“Nell’ultima Città del mondo, una Città sull’orlo del mondo, dove vivevano coloro che avevano creato il proprio paradiso, il cacciatore prese dimora fra le ombre. Scivolando di tenebra in tenebra con occhi che vedevano solo movimento, si mise a cercare partner con i quali danzare il suo rigodone di morte.”
(Harlan Ellison *)
Quando abbiamo pubblicato l’articolo sui recenti album prodotti dalla Auand nell’ambito di quello che abbiamo definito psychedelic jazz, purtroppo il nuovo album dei Sudoku Killer non era ancora disponibile, altrimenti vi avrebbe occupato posizione d’onore. Poco male, rimediamo oggi: parlare di tre dischi alla volta consente di raccontarli senza dover sintetizzare eccessivamente, evidenziando magari connessioni impreviste.
Asperger (copertina in alto), questo il titolo nella complicata sciarada (pardon, Sudoku!) by Caterina Palazzi (a sinistra in concerto, a destra in studio), fa riferimento ai temi che la contrabbassista (compositrice e leader del quartetto di “assassini enigmistici”) conta di sviluppare nel prossimo album, ossia le sindromi psichiche. In copertina (che vedete in apertura) sta un mestissimo clown, all’interno troviamo cinque lunghe composizioni ispirate invece ai cattivi dei cartoni Disney (evocati dal titolo del precedente album Infanticide, riferito alla fine dell’infanzia): Grimilde, la Regina Cattiva di Biancaneve, Jasper & Horace (ossia Gaspare e Orazio, i due ladri pasticcioni de La Carica Dei Cento e Uno), Maleficent (ovviamente Malefica de La Bella Addormentata nel Bosco), Edgar the butler (il viscido maggiordomo de Gli Aristogatti), per concludere con Medusa, l’odiosa Madame avidissima de Le avventure di Bianca e Bernie, per un totale di circa 55 minuti e mezzo complessivi.
Sono tutti brani estesi – si va da un minimo di 8’42” a un massimo di 16’39” – ed articolati in diversi movimenti, ricchi di chiaroscuri tonali e di vertiginosi saliscendi dai delicati pianissimo quasi blues mingusiani alternati – anche con lunghi, preoccupanti silenzi – ai fortissimo noise zorniani, irti di sovratoni urlanti del sax tenore. Al quale verso la fine delle registrazioni (sul brano Maleficent) s’avvicenda Sergio Pomante (proveniente dai francesi Ulan Bator) in luogo del dimissionario Antonio Raia (attivo sugli altri brani). Inalterato il resto del quartetto, col chitarrista elettrico Giacomo Ancillotto (proveniente dai romani Gronge, per dire lo spettro sonoro della band) e il batterista Maurizio Chiavaro, oltre naturalmente alla leader, fedele al classico contrabbasso acustico, pizzicato, archettato, amplificato ed effettato per fondersi colle sonorità prevalentenente elettriche del team (a lato e sotto due foto live).
Non che Infanticide fosse album di ninnananne, beninteso (anche là, 5 brani per circa 49’), ma il nuovo lavoro di Caterina Palazzi riduce lo spazio per l’improvvisazione jazzistica virando verso una maggior articolazione scritta delle composizioni, per cui non a torto il relativo press kit parla di post-rock. Che, all’inesausto mercato delle etichette musicali, vale a dire in buona sostanza che il sound del progetto Sudoku Killer va acquisendo quella complessità che già fu degli avanguardisti del jazz rock e del progressive come (si parva licet) gli Henry Cow e in Italia gli indimenticati Area (ovviamente spogliati rispettivamente dei vocalizzi di Dagmar e Demetrio), perché – che oggi vada più di moda chiamarlo mathcore o jazzcore o che altro – quello è il dna che Palazzi & co., insieme ai colleghi romani Zu (con cui han condiviso diversi concerti e magari anche questa direzione più concettuale e meno jazzy), hanno assimilato col latte materno dei Lounge Lizards e dei Naked City, che restano le loro matrici di riferimento. E sono riferimenti che fa solo piacere poter toccare, anche sfiorandoli rispettosamente a mezza voce.
Qua e là compare anche qualche accenno a un jingle jangle quasi da tema bondiano (nella già citata Maleficent), come le atmosfere noir jazz dei compianti Morphine, ma non fraintendete: non c’è compiacimento nella citazione vintage-lounge nel suono del Sudoku Killer, cui la definizione di psychedelic jazz ricordata all’inizio va applicata nella sua accezione più ampia e “filosofica”, mai puramente “revivalistica”, se capite quel che intendo.
