Ho scoperto Franklyn andando a vedere Watchmen: quand’è partito il trailer mi son chiesto se non fosse già iniziato il film; infatti, tra la maschera munchiana di Preest e quella del watchman Rorsarch una certa somiglianza c’è, come anche nel carattere dei due personaggi, del resto, entrambi dei ‘giustizieri tenebrosi’.
Poi, quella metropoli gotica da fumetto noir – a metà tra una Gotham più rétro e la Dark City di Alex Proyas (non ricordate il film? Recuperare subito!) – mi ha fatto domandare “non sarà il nuovo film di Tim Burton?”.
Insomma, su ‘sto giustiziere mascherato – inseguito da guardiani con surreali cilindri neri e occhiali da sole, in scenari tra il futuribile il fantasy e lo steampunk –bisognava per forza saperne di più.
La lettura della cartella stampa ha alimentato le aspettative, dicendo di una vicenda intrecciata fra due dimensioni parallele (ancora Dick?): una livida Londra contemporanea, in cui tutti i personaggi della storia soffrono per la perdita di qualcosa (la promessa sposa perduta, il figlio soldato, la sorellina morta, l’affetto del padre), e una plumbea Città di Mezzo, futurmedievale ambiente fantasy dark dominato dall’oscurantismo religioso fanatico, in cui il mascherato Preest deve portare a termine la sua missione di vendetta per la morte di una bambina. Incontrerà sul suo cammino personaggi che sono alter ego (interpretati dai medesimi attori) di quelli che vivono i loro drammi più “quotidiani” nella Londra attuale.
Preest (foto a destra) si erge contro la società ed è ricercato dalla Polizia Ecclesiastica della Città di Mezzo. Tradito dall’informatore Wormsnakes, viene arrestato dopo un inseguimento sui tetti. Lasciato a marcire in prigione, Preest riesce a pensare solo alla morte dell’ultima persona che ha cercato di proteggere, una bambina, per mano della sua nemesi, L’Individuo.
Emilia (foto sotto a sinistra), una donna giovane, bella e privilegiata, deve sopportare le sedute dallo psicologo con una madre che disprezza: Emilia è diventata cinica e depressa e riprende per il diploma d’arte i propri tentativi di suicidio, che mette in scena come performance di body art.
Milo, un giovane professionista di bell’aspetto, è appena stato scaricato all’altare. Una mattina, Milo pensa di aver notato per strada la sua amica della prima infanzia, Sally. Morendo dalla voglia di rivederla, Milo cerca Sally dovunque. La trova nella loro vecchia scuola, dove adesso Sally insegna. Il romanticismo di Milo si risveglia e i due si accordano per incontrarsi per una cena. Milo però poi visita sua madre, che gli spiega che Sally in realtà era la sua amica immaginaria quando era piccolo.
Peter Esser, un uomo profondamente religioso, arriva a Londra per ritrovare suo figlio David, un problematico veterano della Guerra del Golfo che è sfuggito alle cure psichiatriche. Esser fa visita a Billy Wasnik, vecchio compagno d’armi di David, e al suo ufficiale superiore, Tarrant. Scopre che David porta molto rancore a suo padre in seguito alla morte di sua sorella. Wasnik dà a Esser un indirizzo dove potrebbe trovare David.
Nella Città di Mezzo dello scrittore-regista Gerald McMorrow (debuttante nel lungometraggio con questa produzione già piuttosto ambiziosa per il cinema inglese) troviamo echi del Nessun Dove di Neil Gaiman calati in un’estetica da fumetto (diciamo alla V per Vendetta, per intenderci). Insomma, Dick, Gaiman, Proyas, i Watchmen di Moore/Snyder, la video art suicida della triste Emilia… a un certo punto ho iniziato a chiedermi quale fosse il vero baricentro di cotanto materiale molto stylish, dove andava a parare tutto ciò, nel timore che la confezione (pur accattivante) prendesse il sopravvento sul contenuto.
In effetti, non tutto torna alla perfezione nel labirinto di McMorrow: le dimensioni parallele alla fine ci vengono spiegate (quindi Dick esce di scena, lui non spiega); quella fantasy non è che la visualizzazione del mondo folle di una mente disturbata. Che (spoiler trama) perirà, sacrificandosi e lasciando spazio al trionfo dell’Amore in un finale un po’ sdolcinato, in cui – se fra gli obiettivi dell’autore c’era anche la critica all’integralismo religioso – soccombe però l’unico personaggio ateo dichiarato. Non vi dico di chi si parla, per non guastarvi troppo la suspence, ma è lecito chiedersi: cosa vuole dirci esattamente il regista?
È un film complesso, Franklyn, controverso già nelle intenzioni dell’autore e magari non totalmente riuscito, ma comunque interessante. E che genera implicita simpatia per la quantità di equivoci che è destinato a tirarsi addosso: l’ambientazione cupa ha già fatto parlare qualcuno dell’immancabile Blade Runner, con cui peraltro non potrebbe c'entrare di meno. Nell’anteprima su Nocturno di aprile si insiste sullo scarso successo ottenuto ai patrii botteghini: facile che da noi vada non molto diversamente, dato che le ambizioni psicanalitico-moral-sociali della sceneggiatura confonderanno i fan dei maghetti e degli elfi quanto quelli del cinecomic d’azione (come del resto sta accadendo col citato, pregevole Watchmen), il cui look però terra a debita distanza i soloni del “cinemone d’autore” (ma quando finirà la dittatura del realismo ad oltranza perché una narrazione venga presa sul serio?!). Io in sala ho sentito diverse risatine mentre scorrevano i titoli di coda.
Voi non lasciatevi irretire dai pregiudizi però: non escludo che fra qualche anno Franklyn figuri fra i piccoli culti da recuperare, come accade non di rado a quelle pellicole che all’uscita scontentano tutti. Di cui sembra uno specialista l’ardimentoso produttore Jeremy Thomas, uscito vivo dalle malebolge del Pasto Nudo di Cronenberg/Burroughs, dal Crash sempre di Cronenberg/Ballard e dal Tideland di Terry Gilliam (che a sua volta non è piaciuto a nessuno), tanto per citare un altro esempio di “fantasy adulto” che mostra gli orrori del mondo dei grandi dal punto di vista di una bambina, che ho sentito accostare da qualcuno proprio al Fauno di Del Toro .
Insomma, affrettatevi se volete aver occasione di discutere Franklyn, e pure di criticarlo: avrà vita difficile anche quaggiù.
Mario G
PS: Un ringraziamento a Gaia Bottà per le illuminanti riflessioni su "pedoterrosatanisti e moralismo deterministico" e uno a Debora per la pronta segnalazione della dolorosa dipartita di James G. Ballard, un grande della fantascienza moderna di cui leggete nelle news.