libertà tra narrazione romanzesca e ricostruzione, la biografia di Dick è un’irresistibile calamita per chiunque ami l’autore di Ubik, ma che si rivela fonte di un piacere intenso, stilisticamente lineare e pulito da seguire, accompagnato da una sensazione paragonabile a quella che si può provare con l’incontro con un vecchio amico d’adolescenza, con le sue eterne battute, col suo delirio (oggi si parlerebbe di "mindfuck") diabolicamente seducente, ed inoltre una riunione magistralmente orchestrata dalla silente complicità di un Carrère che muove la penna come fosse un cerimoniere irreprensibile, uno di quei maggiordomi che sembrano sempre camminare sulle punte, come scivolassero sulla moquette, facendosi carico della schizofrenia polimorfica di Dick: indipendentemente dalla veridicità degli elementi biografici infatti - Carrère non lesina in "licenze poetiche" per far corrispondere sistematicamente ogni tappa della vita di Dick col contenuto dei romanzi composti alla stessa epoca - il terreno che questo libro lavora principalmente è quello dell'universo mentale del «genio più pazzo» della fantascienza.
Ogni capitolo di Io sono vivo, voi siete morti vede Dick impastoiarsi impietosamente nelle sue relazioni amorose derisorie, nel suo uso sempre più intenso di droghe, nel desiderio infantile di una celebrità che in gran parte gli sfuggirà, ecc., in un viaggio in cui la vita e le scelte psichiche e narrative si fondono in un percorso doppiamente speculare: tra Dick e la sua opera e poi in quello stesso tra Carrère e la sua opera.
Perché forse l'idea geniale di Io sono vivo, voi siete morti, ciò che in definitiva lo rende un unicum nel panorama della narrazione biografica, è quella di estrapolare la chiave interpretativa dai romanzi stessi di Dick e assumere la quintessenza dei suoi concetti paranoici e visionari per applicarli in primis alla sua stessa natura di Emmanuel Carrère in quanto narratore e uomo, e poi via la sua figura di transfer-sciamano (dal momento che in quanto narratore rianima Philip K. Dick attraverso le sue parole), applicare quelli stessi concetti paranoico-visionari alla nostra realtà di lettori e uomini, triplicando in sostanza quella specularità a cui si è accennato. In definitiva, a partire dalla verità biografica si arriva ad una particolare forma di fantascienza: quella in cui autore, soggetto e lettore si ritrovano ingabbiati in una realtà parallela che, non essendo del tutto letteratura, non è neppure storia o cronaca, ma una terra di mezzo abitata da quegli alieni che sono le idee.
Dick (foto a destra) è stato forse davvero il Profeta del Ventesimo secolo, in maniera altrettanto folle quanto un Gesù trafficante di funghetti allucinogeni, ma nettamente più pertinente di lui e più lungimirante. Un autore che ha realmente sollevato, per nostra grande gioia e nostro grande terrore, un lembo del velo che copre lo smalto di nulla su cui poggia la presunta realtà del quotidiano, che ci ha mostrato ciò che nessuno avrebbe mai dovuto vedere: il volto sconvolto dall'odio di Dio in cielo.
Dopodiché, nessun ritorno possibile, chiunque ha toccato quella materia incandescente che sono le visioni di Dick, deve rassegnarsi a intravedere regolarmente una delle spaventose stimmate di Palmer Eldritch, giusto per non dimenticare mai che, in effetti, siamo tutti MORTI.
Federica Rubino
P.S.: Posthuman porge il benvenuto a Federica, che debutta sul sito con questa recensione letteraria.