Nostalgici del bel Tarantino dei primi gangster movie? Paul Schrader è qui per voi!
Il ventesimo film (nelle sale italiane dal 13 luglio, locandina e trailer italiano in apertura, qui a lato vedete il poster americano) dell'ormai settantunenne sceneggiatore di Taxi Driver e regista di Hardcore, Lo Spacciatore e The Canyons torna sul sentiero del noir urbano che diede avvio alla sua carriera nel lontano 1976 appunto accanto a Scorsese. Ma lo fa con l'occhio ironico citazionista e i colori pop ipersaturi che Re Quentin ha imposto come l'ultima vera innovazione linguistica del cinema americano recente, non a caso universalmente nota come "pulp" dopo il suo film più immortale (lo nomino?).
Cane Mangia Cane è tratto dall'omonimo romanzo di Edward Bunker (a sua volta nel cast de Le iene come Mr Blue), di cui a lato vedete la copertina dell'edizione italiana (Einaudi 1999). Libro che personalmente non ho letto, anche se ben ricordo invece il secco realismo senza fronzoli del precedente Educazione di una canaglia, stile-non stile dell'autore di Hollywood che racconta semplicemente ciò che conosce bene, per esserci stato davvero in carcere fra i delinquenti senza speranza di redenzione.
La lettura cinematografica di Schrader però va per tut'altra strada fin dal prologo: Willem Dafoe si carica la siringa (e il movimento dello stantuffo ritmato dalla colonna sonora ricorda il medesimo pattern visivo di Requiem For A Dream di Aronofsky), quindi parte il suo trip: un delirio psichedelico d'immagini in corsa, sovrapposizioni, toni alterati. Che finisce col Mad Dog che pugnala a morte la sua (ex?) donnona e la di lei figlia.
In carcere conoscera Nicolas Cage (Troy) e il corpulento Matthew Cook (Diesel) con cui, una volta fuori di galera, formerà la sua sgangherata gang criminale perché, si sa, una volta che sei stato dentro poi non riesci più a rifarti una vita normale con lavoretti onesti come se niente fosse.
E anche nella parte dei flash back sui giorni da galeotti dell'allegro trio gaglioffo il regista non si nega alcuna tecnica cinematografica per colpire il nostro nervo ottico: bianco e nero alternato ai colori pop, fermo immagine, cambi di scena con effetto a spinta della scena successiva sulla precedente, ampio uso della (bellissima) colonna sonora dei We Are Dark Angels, duo formato dal batterista Deantoni Parks col tastierista polistrumentista Nicci Kasper (QUI un succulento assaggio insieme a un lungo trailer), pare appositamente per lo score schraderiano.
Una zuppa (tocca ripetersi) tarantiniana, in cui ad un certo punto si riconosce distintamente persino un campionamento di Woo Hoo delle giapponesine 5.6.7.8's di Kill Bill, e che spazia fra rovente soul e r'n'r rétro alla Pulp Fiction, noir jazz, hip hop, elettronica carpenteriana, ma lussureggiante anche di canzoni di autori vari, che nello scorrere dei titoli di coda non sono riuscito ad annotarmi (ma senza grandi nomi) e di cui se trovate in giro il cd (copertina a destra) vi consiglio di portarvelo a casa di corsa.
Ah, già: non vi ho ancora detto molto della trama... devo? Ok, come forse subodoravate, i tre malviventi s'imbarcano nell'immancabile "colpo grosso" che risolverà la loro vita: rapire il figlio neonato di un fellone che deve milioni a un boss della droga chiamato El Greco (Schrader stesso). Come potrete immaginare, nulla andrà come previsto, la risoluzione delle vite dei tre amiconi non sarà quella che loro sognavano e il sangue scorrerà a fiumi, benché alternato alle ciniche gag da black comedy che rendono ancor più spiazzanti le esplosioni di violenza, tutte alquanto sgangherate e perlopiù inutili, oltretutto, un po' come nel Killer Joe di un altro veterano del genere sedotto dal pulp come William Friedkin.
Fino a un finale deragliante, fatto di scene piuttosto scollegate fra loro (Troy viene beccato da una coppia di sbirri e malmenato, ma poi non sappiamo come abbia fatto a liberarsi per scappare quando lo vediamo rapire due ostaggi), ma di un'amarezza filosofica che ti smorza in gola tutto lo humour sgranocchiato fino a quel momento.
Come dicevamo a proposito dello stilisticamente opposto Codice Criminale, se vi stuccano i cliché del noir pulp ipertrofico americano - nel quale per forza ce la si gioca tutta sul piano dello stile - vi conviene stare alla larga. Ma se a volte sentite un po' di nostalgia per gli indolenti cazzeggi fra John Travolta e Samuel Jackson, fra una strage mafiosa e un cervello spappolato sul lunotto dell'auto, ragazzi, legatevi il tovagliolo per non sporcarvi troppo!
Del resto, Paul Schrader è una vecchia volpe del cinema, conosce bene i trucchi del genere e, anche se questa svolta post moderna potrebbe stupire a tutta prima, basta riflettere che il manierismo era già ben presente nei suoi successi American Gigolò e nell'omaggio espressionista di Cat People, non parliamo poi di quel sexy thriller smaccatamente anni '80 di The Canyons che tante stroncature gli costò nel 2013.
Per cui nel suo menù non vi mancherà alcuna spezia della pulp-ricetta, non temete: tantomeno la cinefilia, dato che - oltre al suddetto evidente tarantinismo - il regista mette in bocca al pescioso Cage degli impagabili autoparagoni al Bogart hard boiled, strizzandoci l'occhio sornione, strappandoci inevitabilmente la risatina complice.
Nel dilemma amletico, vedeteveli entrambi, sia Codice Criminale che Cane Mangia Cane: pur militando nelle fila del noir ambedue, sono mondi lontanissimi, quasi opposti, quindi potrebbero dar vita a dibattito filosofico sugli impieghi del linguaggio cinematografico e sul concetto di originalità dell'opera: intanto... a voi la scelta!
Mario G