-----------------------------------------------------------------------------
Marco Muller può essere soddisfatto, il festival è riuscito. La difficile alchimia tra cinema d'autore mondiale e star hollywoodiane era un mix difficile da gestire ma alla fine il festival ha dato spazio a tutti. Basta guardare i premi: leone d'oro alla carriera di John Lasseter, mago della Pixar, autore tra gli altri del bellissimo Wall-e (su posthuman ce ne siamo occupati in questo articolo). Il vincitore è Lebanon un leone d'oro meritato, ottimo film, tema importante. Anche il leone d'argento è di primissima qualità, dell'artista Shirin Neshat.
Ma cosa altro si è visto a Venezia? Procediamo in ordine sparso.
Beh, c'era Michael Moore, con il suo "Capitalism a love story" (Capitalismo: una storia d'amore), dove l'america scopre i guasti di un capitalismo selvaggio che non mantiene più le promesse di benessere degli anni 50. Scritta per essere d'ispirazione a molti americani (compresi gli americani di casa nostra), per spiegare loro che il socialismo non è quella bestia cattiva della propaganda americana.
Interessante il lavoro del regista cingalese Vimukthi Jayasundara "Ahasin Wetei" (Between Two Worlds) il film surreale ed onirico, parte da un presunto attacco terroristico, un boicottaggio non ben definito alle tv del paese e alle sue strutture. Una scena classica di devastazione metropolitana a cui segue una fuga. Il personaggio sospeso tra mondo rurale, mondo metropolitano, tra modernità e tradizione, tecnologia e sapere, è in fuga alla ricerca dei ricordi, in un viaggio temporale a ritroso che lo riporta nella giungla in compagnia delle persone che hanno tessuto la sua vita e che vagano in questo sogno/ricordo connettendosi casualmente ai suoi spostamenti di spazio e tempo. Un grido disperato che rivela una conflitto verso una modernità indecifrabile che sta travolgendo la vita del paese.
Altro film in programmazione che ha suscitato non pochi dibattiti "nei bar" della biennale è stato "Det Enda Rationella" (A Rational Solution) di Jörgen Bergmark. Una coppia modello, inserita nella comunità, di saldi principi, che fa corsi "matrimoniali" nella cappella del posto, si trova a dover fronteggiare una violenta crisi di coppia. L'uomo infatti si innamora della donna del suo migliore amico e dopo qualche mese di "clandestina" relazione extraconiugale decide di passare alla soluzione razionale e di proporre agli altri due coniugi ignari (la moglie e il suo migliore amico) la soluzione razionale. La soluzione razionale è la condivisione degli spazi e la trasparenza, la condivisione di quella che va dipanandosi come una relazione passionale e temporanea. L'uomo sostiene infatti che presto le cose torneranno al loro posto e se loro rimangono uniti ed insieme attendono la naturale conclusione di questa relazione extraconiugale, le sofferenze saranno arginate. Il finale chiaramente drammatico disvela la natura fondamentalmente non razionale delle relazioni tra le persone. C'era proprio bisogno di farci un film? Il film svedese ha creato schieramenti con risposte opposte.
Non è mancato il puro stile Bollywood alla rassegna attraverso la soap di Anurag Kashyap "DEV. D" di circa 144’. Un'epopea per il regista fatta di amori, drammi, tradimenti, ricongiungimenti a tempo di musica indiana strappalacrime. Interessante come l'industria dell'intrattenimento indiana riesca a sfornare passioni a tinte forti con intrecci di semplice fattura che per quanto grotteschi a tratti rappresentano il cuore "folk" dell'india e trascinano ancora pubblico (indiano) al cinema. Ho dei dubbi funzioni in Europa. D'altra parte anche Hollywood riesce ancora a produrre orribili sceneggiature (un tempo si diceva polpettoni) puntando sul divismo, non vedo perchè la stessa cosa (cioè produrre polpettoni) non debba accadere in India o in Cina.
