"Un giorno mi sono detto, ehi, se la televisione può spezzettare in milioni e milioni di piccolissimi pezzettini e spararli veloci nell'aria e ricomporli da un'altra parte, perché io non posso fare lo stesso col cioccolato?"
(Willy Wonka, dal film di Tim Burton)
...O con la ...musica?
I Primus sono un gran gruppo, non c’è che dire: a 26 anni dal debutto come un bizzarro trio di “Red Hot Chili Pepper più alternativi e sperimentali”, e dopo uno scioglimento di una decina d’anni, hanno saputo tornare in scena senza infliggerci i dispiaceri di quelle reunion tanto bramate dai fan quanto poi inferiori alle attese (esempio per tutti, quella dei colleghi Jane’s Addiction), ma osando strade (almeno parzialmente) nuove con la consueta, strabiliante abilità dissimulata dall’atteggiamento spiritosamente goliardico.
Tale è stato Primus & the Chocolate Factory with the Fungi Ensemble, loro ottavo album in studio dedicato al film Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, l’originale con Gene Wilder cui si è ispirato Tim Burton per il suo remake con Johnny Depp e, apprendiamo (senza sorpresa, in verità, dato il tipo), mito dell’infanzia del Claypool: un album meno “crossover funk-alternative metal” rispetto al loro sound storico e più vicino ai lavori di Claypool da solista, cioè più articolato e ritmicamente cangiante, meno “quadrato” (se mai il loro sound lo è stato), più… waitsiano in un certo senso (le numerose collaborazione reciproche coll’orso di Pomona devono aver lasciato il segno).
I Primus portano dunque in tour la loro ultima fatica scartando anche l’impianto classico di questo tipo di concerti: invece di suonare prima le ultime cose per poi accontentare il pubblico coi vecchi successi, aprono lo show con un’ora secca di carrellata sulle glorie della loro carriera di ormai 26 anni di successi, da American Life a Jerry Was A Race Car Driver e My Name Is Mud, eseguite con la proverbiale tecnica sopraffina, meno saltelli in scena (gli anni passano per tutti) ma sempre affilati scambi di parti soliste (e continui cambi di strumenti) fra il virtuoso bassista e il suo fido chitarrista Larry Lalonde, sostenuti dal silenzioso (e non meno raffinato), prezioso bassista storico (ora pelato) Tim Alexander.
Poi Les spiega in inglese l’incidente col camion degli strumenti sulle Alpi, che li ha ritardati facendoci rischiare, come dice lui, di sentire “un concerto molto stripped down”, quindi ci lascia per mezz’ora davanti a un sipario nero chiuso, ad ascoltare micidiali siglette di cartoni animati, sua nota passione da sempre. Serve per montare la sorpresina della ricca scenografia che anima la seconda parte del concerto: appunto l’esecuzione completa (40' circa) dell’ultimo Chocolate Factory album, fra coloratissimi funghi e giganti lecca lecca, mentre sullo schermo dietro al batterista vengono proiettate in loop distorti e psichedelici scene del film storico. Come vedete nelle immagini ai lati, transitano sul palco anche due comparse in monumentali mascheroni “Oompa Loompa”, mentre la band si arricchisce di altri due elementi: il percussionista Mike Dillon e il violoncellista Sam Bass, presenti anche sul disco ad arricchire gli arrangiamenti dei brani, eseguiti molto fedelmente.
Qui, se si riduce la grinta rock, si apprezza per converso la crescita e la maturazione della band – ora ancor più che mai Claypool-centrica – per la quale l’hard-funk storico è solo uno degli aromi di un minestrone ormai speziato appunto quasi quanto un disco del Tom Waits moderno. E, se è vero che “anche l’occhio vuole la sua parte”, i Primus ci offrono un ricco caleidoscopio psichedelico sergeantpepperiano (ehm, bakeriano?) in cui strabuzzare le incredule pupille (come vedete dalle foto che illustrano l’articolo, anche se le condizioni di ripresa non ci han consentito i capolavori che la coloratissima scenografia avrebbe meritato).
Ancora qualche minuto di pausa e siamo ai venti minuti di bis finali: Too Many Puppies e Pudding Time (dall’indimenticato primo vero album Frizzle Fry), Southbound Pachyderm (da Tales from the Punchbowl) sono gli hit (sempre accompagnati dai relativi video sullo schermo) che fan scaldare il sangue ai foltissimi fan e riaccendono il pogo sfrenato nelle prime file, rallentato dalla complessa messinscena quasi teatrale del Chocolate Factory.
Insomma, in totale si parla di due ore nette di ottima musica, suonata da dio, tra classici e attualità, ricercata e anche visivamente sontuosa: avreste di più da chiedere?
Mario G
PS: tutte le foto live (a parte l’immagine ufficiale del tour e la vista dal retro del palco in apertura, tratte dalla pagina FaceBook del gruppo) scattate da Mario al concerto di sabato sera al Carroponte di Sesto s. Giovanni.