Le maschere sono uno degli elementi più classici del teatro: mascherati recitavano gli attori del teatro greco classico, matrice prima del teatro europeo e occidentale tutto (a sinistra una foto di Mario dal Museo Archeologico dei Campi Flegrei vicino a Napoli), come due maschere - per chi non ha confidenza con questo mondo - sono l'emoticon che metaforizza il concetto "teatro" anche nella sintesi visiva universale di WhatsApp. Mascherati ballavano gli invitati medievali ignari della Morte Rossa fra loro nel racconto di Poe, maschere come quella fotografata a destra (detta "larva", appartenente al Museo Mocenigo di Venezia, courtesy Studio di Restauro Furlotti) vestivano i festanti settecenteschi del carnevale veneziano, come mascherati infierivano i drughi de L'Arancia Meccanica e ancor più trucemente mascherati suonano gli Slipknot, precipitato metal dei sunnominati (perdonateci la stringatezza dell'excursus, riassunto nella carrellata-composite qui sotto).
Ma come le impiega un'originalissima compagnia di teatro danza, usa stupirci con le proprie visioni spaziali "a specchio" (giacché ogni loro opera si fonda sull'impiego di uno specchio a 45° che ci riflette i movimenti dei danzatori attraverso l'effetto dell'anamorfosi)? Avete capito, parliamo dei No Gravity, ritornati quest'anno al Teatro Menotti (dopo il bellissimo Dante's Hell da noi già recensito nel 2021).
Ancor più ricco il loro programma del 2022: dal 27 settembre al 9 ottobre hanno infatti presentato il loro spettacolo Exodus (sotto vedete il trailer che poi trovate montato nella nostra Weird Room da Walter): ispirato da L'ultimo viaggio di Sindbad di Erri De Luca, il Qohelet (cioè il libro biblico dell'Ecclesiaste), Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann e altri racconti biblici, come quello di Giona e l'Esodo, per metaforizzare con le loro movenze (accompagnate dalla voce recitante di Moni Ovadia) il viaggio di ritorno del popolo ebraico alla Terra promessa.
Mercoledì 7 ottobre, lo spettacolo è stato preceduto da due brevi performance, danzate dalla sola Mariana/P - con la presenza mascherata dello stesso coreografo Emiliano Pellisari - e riunite sotto il titolo unitario di Mask, in quanto imperniate sull'impiego in scena delle maschere geometriche - le vedete nella foto in testata e qui a destra - create appositamente per la danza dall'artista romano Bato e ispirate dal saggio La via delle Maschere dell'antropologo Claude Lévi-Strauss, analisi strutturalista dell'uso delle maschere nelle culture tribali.
Ecco perché la nostra introduzione sulle maschere a quest'articolo, che a propria volta introduce la Weird Room # 9 "a interviste concentriche": nell'apertura Roberta intervista Mario, posthuman-inviato al Teatro Menotti nonché cineoperatore dilettante delle riprese live in scena delle due performance, che vedete qui ottimamente montate da Walter insieme all'ulteriore intervista, stavolta di Mario ad Emiliano Pellisari, il quale ci ha simpaticamente spiegato genesi e senso delle diverse coreografie in questione.
Nelle quali le maschere hanno dunque un significato del tutto diverso da quello che hanno i manichini nel nostro Buio in Scena drammaturgico (a sinistra un disegno preparatorio inedito by Roberta), benché anch'essi discendenti da lunga tradizione teatrale e soprattutto cinematografica (per es., a destra vedete un fotogramma del classico thriller di Kubrick Il bacio dell'assassino), ma come inquietanti presenze da thriller più che come elementi rituali, "simulacri umani dechirichiani", come li definisce Roberta stessa nel corso della Weird Room al cui flusso vi abbandoniamo fiduciosi.
Anche perché "manichino" era in fondo anche la diabolica vacca cava di Dedalo (come vedete nel dipinto di Giulio Romano qui accanto), di cui si servì Pasifae (protagonista della seconda performance dei No Gravity) per il suo selvaggio rapporto col toro bianco del mito greco, ancor oggi capace di far impallidire il porno horror più trash che la nostra fantasia pulp potrebbe mai immaginare.
Buon divertimento e... alla prossima "stanza"
Posthuman staff