Si è parlato molto dell’attesissimo ritorno della saga di Matrix, iniziata al volgere del millennio col(l’unico) capolavoro immortale degli allora fratelli Wachowsky, il primo film, da loro stessi definito concluso col finale (pur aperto) di quella pellicola capostipite (che ripassate qui sotto, col rombante brano Wake Up dei Rage Against the Machine in colonna sonora).
I due seguiti, Reloaded e Revolutions, messi subito in cantiere dalla Warner dopo il successo globale del film, furono definiti dal giornalista (e autore di s/f a sua volta, oltre che postfatore del mio Rave di Morte) Carlo Formenti “solo implementazioni del videogioco” (ricordo che si era ad un ciclo di incontri in libreria su P.K. Dick da lui condotti). Infatti nessuno ne ricorda bene la trama e il sottoscritto stesso se li è dovuti ripassare in tv per prepararsi adeguatamente alla visione del Neo-evento.
Del quale cui qui sotto vi ripassate il trailer, se già non lo sapete a memoria:
Tutto inutile: la proiezione del sempre fluviale quarto capitolo del franchise (148’) scorre lutulenta, senza mai regalarti una sorpresa che t’instilli il dubbio che forse quei 190 milioni di dollari che è costato in fondo valeva la pena investirli. Che una nuova puntata della storia potesse davvero aggiungere qualcosa di sorprendente a quel che già sapevamo.
Infatti, avrete notato che il dibattito sull’impegno in regia della sola Lana Wachowsky senza la sorella Lilly e sulla dietrologia secondo cui la decisione di ridare vita alla saga sarebbe dovuta al desiderio d’impedire che la Warner Bros. portasse avanti un nuovo sviluppo cinematografico del soggetto – con Zak Penn come sceneggiatore e Michael B. Jordan come protagonista nei panni di un giovane Morpheus, ma senza gli originari autori del plot – è più interessante di quello sul film stesso.
E dire che l’idea di partenza, senza essere rivoluzionaria, era almeno interessante, anche a suo modo spiritosa e autoironica, come osserva giustamente la recensione sul Fatto Quotidiano: Thomas Anderson è oggi un game designer di successo, autore di una trilogia di videogame popolarissimi, The Matrix (manco a dirlo), la quale ogni tanto lo turba con trani incubi molto 'realistici', e che al bar incontra l’interessante Tiffany, madre di famiglia a sua volta immemore d’esser stata 60 anni prima la letale Trinty proprio accanto a lui.
La casa produttrice (e qui viene satireggiata esplicitamente la Warner stessa, produttrice del franchise filmico) vuole un sequel sul quale il divo è riluttante e - quel ch’è peggio - privo d’idee.
Parte un grottesco brain storming del team creativo che non sa che pesci pigliare, a parte che “ci vuole più bullet time” (l’effetto inventato o quasi dai Wachowsky per il primo film), quand’ecco irrompono in scena gli agenti Smith (purtroppo senza più il ghigno cinico di Hugo Weaving) colle loro coorti armatissime, sparando all’impazzata e imponendo il livello “matrixiano” su quello del quotidiano (rituffandoci così nell’ardita sfida originaria: “Matrix è la tragica realtà, il vostro quotidiano è un’illusione generata dalle macchine”).
A questo punto, dopo averci strizzato l’occhio con la White Rabbit dei Jefferson Airplane (già usata in cover anche in Sucker Punch di Snyder), il film potrebbe agevolmente portarci a caccia del carrolliano bianconiglio fra plurimi strati di realtà/finzione, magari spingendo più avanti le visioni sviluppate dall’Inception di Nolan (in parte a propria volta un “epigono di Matrix”), come ben visualizza il making of video qui sotto.
Guardate ad esempio la forza della scena (a circa 1’ dall’inizio nel clip qui sotto e nello still a destra) in questa videointervista con Keanu Reeves e Carrie Ann Moss, dove il Keanu di oggi passeggia in una scena del primo Matrix, nella quale il Neo più giovane sta schivando le mitiche pallottole dell’agente Smith sul tetto del grattacielo:
Invece no: il film s’insabbia nel ritrovamento dei personaggi fossili del passato – Sati adulta, l’invecchiata Niobe, persino l’inutilissimo Merovingio urlante a sproposito – e in letali spiegoni (al confronto dei quali quelli di Marco Da Milano a Propaganda Live sono Tacito) su cos’è accaduto loro fra la fine della storica trilogia e ora, facendo le capriole per motivarci un Morpheus più giovane, il dimenticabile Yahya Abdul-Mateen II, che purtroppo non ha un’oncia del carisma del Fishburne storico. Intervallati da quel che in un Matrix movie non può mancare: torrenziali sparatorie e lunghi minuti di combattimenti corpo a corpo con le tecniche di quel kung fu accelerato e potenziato dei videogame che nel primo Matrix sorprendevano e, ahinoi, adesso sono prevedibili e quindi subito noiosi.
Un’adrenalina sintetica che purtroppo non basta a sostenere quelle due o tre potenti idee visive che comunque il film di Lana ci offre: la fuga in moto di Neo e Trinity (a lato una foto dal set), ostacolata dagli abitanti della metropoli che, tutti programmi interni a Matrix, si gettano dalle finestre schiantandosi sui marciapiedi come bombe umane di un distopico 11 settembre, e il volo dei due amanti-combattenti, in cui all’improvviso Neo scopre di non essere più capace di governare il suo potere di volare e rimane appeso nel vuoto alla mano dell’amata.
Per cui non tenteremo neppure di riassumervi il prosieguo della trama, che purtroppo sta già sfumando nelle nebbie dell’oblio nella nostra mente, tanto trovate già QUI tutto l’occorrente per farvi un’idea, se già non ce l’avete.
In fondo, forse è vero quel che dice Simone Vacatello nell’articolo del Fatto sopra citato: ossia che il film è già implicitamente la parodia non solo della brama di sequel delle major, ma altresì anche della propria fatale inadeguatezza rispetto alle nostre attese impossibili di rivivere la sorpresa che il primo film ci accese, contraddizione implicita un po’ in tutte le operazioni di serializzazione di un soggetto di successo; si fanno perché il pubblico “ne vuole di più”, ma poi – quando ben le ottiene – il pubblico stesso se ne lamenta quasi sempre.
Sarà così? Basteranno a giustificare il tutto gli incassi che comunque ci saranno, almeno a livello globale (in USA dov’è uscito prima il film non è andato benissimo), sulle millemila piattaforme in cui ormai un film viene distribuito?
Ora, da fan, noi chiediamo che se ci dovrà essere un quinto capitolo – alias un sequel del reboot – sia almeno del tutto diverso, spiazzante a costo di rischiare.
Se no meglio vedersi la serie Sense8.
Nient'altro da aggiungere? Non proprio: piccola chicca sonora fantarock, anche la Wake Up dei RATM sopra citata viene omaggiata con un'originale strizzatina d'occhio, perché in chiusura di Resurrections, il brano torna, ma in una versione jazzcore realizzata dai Brass Against, furioso collettivo attuale a base di ottoni (impegnata politicamente, come il gruppo di Tom Morello), guidata dalla scatenata cantante di Detroit Sophia Urista, che qui sotto vedete all'opera in studio:
Buone visioni.
Mario G