"They are still a very good band", mi disse il loro vecchio amico Russell Mulcahy - regista di una decina dei loro videoclip storici - mentre lo intervistavo per il FantaRock sulle chance di vedere mai un giorno su grande schermo quel film tratto da Wild Boys di Burroughs per il quale era nato il loro singolo di maggior successo (e un clip da un milione di sterline, leggetevi la storia sul nostro saggio). Lui li aveva visti da non molto in concerto e non li riteneva affatto rottami dell'era delle zazzere cotonate e giacche colle spalle imbottite ormai di modernariato.
Il loro penultimo Future Past, impreziosito dal piano di Mike Garson (pianista di Bowie) l'avevo ascoltato con piacere mentre mi trovavo a passare il tempo grigio in ospedale nel 2021. Ora, questo 16° album Danse Macabre (sopra il titolo la mia copia appena arrivata a casa) dell'ormai quartetto mi pare un lavoro molto interessante per diversi aspetti, che ci offre anche la chance di correggere qualche cliché critico che ha sempre accompagnato l'azzimata band di Le Bon & co., un tempo pomposamente definiti Fab Five e al contempo degradati a fenomeno modaiolo per ragazzine.
Mi son trovato a scrivere di Duran Duran per il fascicolo sugli Ottanta delle Leggende del Rock di Ernesto Assante, in edicola l'anno scorso con Repubblica, pochi giorni fa di nuovo per la nascente Enciclopedia della Musica 1900-2025 Treccani, a cura di Assante/cappelletto, di cui mi fregio di essere nella legione degli autori. Ebbene, se breve fu il periodo in cui i DD fermavano il traffico solo apparendo per strada, imperituro è rimasto invece il marchio a fuoco della critica rock, che li ha sempre bollati come archetipo delle boy band a venire, per l'eccessiva cura del look e della presenza video.
Uno stigma che non ha segnato altrettanto duramente i colleghi Spandau Ballet, gli Eurythmics, o Boy George, persino Madonna (che fa figo analizzare dottamente come fenomeno sociologico): tutta gente che non è che facesse musica sperimentale alla Tuxedomoon o Residents, per intenderci.
Ora, usciti dall'hype e dal correlato astio, possiamo guardarli più obiettivamente come una band del versante dance pop della new wave che scriveva le proprie canzoni, curava da sé (fra i primi, ho appreso) i propri remix dance, stratificava sapientemente layer di synth (e poi di Fairlight) negli arrangiamenti e li suonava dal vivo, anche se qualcuno opinerà che il rimpiazzo zappiano Warren Cuccurullo fosse chitarrista più abile dell'originale Andy Taylor.
Beh, nel nuovo disco - presentato come lussuoso doppio EP in vinile 'fumoso' a 45 giri - li trovate entrambi, insieme a Nile Rodgers, guru degli accordi stoppati, produttore di Let's Dance di mastro Bowie e poi di parecchi loro album da Arena in poi.
Danse Macabre, che tale è solo nella pregevole veste grafica con foto di sedute spiritiche d'inizio secolo, confezionata per il lancio halloweenaiano, è un'operazione assai emblematica dei nostri tempi: nulla a che vedere col dark, beninteso, siamo nei territori glam pop wave tipici del gruppo, ma con una track list che curiosamente copre quasi sessant'anni di pop rock. Infatti, i "4-Duran" attuali qui sfoderano tre inediti nuovi di zecca: Black Moonlight, Danse Macabre e Confession in the Afterlife, tutti di ottimo livello.
Poi rielaborano la galleggiante Night Boat dall'album d'esordio, Love Voodoo dal c.d. "Wedding Album" del 1993 (che diventa Love Voudou) e Secret Oktober (qui Secret Oktober 31st), originariamente nata come b-side del singolo Union of the Snake (da Seven and the Ragged Tiger) del 1983 e arricchita nell'arrangiamento rispetto all'originale.
Ma è con le ben sette cover che il gruppo compie un autentico giro del mondo rock a 360 gradi: c'è Paint It Black, gemma stonesiana del '65 resa con vocoder metallici da Kraftwerk; da cui si salta al 1977 di Psycho Killer dei Talking Heads, riletta con Victoria De Angelis degli supertrendy Måneskin ospite al basso, che punta alla palma di vertice del disco (qui sotto il bel video animato), saldando un picco funky della new wave newyorkese col presente, per mano di questi idoli degli anni '80 che oggi è tanto di moda rievocare (cfr. l'articolo sui King Gizzard di pochi giorni fa).
E, a proposito di nostalgie electro disco, altro picco è l'idea di omaggiare Supernature di Cerrone (ancora classe '77), riscoperta nel 2018 grazie al dance-horror Climax (chissà se anche ai DD l'ha ispirata il film di Gaspar Noé, qui sotto il trailer del film).
Un pezzo eco-vengeance apocalittico (sotto il clip d'epoca) di cui personalmente io adesso mi auspico un bell'extended remix proprio alla King Gizzard, per sfruttare a fondo le potenzialità di quel riff (psycho)assassino.
Altri omaggi agli Ottanta di cui il gruppo fu simbolo sono poi Spellbound di Siouxsie (da JuJu) e Ghost Town, successone reggae degli Specials e Super Lonely Freak, che riprende Super Freak, altro martellone funk di Rick James, interpolandola con Lonely in your Nightmare degli stessi DD (da Rio), tutte e tre assi immatricolati 1981.
Sembrano quasi lì a dire: vi suonano fighi gli anni Ottanta, ragazzi? Ecco qua, ricordatevi bene chi li ha creati.
Chiude il giro Bury A Friend di Billie Eilish, aggancio al presente del pop, strappata ai sussurri malati della sua autrice e resa da Simon con un cantato più estroverso (e di nuovo un ricorso al vocoder al posto del whisper).
Danse Macabre, pur allegro e festaiolo come una zucca arancione colla candelina dentro, come da sempre il sound del gruppo, è un album maturo, ben suonato e supportato da session men di lusso, ben coeso e prodotto alla grande da Nile Rodgers e Mr Hudson. Se sentite anche voi quella strana nostalgia Eighties, non vergognatevi ad ascoltarlo fra LCD Soundsystem, Arcade Fire ed Arctic Monkeys: molta di quella roba viene di qui!
Ci si ritrova presto per vedere come ha macinato gli '80 l'ultimo Steven Wilson solista (e, perché no, quell'altra fantamacchina del tempo dei Rolling Stones appena uscita).
Mario G