Fino a un certo giorno sei immortale.
Inattaccabile dal tempo.
Un giorno l'orologio si piega.
Sei guasto. Anche tu.
Un verme si installa nella tua caverna e si nutre di te.
La prima stazione è il dubbio. Quanto durerà l'inferno, quanto durerai tu. Non sei più eterno, l'orizzonte si stringe a un budello di carne mangiucchiata.
Il dubbio diventa terrore: puoi sradicarlo, solo un po' di purgatorio e tutto tornerà come prima. Oppure stai marcendo dentro ed è partito il conto alla rovescia?
L'orologio si scioglie: potrai realizzare quel che avevi in mente o è ora di selezionare le cose più essenziali perché per il resto non ci sarà tempo? Vedrai il libro di Situation Tragedy sugli scaffali, l'album FantaRock, il romanzo Hyde in Time pubblicato?
Il dubbio è il migliore alleato del parassita aggrappato alle pareti molli di una natura debole.
È una porta che si apre, ma non è diretto il percorso verso l'uscita. Non tornerai più quello che eri prima.
In quel momento non c'è più pubblicazione, premio letterario, presentazione, invito a teatro o cinema che abbia un senso, che si ricordi. Il verme ti ha già eroso dentro, sei ridotto a quella che Burroughs chiamava "l'algebra del bisogno".
Nella dimensione parallela dell'ospedale sei in totale dipendenza, come il Tossicodipendente di strada dell'introduzione al Pasto Nudo: dei medici che ti hanno in cura con le loro magie sciamaniche, delle infermiere che te le somministrano e si prendono cura di te, delle tue esigenze pratiche di ogni momento, anche le meno dignitose, che ti fanno rimpicciolire alla condizione di neonato.
Non "tre millimentri al giorno": un metro e venti in tre giorni.
Quello diventa il tuo tutto.
Poi un giorno ti svegli e scopri che stai iniziando a recuperare te stesso, un primo piolo della scala.
Ora sono uscito. Pare che abbia vinto, forse per sempre, si spera.
Mi ha rimesso in piedi l'equipe del dottor Bruno Alampi, che mi ha operato al Niguarda di Milano. Che mentre ricuciva i miei strappi non mi ha mai fatto sentire uno dei cinquanta casi che in media il suo reparto opera in una settimana, uno dei numeri che suggono brodaglia e si lamentano nel proprio letto. Che mi ha seguito con una celerità e un'efficienza che per consuetudine tutti consideriamo estranea alla Sanità pubblica italiana. Un presidio vitale che invece qui c'è (e non c'è dappertutto), che funziona come una macchina da guerra, che ha rimesso in piedi lo scrittore distopico trattandolo con empatia, addirittura con simpatia, come un amico che conta. Uno che deve tornare a scrivere al più presto.
Tra poco leggerete sul sito la recensione del libro di Jean Ray che ho scritto in ospedale durante la ripresa. Ma ho voluto cominciare con queste riflessioni, perché viviamo giorni strani, "strange days". Perché oggi non c'è più solo il sornione scetticismo tradizionale italico sulle cose di casa propria, che devono per forza essere viste in negativo. Ora siamo entrati in un racconto neo-millenarista: c'è anche chi, avendo a disposizione possibilità di farsi curare che in molte altre nazioni non ci sono o si pagano a caro prezzo, lotta rabbiosamente per difendere un misterioso "diritto a non essere curato". E per "difenderlo" ci sono falangi disposte a dare l'assalto all'arma bianca a un Pronto Soccorso per affermare un diritto che sembra prendere le forme di una fazione ideologica.
Anche lo scrittore versato all'orrore e alla distopia fatica a capire, per esempio dove sono finite di colpo le tonanti santificazioni dedicate al personale medico agli inizi dell'epidemia che ora si vuole trattare come una manovra cospirazionista. Fatica molto.
Per questo ho pensato di offrire il mio piccolo contributo a metà fra narrazione e filosofia su questa materia, perché il distopico torni ad essere materia da scrittori del fantastico e non da cronisti.
Insieme alla mia gratitudine senza riserve per gli sconosciuti in camice che hanno rimesso in piedi lo scrittore come parte del loro quotidiano impegno per quella cinquantina di viandanti del dolore di passaggio nel loro reparto.
Ora, siccome chi legge Posthuman mi conosce più come (fanta)rocker che come filosofo della res publica, posso perfino pensare di proporvi gli ascolti che mi hanno tenuto compagnia dallo smartphone mentre ero in corsia. The show must go on:
- Pearl Jam - Gigaton
- PFM - Ho sognato pecore elettriche
- Radiohead - A moon shaped pool (e un po' di Thom Yorke solista), me li ha ricordati il chirurgo con la suoneria del suo cellulare.
- Steven Wilson - The future bites (inediti e remix dell'edizione digitale ampliata), Cover version
- Prince - Welcome 2 America, The Rainbow children, Xpectation
- Duran Duran - Future past, Paper Gods
- Madonna - remix del singolo Hung up
- Monster Magnet - Cobras and fire.
Buoni ascolti, buone letture, buone visioni anche a voi. Presto ci dedicheremo anche al notevole Freaks Out di Mainetti.
La Realtà consente allo scrittore di tornare a volare nei cieli del Fantastico.
A presto, il vostro freak.
Mario G
P.S.: Il disegno di Rob G in apertura - L'algebra del bisogno - viene idealmente associato al brano degli UFO da cui abbiamo preso il titolo dell'articolo.