"Cosa fai?"
"Leggo."
"Buone notizie?"
"Insomma, così e così."
"Ecco qui il tuo tè."
Harold Pinter scrisse The Birthday Party ventisettenne nel 1957, l'anno in cui a Warracknabeal in Australia nasceva Nicholas Edward Cave che, altri 27 anni dopo, avrebbe dato il nome della piéce dell'angry young man britannico al suo selvaggio gruppo post punk. Tu guarda a volte i numeri...
Oggi, a 63 anni dall'originaria stesura, Il Compleanno - in scena al Teatro Menotti fino al 13 novembre - è l'ultima regia dell'ormai 85enne Peter Stein, il quale dichiara che sarà proprio l'ultima della sua lunga carriera, iniziata nel 1970 con il collettivo teatrale della Schaubühne am Halleschen di Berlino Ovest (dove esordì anche il giovane Bruno Ganz, per intenderci). Per il sottoscritto è la prima volta, sia con il testo di Pinter (un classico del teatro "contro" inglese moderno) sia con il colosso teutonico, oggi residente in Italia e sposato con Maddalena Crippa, che nello spettacolo interpreta il ruolo della petulante Meg.
Essendo il maestro noto per le "messinscene trasgressive che stravolgono la struttura dello spazio teatrale e scenico" (Wikipedia), ti aspetteresti un'ambientazione avanguardistica spiazzante: invece, la cosa più spiazzante è trovarsi davanti a una realistica ricostruzione (a destra, di Ferdinand Woegerbauer) del più classico interno borghese, la saletta da pranzo con porta sul cucinino dove Meg ammannisce il suo tè e i suoi tiepidi corn flakes per il marito Petey (Fernando Maraghini) e il pigro pensionante Stanley (Alessandro Averone), a quanto pare un ex pianista che ha interrotto la carriera concertistica per motivi non meglio precisati.
Anche perché nulla viene veramente precisato nella trama di Pinter: non solo il ritiro di Stan dalle scene, ma anche i suoi rapporti con la pimpante Lulu (Emilia Scatigno), che parrebbe fargli la corte, se non cadesse fra le grinfie del più maturo e autoritario Goldberg (Gianluigi Fogacci), capo di una coppia di misteriosi gangster vestiti un po' alla Blues Brothers che si completa col grottesco e stupido Mc Cann (Alessandro Sampaoli). I due entrano in casa di Meg e Petey come inattesi nuovi pensionanti del cottage in riva al mare, ma ben presto si capisce che hanno ben altri scopi: devono riportare sulla retta via Stanley, colpevole di aver "tradito" non si sa come una pure non meglio precisata "organizzazione", poco incline a perdonare il voltafaccia dell'ex pianista.
Così, lentamente, anche tu stolto spettatore razionale finalmente capisci: la messinscena realistica è funzionale a rendere la quotidianità del testo, in cui i personaggi dialogano solo per frasi fatte sul tempo e sulla colazione - e qui s'appunta di certo la satira pinteriana della quiet life britannica - lasciando sempre fuori campo i veri drammi che per un attimo scuotono le loro piatte esistenze, che subito dopo tornano lisce come la superficie del lago dopo che un sasso scagliato è affondato nell'acqua.
Perché in effetti, pur essendo associato alla scena degli angy young men inglesi degli anni '50, i principali riferimenti del giovane Pinter sono il teatro dell'assurdo di Beckett e - proprio nel Compleanno, come mi è capitato di riflettere ieri sera - Il Processo di Kafka, con quel suo assurdo vaniloquio intorno a una vertenza di cui non ci viene svelato il merito fino alla fine del romanzo.
Silenziosamente distrutto, Stanley verrà portato via dai due suoi misteriosi angeli custodi verso la "norma" che s'illudeva d'aver sfuggito, Lulu se ne va in lacrime dopo essere stata "usata" dal vecchio Goldberg, cui pure aveva ammesso di preferire gli uomini maturi, la vita di Meg e Petey torna al quotidiano dialogo sul tè, il clima e le notizie del giorno: un horror dell'anima, un noir in cui il crimine avviene sempre un metro fuori dal nostro campo visivo. E tutti ci girano intorno come falene davanti a un lampione, senza mai dirci quale sia.
Nonostante il mio parallelo musicale quasi obbligato, quindi, non è certo l'urlo primordiale alla Cave a dominare il mood dello spettacolo (che, a parte il tamburo-regalo in scena e qualche canzoncina accennata dagli attori, è addirittura privo di una colonna sonora), piuttosto dovremmo ripescare "hanging on in quiet desperation is the English way" dei Pink Floyd per rendere la giusta sfumatura esistenzialista del testo.
Ecco perché il suggerimento musicale degli Psychedelic Furs con cui chiudiamo l'articolo è più un libero aggancio testuale (Dumb Waiter, da noi Il Calapranzi, è il testo di Pinter successivo al Compleanno, sempre su una surreale coppia di gangster) che non un preciso riferimento all'opera.
"Sei uscito?"
"Certo."
"E com'è il tempo oggi?"
"Bello, è proprio una piacevole giornata."
Mario G.
P.S.: le citazioni tra virgolette sono riportate a memoria, quindi rispecchiano il senso ma non perfettamente la lettera del testo di scena (tradotto da Alessandra Serra)