“Uno spettacolo di fantascienza“, inalberano gli inQuanto teatro come pay off per il loro spettacolo Abba-Bosch (QUI scheda, foto e video), in scena al teatro Litta nell’ambito della “non-rassegna” Apache sulla giovane drammaturgia italiana a cura di Matteo Torterolo. Con questa premessa, potevamo mancare?
Eccoci pronti in prima fila nella raccolta (e caldissima) sala della Cavallerizza, di fronte a una scena nera e vuota, esattamente come vedono il futuro Andrea Falcone (protagonista e drammaturgo) e i suoi.
Lui appare in scena vestito in abito scuro e camicia bianca, dicendo di provenire dal futuro. E qui la prima stilettata: ahinoi, laggiù noi non ci siamo (o saremo). E neanche loro, pare: nel futuro non c’è nessuno, il futuro è una cosa oscura e – a dispetto di qualche spiritoso accenno agli ermetismi quantistici – sostanzialmente misteriosa, come appare a noi miseri umani del presente.
Se dobbiamo interpretare il segno in chiave sociologica, non è difficile estrapolare dall’ironia dei giovani teatranti la condivisione dello scarso ottimismo sulle magnifiche sorti e progressive della società contemporanea, che immaginiamo essi condivideranno con gran parte dei loro coetanei, venticinquenni o su per giù (e non solo con loro).
Ma il loro spettacolo sta ben lungi dal piagnisteo sociologico sull’incertezza generazionale: allegramente disinteressato a qualunque idea “complessa” di costruire una trama, una visione, sia essa utopica, distopica, apocalittica o che altro (compito tipico dei relativi filoni della fantascienza), gli inQuanto galleggiano sul filo del non sense (non ci siete-siamo/saremo/eravamo etc.), inanellando una serie di spiritosi quadretti in cui lo pseudo viandante del tempo (frattanto calato in una buffa muta da sub mimetica da astronauta di Balle Spaziali) è affiancato da due comparse mute: Giacomo Bogani, filiforme “alieno” che appare in scena sempre coperto da tutina di nylon, e Floor Robert, giunonica “futurette” tutta rossa, con acconciatura anni ’60 (sembra uscita da uno scarto della serie UFO) e chewing gum perennemente biascicato, che interpretano in chiave surreal parodistica i concetti (solo in apparenza seri) esposti seriosamente dal protagonista, ballano per poi sparire silenziosi dietro le quinte del "futuro".
Sullo schermo di fondo, un video ci proietta tre faccine in colbacco di peluche come assurdi TeleTubbies da pop surrealism (nelle foto ai lati dell’articolo) che salmodiano demenziali previsioni sul futuro. Si gioca sui doppi sensi fra Abba (mitico gruppo pop svedese, icona del kitsch anni ’70) e Marta Abba (musa di Pirandello), sulla Bosch (nota azienda meccanica del presente), ideale “sponsor” della futur-operazione, fra canzonette e buffi balletti, assai più da “space exotica lounge” che da visioni di fantascienza propriamente intesa.
Il futuro non ha alcun senso perché già il presente ne ha ben poco e tutti noi galleggiamo in una ridente bolla di vuoto colorato? Forse è la chiave più giusta per cogliere un senso nell’apparente non-senso complessivo che informa la non-drammaturgia degli inQuanto, nutrita appunto di vintage pop, trash e telefilm anni ’60 quanto di (video)arte contemporanea, performance etc.: “è la trasversalità assoluta tipica di una generazione internet nativa, che surfa sulle cose e sulla cultura come modalità di approccio”, commenta Antonio Syxty, presente fra il pubblico in quanto direttore artistico del Litta.
Probabilmente ha ragione. Anche se non ci toglie la sensazione che il gioco rimanga sì divertente ma anche un po’ fine a se stesso, appunto come un gustoso sketch di cabaret televisivo in bianco e nero.
Non che il “parlar del futuro” debba essere per forza serioso, come spesso la s/f in effetti è, ma personalmente non sono così certo che sia dal “surfare sulla superifice delle cose come sul web” che scaturirà – se non una visione forte sul futuro – quantomeno un nuovo senso del fare teatro: esile scintilla che, secondo lo stesso Syxty, le modalità di fruizione dello spettacolo nell’era dei social network stanno sostanzialmente spegnendo.
Mario G
P.S. Fantascienza "seriosa"? Beh, non sempre: quella che segue, è una veloce lista random di romanzi e film di s/f in cui i rispettivi autori/registi hanno usato ironia a piene mani (a cura di Michele D'Angelo, un espertone del settore fanta-comico).
Narrativa:
1. Guida Galattica per Autostoppisti, Douglas Adams
2. Marziani, andate a casa!, Fredric Brown
3. È nato un ratto d'acciaio Harry Harrison
4. Le Sirene di Titano, Kurt Vonnegut
5. Cyberiade, Stanislaw Lem
6. Terra!, Stefano Benni
7. Scambio Mentale, Robert Sheckley
8. Hoka Sapiens, Poul Anderson e Gordon R. Dickson
9. Galassia che vai, Erik Frank Russell
Cinema:
1. Balle Spaziali, Mel Brooks
2. Dark Star, John Carpenter
3. Iron Sky, Timo Vuorensola
4. Mars Attacks, Tim Burton
5. Men in Black, Barry Sonnenfeld
6. The Ice Pirates, Stewart Raffill
7. Idiocracy, Mike Judge
8. Galaxy Quest, Dean Parisot
9. Space Truckers, Stuart Gordon
10. Azione Mutante, Alex De La Iglesia
Restate connessi: bolle in pentola anche una preziosa guida sui dischi indispensabili per... volare oltre la stratosfera con le cuffie in testa!