È musica, questa, di cui in Italia dobbiamo andar fieri: infatti il quartetto degli assassini enigmistici ha alle spalle oltre 200 date in tutt’Europa (accanto il bel poster del tour di quest'anno) e numerosi riconoscimenti internazionali, sicché il nuovo album è pubblicato da un’etichetta portoghese (l’avanguardista Clean Feed Records, distribuita Goodfellas). Perché dimostra il fiato corto dei continui piagnistei sull’inesistenza di una musica italiana innovativa: ne ho letti recentemente, a margine di una nota di Ernesto Assante su Facebook relativa alla compagine del classico concerto del Primo Maggio a Roma. Certo che gli Henry Cow non si possono più vedere in Piazza San Giovanni, nemmeno gli Area, né De André o Chick Corea (che ci suonarono veramente nel ’92): ma se ci mancano le loro sperimentazioni, oggi possiamo abbeverarci a questi suoni del presente.
A quelli del Sudoku Killer, ma anche a quelli dei Palmer Generator (copertina a sinistra, band a destra), trio strumentale di Jesi chitarra-basso-batteria tutto in famiglia (due fratelli, un figlio) che si definisce “post psychedelic core” (qualunque cosa ciò significhi) e dei quali potreste benissimo mixare una delle 4 lunghe suite strumentali cosmico minimaliste – tra hard e post rock – che ne compongono il nuovo album Natura (per 38’ circa di durata, Bloodysound Factory e Brigadisco Records) con un brano di Asperger.
Oppure anche con uno di Drive! (copertina qui a destra), nuovo album (e di nuovo Auand) del trio di Giovanni Guidi (fender rhodes, keyboards), Joe Rehmer (double bass, electric bass) e Federico Scettri (drums), che invece si snoda nell’area più jazz rock dello spettro, ma con un’arditezza dell’amalgama di suoni acustici, elettrici vintage (à la Edna, per intenderci) che lo rende assolutamente originale ed eccitante nello sviluppare il corso di quel jazz rock che in altri tempi godette del plauso di folle da stadio e oggi i più considerano una specie di relitto sulle sabbie rossastre di Vermillion Sands (**).
Mentre invece continua a rigenerarsi come un'araba fenice aliena, per es. nelle improvvisazioni "freedeliche" (posso inventare un'etichetta anch'io?!) dell'ex Hawkwind Nik Turner (sax, flauto) coll'ex Chrome Helios Creed, nel recente doppio cd Annunaki (uno scoop targato Black Widow), accreditato alla riuscita fusione a caldo fra i due mondi Chromium Hawk Machine con Jay Tausig (e Sun Ra nell'alto dei cieli), un monolito di raga cosmico (anche nel senso kubrickiano) che si dipana in 7 brani dai 4'53" ai 32'26" riuscendo più liberamente improvvisativo nella sua matrice rock rispetto al "jazz" dei Sudoku Killer. Ma sono sfumature ondulatorie in cui è bello perdersi.
Non entro nel merito dei nomi che oggi rappresentano il pop (e l’hip hop) del Belpaese: ma se al Primo Maggio 2019 non sentirete suonare band come quelle qui presentate, mentre deplorate lo stato (pietoso certo) della cultura in Italia oggi, chiedetevi come mai nel ’77 Heavy Weather dei Weather Report era l’album jazz più venduto negli USA e oggi figura nella Grammy Hall of Fame, mentre i suoi epigoni attuali stanno nel più stretto “underground”. Forse una parte del motivo di ciò sta anche nella nostra voglia di scoprire davvero nuovi suoni piuttosto che inumidirci il ciglio sulle glorie che furono.
“La nostra città è parte di noi, noi siamo parte della nostra città. Essa risponde alle nostre menti e noi la controlliamo. (…) Se la nostra città muore, moriamo anche noi.” (*)
Meditate e... mettetevi "in pericolo": ascoltate.
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Mario G
(*) Le due citazioni in apertura e chiusura dell’articolo provengono dal racconto L’ombra in caccia nella città sull’orlo del mondo di Harlan Ellison (che parla del killer più famoso della storia), incluso nell’antologia Dangerous Visions – manifesto della new wave of science fiction (di cui sotto vedete le copertine di alcune edizioni, la terza è la Mondadori del '91) – dallo stesso autore curata nel lontano 1967. La quale non parlava di musica, ma incidentalmente uscì lo stesso anno in cui sbucavano al mondo il Sergente Pepper, la Terza Pietra dal Sole di un certo “astronauta nero” mancino, l’Interstellar Overdrive di un certo equipaggio “Rosa” e la Space Odyssey di un altro team di “Uccelli” americani… sarà un caso?
(**) Vermillion Sands è un'antologia di racconti di James G. Ballard ambientati in un’immaginaria località balneare del futuro prossimo (1971).