Non volevo parlare dei film premiati perchè la stampa ne dà già un ampio resoconto, i riflettori sono tutti per il vincitore che è senza dubbio un'opera degna per vincere Venezia. Però, un grande film è anche il leone d'argento "Zanan bedoone mardan" (Women Without Men) dell'artista Shirin Neshat. Una fotografa oltre che regista e si vede subito, sin dalla prima inquadratura. Le raffinatezze delle composizioni, la poesia leggera e lenta di queste donne in fuga dalla violenza "maschile", ne fanno un film con una estetica di ampio respiro, probabilmente dopo Abbas Kiarostami e Mohsen Makhmalbaf l'Iran mostra al mondo un'altra grande artista che può con pochi mezzi realizzare un film semplice ed intenso con la creazione di immagini di grande impatto. Spero che la sua filmografia possa essere lunga e prolifica nel futuro.
Abbiamo visto Tehroun (teheran) di Takmil Homayoun Nader dove il protagonista va in giro a chiedere l'elemosina con un bebè a noleggio. Questo personaggio sembra spietato e senza scrupoli, invece scopriamo quanta fatica stia facendo per costruire se stesso, avere un lavoro ed una famiglia. Intorno a lui si stringono amorevolmente gli amici, e intorno alle vicende di questo bebè ruotano le vicende di questi personaggi, che cercano di sopravvivere nonostante tutto, nonostante una città che non li aiuta, una società violenta che cerca di intrappolarli in meccanismi malavitosi. Alcuni riescono a spezzare queste logiche perverse altri ne pagheranno le spese. Ben diretto, gli attori sono autentici, un altro buon film che difficilmente raggiungerà le sale.
Non ci è piaciuto Honeymoons di Goran Paskaljevic, il film pur interessante come "soggetto" proponendo punti di vista multipli tra lo sguardo "albanese" / "serbo", sulla scia di feste nunziali, è comunque un film non uniforme e un pò sconnesso, dove i momenti di dramma sono ovattati e sembrano arrivare al momento sbagliato. Gli attori cercano di tirare fuori le proprie emozioni ma personalizzano troppo un film che in fondo vuole solo far vedere i gruppi etnici che ha alle spalle.
Paskaljevic non è Kusturica, gli manca la poesia e la vena grottesco-surreale e non può nemmeno essere un drammaturgo perchè il risultato è quasi una amara involontaria commedia sulle ottusità serbo/albanesi, che meriterebbero invece un approfondimento più serio.
Abbiamo visto anche Gordos del regista spagnolo Daniel Sánchez-Arévalo, una commedia amara, graffiante sul problema del "grasso", ossessione contemporanea. Il grasso minaccerebbe la magrezza che è uno status symbol, sinonimo di bellezza e produttività. Il film mostra come la superficiale analisi per cui i grassi sono "quelli simpatici e di buon umore" ma "senza controllo su se stessi", non spiega affatto i problemi delle persone. Lottare contro il grasso nasconde una battaglia diversa, che nulla ha a che fare con il grasso, è la battaglia della difficile accettazione ed individuazione del sé, è la battaglia per trovare il senso della felicità in una vita che facciamo fatica a decifrare. Davvero bravi gli attori, arguti, dinamici, ti trascinano nelle loro vite private con naturalezza.
Il film egiziano "Wahed-Sefr" (One-Zero) di Abou Zekri Kamla ci ha lasciato un po' perplessi invece. Un conduttore televisivo in crisi, un'estetista alla ricerca di clienti che sopravvive con piccole truffe, un figlio violento, una donna in crisi nel suo rapporto d'amore. Insomma un Egitto diviso e precipitato nei suoi problemi personali, poi però arriva la partita e tutti si uniscono in un carosello di felicità.
Mi è parso superficiale e didascalico non è un problema di regia o di lavoro degli attori è davvero la sceneggiatura ad essere debole e a non avere la giusta intensità, come se passasse sopra i reali problemi dei personaggi.
Aspettative deluse per il film "Al mosafer" (The Traveler) di Ahmed Maher: nonostante una bella fotografia, la recitazione è pessima e la storia davvero noiosa e saponata. L'attrice che da il volto a "Nura" potrebbe cambiare mestiere. L'apparizione di "Omar Sharif" non può bilanciare un film mal scritto e mal diretto.
