Una traccia della ricerca insoddisfatta di notizie e immagini online su Claudio Galuzzi è rimasta impigliata perfino in un commento del blogghino interrotto Conventional Records. Il post era di 9 anni fa, una recensione appassionata di Padania degli Afterhours in cui inserii un ricordo della prima volta che incontrai Manuel Agnelli, nei primi anni ‘90, a un loro concerto al Lenz, il locale di Terranova dei Passerini (LO) creato e gestito appunto da Claudio. Nel novembre 2013 una certa Elena mi lasciò scritto: “Perché non si trova una foto di Claudio sul web?”.
La mia risposta riprendeva uno dei punti espressi anche da Gregory Fusaro, al termine della presentazione del suo film Se il cielo è tradito: “È triste ma è così: una figura come quella di Claudio Galuzzi meriterebbe sicuramente qualche spazio nel web. Proprio pochi giorni fa mi sono imbattuto in una riflessione sul fatto che anche di persone molto famose nell’era pre-internet non risultano che poche tracce di “memoria digitalizzata”. Per fortuna nessuno ci può togliere la nostra “memoria analogica”, per cui dipende da noi continuare a ricordare di aver incontrato persone come Claudio.”
È proprio la missione, impossibile e commovente, che Fusaro ha portato a termine con questo progetto. Ancora più incredibile perché lui (molto più giovane) ha scoperto casualmente il personaggio Galuzzi solo qualche anno fa, grazie alla passione per gli Afterhours, i La Crus e altri musicisti di quella generazione e imbattendosi nelle sue collaborazioni su alcuni testi. Da lì è partita la catena di collegamenti che lo hanno affascinato e che lo hanno convinto che la sua fosse una grande storia da raccontare.
È un racconto corale, raccolto e montato alternando le voci di alcuni artisti e giornalisti che hanno vissuto da vicino l’amicizia e l’entusiasmo culturale di Claudio Galuzzi, soprattutto negli anni ‘80 e ‘90. Nato nel ‘57, ha sempre vissuto a Casalpusterlengo, piccolo centro nella grande pianura sulla Via Emilia fra Lodi e Piacenza e da lì è stato un nodo fondamentale di quella rete (descritta benissimo da Rita “Lilith” Oberti, cantante anche nei mitici Not Moving) di persone sparse nell’Italia pre-internet che animavano la profonda provincia italiana mettendo in collegamento proposte musicali, letterarie e culturali fuori dai circuiti principali. La sua morte improvvisa nel 1998 ha interrotto una vita densissima di opere, attività, iniziative che hanno lasciato segni profondi in tutti quelli che lo hanno incrociato; ma appunto appena prima che il web potesse assorbire e conservare la sua presenza così attiva e multiforme.
Viene fuori nei racconti di Mauro “Joe” Giovanardi (cantautore, voce dei La Crus e prima ancora dei Carnival Of Fools), di Cristina Donà, di Davide Sapienza (giornalista e scrittore da anni in simbiosi con le montagne dell’alta Lombardia) e dei suoi amici artisti della zona, come Claudio fosse un poeta dal lirismo intimamente connesso con la natura e col suo territorio, ma senza “menarla”, con leggerezza e anzi vivendo intensamente il “fare” le cose, far accadere e diventare realtà piccole e grandi iniziative. Il negozio di dischi Muzak e soprattutto il locale con musica live Lenz furono attività imprenditoriali basate sulla divulgazione culturale; appunto nodi creati e curati per tenere insieme una rete di persone e idee in anni di fermenti sotterranei vitalissimi. Era incredibile come quel cascinale ristrutturato a lato di una stretta stradina di campagna (quella volta che con una manovra maldestra finii con l’auto giù nel fosso proprio di fronte...) fosse diventato una location con un’atmosfera pazzesca (nel film c’è un estratto del video di Not the same dei Carnival Of Fools girato lí) per concerti, dj set, eventi culturali o anche solo una serata con amici, birra e bella musica in sottofondo.
Il Lenz ci manca come ci manca la giovinezza e come manca un faro luminoso come Claudio. Una pacifica macchina da guerra, che mentre gestiva un negozio e un locale faceva nascere e coordinava una rivista letteraria prodigiosa, un altro dei suoi miracoli: Pulp nacque come inserto del mensile musicale Rumore e fu poi un bimestrale che concretizzò nei suoi primi anni con straordinaria brillantezza il collegamento fra letteratura, rock e società che Galuzzi (qui accanto insieme a Luis Sepulveda intervistato per il suo magazine) incarnava con la sua personalità.
Traspirava musica e letteratura in modo così naturale e diretto da diventare partner creativo di tanti di quei musicisti degli anni ‘90 che insieme a lui facevano parte di quella rete di nodi in continua evoluzione. Forse la parte più efficace del film di Fusaro (foto a lato) è quella in cui Mauro Giovanardi e le altre voci del film raccontano “quegli anni importanti” per la scena rock nazionale quando, dopo le regole rigide del post-punk di derivazione inglese e americana, tutti i musicisti di quella generazione decisero, uno dopo l’altro, di inventare un nuovo rock italiano in italiano.
