Il 2010 è stato generoso col fantastico: avete già letto di The Road, Splice, The Box, Pandorum, Inception e del cartoon 9. Dedichiamo allora questa ultima cinerecensione dell’annata a “salvare” dall’oblio cui sembra destinata una di quelle pellicole che – come già il Dante 01 di Caro o L’Albero della Vita di Aronofsky – nascono sotto una luna avversa e concentrano su di sé un disprezzo ben superiore a quanto meritino (per farvi un’idea ne trovate un esempio QUI). Insomma, avete capito: è un’altra di quelle mission impossibile che Posthuman preferisce decisamente al più sterile esercizio dello stroncare snobisticamente i film sgraditi.
L’ambientazione è quella di un futuro imminente, non lontano dal nostro presente, trend dominante della s/f attuale (da Splice a Inception, i protagonisti non vestono tute argentate ma vivono in un mondo simile al nostro): solo che la vita può essere allungata e la sua qualità migliorata tramite il trapianto di eccellenti organi sintetici, offerti dalla Union a caro prezzo ma pagabili “in comode rate”, frase cui siamo già tristemente assuefatti dalla pubblicità che ci assedia quotidianamente. Solo se non paghi per 3 mesi entrano in azione loro, gli esattori d’organi, che ti tramortiscono e ti espiantano il prodotto reclamato seduta stante (sotto a sinistra, Law in azione), come qualsiasi finanziaria si riprenderebbe l’auto o la casa del cliente insolvente. Nella società del denaro – che è già la nostra, mica quella del futuro – è solo una sgradevole conseguenza secondaria che il cliente muoia subito dopo l’espianto di organi quasi sempre vitali: è la legge del mercato, non è colpa nostra, e non è nemmeno così mostruoso se si usano le felpate parole del politically correct; se si chiama l’omicidio “recupero a spese della società”, se si chiede al morituro già incosciente se preferisce essere espiantato in un’ambulanza, insomma se si addolcisce la pillola del crimine legalizzato con lo zucchero propagandistico più diffuso nella nostra soap opera globalizzata: la proiezione di un mondo virtuale e dorato in cui tutti nostri sogni sono a portata di mano senza eccessivi sforzi.
In questa dimensione di satira al nero dell’avida ipocrisia che benissimo riflette il nostro presente il film si gioca le carte migliori e più taglienti: il direttore commerciale che invita gli esattori a non stare tra i piedi durante le trattative coi clienti, perché se quelli si spaventano e comprano l’organo artificiale in contanti invece che a rate la società guadagna di meno; oppure le situazioni via via più terribili in cui vengono praticati gli espianti come semplici pratiche burocratiche, fra battutine di spirito e macabre gare a chi “recupera” più organi al giorno.
Ma anche quando il film pigia l’acceleratore del versante più action, quando l’esattore Law diventa preda e fugge sperimentando la vita del clandestino braccato insieme a Beth (Braga, con lui nella foto qui a destra), a mio parere il film regge, anche se siamo nel campo del prodotto medio da entertainment major: la vistosa citazione del combattimento uno-a-molti nel corridoio, a coltellate e martellate (dal capolavoro Old Boy di Park Chan-Wook, come vedete nel frame sotto a sinistra), come le sanguinose auto-riparazioni dei preziosi organi feriti, sfoggiano poi un gusto gore piuttosto spinto, che ha infastidito parecchi ma che appunto in un prodotto mediamente levigato come Repo Men crea un gustoso spiazzamento inatteso.Insomma, il “nostro eroe” è un bel sanguinario, sia quando faceva lo stronzo al servizio del Moloch capitalistico sia adesso che lo combatte. E la scena-madre dell’amplesso-autoscansione chirurgica degli organi interni di Jude Law-Alice Braga, per cancellarli “a vivo” dal data base dei “ricercati” senza espiantarseli irreparabilmente, raggiunge un’autentico picco dell’eros+thanatos rappresentabile in chiave s/f.
Cui si aggiunge in chiusura un amaro twist che trasforma quanto abbiamo visto fino a quel momento in un beffardo “Truman Show” e che avrebbe fatto la gioia di un burlone al nero come Mario Bava (pensate per es. ai finali di Reazione a Catena o Lisa e il Diavolo). Che sia questo pessimismo di fondo ad aver decretato l’insuccesso al botteghino del film? L’eccessiva violenza per il pubblico medio (che però premia Saw e Hostel)? E perché anche i sostenitori del film di genere, pronti a trovare ancore di salvataggio per le pellicole più sbilenche, girano il pollice per Repo Men?
Domande retoriche: il destino è beffardo e imperscrutabile, come le strategie della Union. Beninteso, non vogliamo dire che Repo Men sia il nuovo Blade Runner, dal quale ha tratto qualche scorcio di metropoli futuribile e soprattutto l’idea – frequente in tutta la s/f post cyberpunk – di una società tecnocratica ma socialmente regredita a un sistema di caste spietato coi nuovi paria. E nemmeno il nuovo Minority Report, dal quale invece mutua l’impianto narrativo dell’eroe prima servo di un sistema (là giuridico, qui economico-biologico) aberrante, poi paladino della ribellione. Però non è nemmeno una boiata come l’Io Sono Leggenda (da cui ha tratto la brava Alice Braga), o il roboante 2012 di Emmerich, che pure hanno ampiamente sbancato nel mondo. Repo Men (a destra una locandina internazionale, più efficace di quella scelta per la fascetta del dvd italiano) sta un po’ nel mezzo, né indie né mainstream, forse è questa la chiave del suo scontentare sia la massa sia i cinefili amanti del genere. E contiene anche qualche superficialità, come ad esempio la sbrigativa fine del matrimonio di Jude Law proprio a causa dello spietato lavoro, alla quale però il duro esattore si rassegna con improbabile immediatezza.
Ma se le vacanze natalizie vi stanno stuccando con la loro orgia di bambini ridenti e famigliole in solluchero, concedetegli una chance. Non è detto che ve ne pentirete, io me lo sono goduto senza rimpianti. E se durante la visione vi s’inarca il sopracciglio, chiedetevi: se il vostro prossimo panettone fosse messo a rischio da un’insufficienza cardiaca (o epatica o quel che più temete)… che cosa sareste disposti a fare per garantirvi il futuro?
Buoni botti, il 2011 ci promette finalmente il Black Swan di Aronofsky e la Balada Triste de Trumpeta di Alex De La Iglesia, che da noi s’intitolerà Ballata dell’Odio e dell’Amore (ne vedete il trailer italiano ora in home page sul sito di Nocturno), ambedue presentati all’ultimo festival di Venezia. Ed è già un buon auspicio.
Mario G