“Ci ho anche provato ad avere una donna. Ma dopo... Mi veniva da vomitare. Volevo piangere. Volevo abbracciarla. Volevo dirle, farle, abbandonarmi. E invece. Niente. Tutto secco. Tutto."
Vieni guidato dentro uno stanzone buio.
Fatto sedere su una poltrona imbottita.
Di fronte a te l’angolo acuto formato da due pareti disposte a cuspide e coperte di triste tappezzeria rétro giallo sporco (molto da film di Lynch).
La radio manda un blues gracchiante.
Intorno a te aleggiano i brusii provenienti dalle altre stanze dell’Hotel che non esiste, accumulatore di dolore.
S’intuisce una coppia che litiga nella camera a fianco: sono i due fidanzati in crisi del Primo Soggiorno (l’anno scorso al Litta), che incrociano incidentalmente la nostra dimensione.
All’improvviso squilla il telefono nella tua stanza, la 13 (quella che nessun albergo affitta).
Che fai? Rispondi o no? Sarà parte dell’installazione il nevrotizzante trillo periodico? O sarà prevista l’interazione dello spettatore unico? E lui trilla ancora. In cinque o sei squilli non ne puoi più.
“Pronto?”
“Io ero fuori casa. Avevo il turno di notte".
Parte una voce registrata, che in un sussurro racconta la propria vita in un triste paesino sperduto.
“Facevo l’infermiere. Stavo al pronto soccorso. Ora non ci sto più. Adesso sto in pediatria. E non sto più in città. Sto in un una città così piccola adesso che nemmeno la puoi chiamare città. Sto in un paese... 182 abitanti. La mia vita si è ridotta. Non mi è rimasto niente. Il lavoro. C'è il lavoro. Faccio tutti i turni. Poi vado a letto. Vivo in un appartamento tra le colline. Le persone non le posso vedere. Ti sembrerà strano col lavoro che faccio. Ma uno: lavoro coi bambini. Due: al lavoro mi assento. Mi concentro e sparisce tutto. Sono su una cosa una. Quella li. Basta. Appena finisce il turno mi torna il sapore nella bocca e non respiro.”
L’uomo conduce una vita squallida e solitaria. Perché è distrutto da un dolore troppo grande per essere contenuto in un’anima sola: anni prima un serial killer ha ucciso il suo di bambino, insieme alla moglie. Insieme ad altre 38 vittime di un sadismo motivato solo dal “desiderio di farsi ricordare”.
“Torno a casa. Lontano dall'ospedale, lontano dalla città, lontano dagli altri 181 abitanti del paese. Ma questo sapore in bocca non mi lascia mai. Se non fossi solo andrebbe via?”
Il racconto continua, passando dal telefono alla radiolina da comodino alla tua sinistra. Poi risbuca dal giradischi che gira sul pavimento alla tua destra: dopo la condanna dell’assassino, non bastando la vendetta di stato a ricostruire una vita spezzata, l’uomo della voce ha scoperto il misterioso Heartbreak Hotel, apparso all’improvviso dove non l’aveva mai notato, pur in una zona che conosceva bene. Ha preso una stanza in quest’albergo apparentemente desolato, poi ci ha trovato un altro ospite solitario: il triste padre di una ragazzina di dodici anni, torturata e uccisa dallo stesso killer di suo figlio. L’unico che al processo aveva avuto il coraggio di esternare un non meno inconcepibile perdono per il mostro.
E tu? Tu che hai sentito (spiato?) tutta la sua storia, evidentemente da un’altra camera della stessa pensione, che dolore hai portato all’ostello dei cuori infranti? Amori finiti? Incomprensioni, tradimenti? Altra morte…?
La terza tappa del progetto multimediale Heartbreak Hotel (la prima essendo il sopra citato Primo Soggiorno - nella stanza 207 - e la seconda il più coreografico stanza 304) del collettivo snaporaz (Gilda Deianira Ciao, Matteo Salimbeni e Fulvio Vanacore) è dunque un’installazione al limite del concetto stesso di teatro: nessun attore in scena, un solo spettatore per volta, assiso di fronte ad un muro solitario per mezz’ora. Pochi elementi scenografici: telefono, radio, giradischi, una lettera accartocciata da un precedente ospite, un diario, un album di fotografie per riattraversare l’oceano di dolore sedimentato in quella stanza. Sita nello spazio Domani1 del Teatro I nell’ambito del format Città Balena della stagione 2016/17 Senz’altro contesto, coraggiosamente ripartita dopo che la scorsa estate il teatro aveva gettato la spugna per i consueti problemi economici che schiacciano chiunque osi far cultura nel “Paese della Cultura”.
Purtroppo breve tenitura (solo dal 5 al 10 ottobre), un solo “pensionante” nella stanza ogni mezz’ora (dalle 18 alle 23 ogni giorno) può immergersi in un concept che io ho trovato geniale nella struttura e toccante a livello di testo sviluppato dal collettivo. Perché usa il mezzo dell’installazione non per astrarre simboli e metafore ermetiche, come sovente accade con i progetti d’avanguardia, ma mettendolo al servizio di un’efficace narrazione classica, che genera empatia nel (solo) spettatore, senza timore di confrontarsi con topos ampiamente battuti (e con più mezzi) da valanghe di cinema noir/thriller.
Sull’Heartbreak Hotel incombe lunghissima l’ombra del Re (Stephen, non solo Elvis) con il suo Overlook, mentre su di noi si staglia in fondo al corridoio la lama di luce di una porta aperta.
Cosa ci sarà nella prossima stanza?
Mario G