Un compromesso di cui oggi non si riescono a comprendere le difficoltà; ma fu davvero un cambio radicale di approccio artistico, che richiedeva motivazioni interiori e un apprendistato “tecnico” fatto di prove e confronti. Claudio Galuzzi, sempre senza “menarla”, semplicemente metteva a loro disposizione la sua amicizia, il suo punto di vista culturale e soprattutto i suoi versi (in particolare dalla raccolta La pianura dentro): un lirismo essenziale, ideale per la concisione ritmica richiesta da strofe e ritornelli e in piena sintonia con le sensibilità artistiche nutrite da tanti riferimenti comuni.
Il trauma di quella morte improvvisa ispirò un’ultima collaborazione postuma: nel 1999 i La Crus pubblicarono un album a suo modo epocale, Dietro la curva del cuore. A partire dal titolo, impregnato dell’influenza di Claudio Galuzzi: il completamento di quel compromesso vissuto insieme, un disco di parole d’amore finalmente lontane dalla retorica della tradizione italiana. Nel libretto del Cd e dal vivo, la poesia forse più bella di Claudio, che dopo più di 20 anni ha mantenuto, anzi amplificato, la sua forza. Il tempo digitale ha conservato di lui pochissime tracce, ma il tempo della poesia lo ha reso eterno. E questo film di Gregory Fusaro è finalmente il racconto che mancava, con parole, voci e immagini per chi vorrà scoprire questa storia nascosta e preziosissima.
Quando incontri la vita
non sciuparla amandola troppo
o girandoci intorno
staccane un pezzo alla volta
carne da carne
fino a trovarne il fondo.
Quando incontri la vita
stringila a pugno
e respirala forte
prima che agitata voli via.
(Claudio Galuzzi)
Andrea Peviani
Cosa aggiungere al toccante mémoire dell’amico Andrea, essendo stato al suo fianco durante la proiezione di lunedì 7 al Mexico di Milano (il cinema-mito del Rocky Horror Picture Show)?
Forse solo una riflessione “di scenario”: avendo assistito ormai a molte ricostruzioni storiche di scene mitiche – dalla Beat Generation a Woodstock, dal punk alla brulicante Milano artistica degli anni ’80 rievocata da Antonio Syxty nella nostra Weird Room – il film di Fusaro ha rappresentato per il sottoscritto il primo esempio di storicizzazione della scena del rock alternativo dei primi anni ’90, proprio quegli anni di cui Antonio Syxty diceva nella conversazione via Zoom che “non resterà niente”.
Anni che invece sono in pratica il primo periodo che anche io ho vissuto in prima persona, in qualche modo “da addetto ai lavori”. Perché, se ai tempi del punk andavo alle medie e negli ’80 passavo dal liceo all’università, ma ho visto appena qualche scheggia terminale dell’underground che hanno vissuto da protagonisti i Syxty e i Marsico, nel corso dei ’90 ho scritto anch’io i primi articoli sulla stampa musicale, ho conosciuto Joe, Manuel, Cristina e Davide, il piemontese Paolo Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi - scoperti proprio a un concerto al Lenz quando erano ancora freschi di produzione della loro prima cassetta La Diserzione degli animali del circo (!) - in seguito tutti ospiti nel mio programma Viaggio al termine della notte a Radio Lodi, cui si riferisce la cassetta che vedete riprodotta in apertura: quella della puntata in cui avrebbe dovuto essere nostro ospite anche il celebrato Claudio Galuzzi, e che fu dirottata in corsa sui recenti concerti acustici di Peter Hammill (Binario Zero) ed Elvis Costello (Teatro Lirico, che tempi!) perché il Galuzzi (sopra a destra la copertina del numero 2 del suo Pulp) c’aveva appunto appena lasciati improvvisamente.
Certe cose si comprendono solo osservandole a posteriori da giusta distanza: io c’ero ma per esempio ho capito solo ora, grazie all’ottimo intervento dopo la proiezione di Massimo Pirotta (fra i fondatori del Bloom di Mezzago, altro crocevia nodale del rock alternativo lombardo), che ruolo aveva avuto il Galuzzi nella quasi contemporanea svolta di tutti i sopra citati verso i testi in italiano anziché in inglese (io all’epoca ero un po’ scettico, come dice Lilith nel film).
Ma vederlo, quel film – benché per necessità visivamente povero e minimal – mi ha dato la percezione di essere stato a mia volta parte di qualcosa, di un “fluxus” (definizione di Syxty), non solo individuo isolato che guarda il mondo scorrere: a quell’epoca non ho fondato riviste ma ho solo firmato qualche recensione di dischi, qualche foto di concerti (qui ai lati Manuel Agnelli in un live improvvisato con Damo Suzuki e il poster della mia mostra di foto live), un programma FM che ascoltavano Andrea e quattro gatti, e che comunque ha ospitato (fra gli altri) Elio De Capitani e Ida Marinelli dell’Elfo, Carlo Rivolta, Steve Piccolo (Lounge Lizards), Giangilberto Monti (su Boris Vian) e appunto il gotha della nascente scena indie italiana. E sì, anche Claudio Galuzzi, anche se nell’era digital... non riesco più a ritrovare la cassetta con lui.
Forse, sicuramente, quel che scrivo oggi, dal FantaRock (sì, c'è dentro anche Andrea!) a Wonderland, filtra e sviluppa anche quel che anch’io ho fatto allora.
Per noi che abbiamo ancora qualcosa da dire, in attesa che la generazione dei nostri figli arrivi fra una trentina d'anni a storicizzare la "golden age del 2020 in cui da X Factor emergevano dei geni come i Maneskin", il viaggio non è ancora al termine della notte.
Mario G