Il regista cinese Liu Jie torna con un film che ha per protagonista un giudice: "Touxi" (Judge). Confesso di aver amato molto il suo precedente lavoro, di cui questo film ricalca forse l'ispirazione ma sebza la stessa forza espressiva del precedente. Un film discreto, comunque, ben diretto, che a tratti ci fa vedere una Cina burocratica, rigida e spietata in cui coesistono corruzione ma anche umanità. Il difficile passaggio verso la modernità, verso nuove leggi, verso un nuovo stato di diritto che cancella per esempio la fucilazione per un semplice furto d'auto, è la trappola/catarsi personale e morale del protagonista.
Abbiamo apprezzato "L’oro di Cuba" di Giuliano Montaldo un discreto lavoro su quello che il regime castrista ha portato a Cuba cercando di non rielaborare la solita immagine statunitense del comunismo affamatore di popoli. Viene presentata l'isola con la sua storia di rivoluzione da una dittatura per affidarsi a Castro che da tutti viene ricordato come un "liberatore". In questi anni poi lo sviluppo della cultura, della formazione ha reso Cuba un posto migliore, sconfiggendo alcune emergenze sanitarie e cercando di portare lavoro a tutta l'isola. L'embargo viene percepito come profondamente ingiusto perchè è la negazione della possibilità per Cuba di dimostrare che ha vinto la sua scommessa quando ha appoggiato la rivoluzione castrista o eventualmente di poter proseguire oltre.
Davvero bello il gruppo di "corti", di storie dal titolo "Korotkoye Zamykaniye" (Crush) dei registi Petr Buslov, Alexei German jr., Boris Khlebnikov, Kirill Serebrennikov, Ivan Vyrypayev. I corti rappresentano degli amori forti esplosi in condizioni impossibili. Un giornalista in crisi d'identità aiuterà "involontariamente" un ragazzo con problemi psicologici a dimostrare il suo amore per una "vicina di casa". Un calzolaio sordo si innamora di una sua cliente. Per timidezza ne venera la scarpa con il tacco sognando di poterla riconsegnare e confessare la sua passione. Un sacrificio sarà necessario per superare questa barriera. Un corto dalla scrittura perfetta, diretto e interpretato in maniera esemplare forse il migliore dell'antologia Crush. Anche le buffe disavventure di un'aragosta pubblicitaria gigante, un costume indossato da un ragazzo determinato a non perdere il lavoro e a trascinare clienti dentro il ristorante che rappresenta, divertono il pubblico di Venezia. Il ragazzo viene picchiato in continuazione da tutti i potenziali clienti quando lui cerca di baciarli per convincerli ad entrare. Finisce con l'innamorarsi di una donna in fuga picchiata (dal fidanzato) e perseguitata anche lei come il nostro matto protagonista.
Un'altra storia d'amore all'interno di un ospedale psichiatrico, una specie di lager sadico, dal sapore arruginito di una russia con sottomarini dismessi da smantellare. Il protagonista, non così matto come potrebbe sembrare si innamora della dottoressa, pagandone amare conseguenze. Spero vivamente che arrivi nelle sale.
Bellissimo Mr. Nobody di Jaco Van Dormael. Il regista torna alla macchina da presa dopo "l'ottavo giorno" e sforna un capolavoro. I suoi temi dell'umano tornano prepotenti con un teorema forte: "Tutto quello che scegliamo ha senso. Ogni scelta è la scelta giusta", ma lo affronta dal punto di vista dell'umano "mortale", dell'ultimo che non ha potuto usufruire della tecnologia per essere immortale, l'ultimo che ancora possa insegnare qualcosa all'umanità. Questo tentare di corto circuitare presente-passato-futuro è il grande merito e la forza espressiva del film che si presenta come un'opera matura e originale. Un film post-umano, con una teoria chiara di quello che stiamo rischiando nel passaggio all'epoca del cyborg. Rivendica fortemente l'umano il "signor nessuno" che la nostra cultura sta soffocando in sogni di onnipotenza. Assolutamente da non perdere.
Un pò di nostalgia a rivedere I magliari di Francesco Rosi, una pellicola restaurata, con uno straordinario Alberto Soldi, un venditore di stoffe "farabutto" come va di moda dire oggi, con tutti i vizi e le virtù di noi italiani. Sceneggiatura ben scritta e regia solida. Da rivedere per ricordarsi come fare buoni film in Italia.
Deludente il diario-docufiction "Seo-wool eui ul-gul" (Faces of Seoul) di Gina Kim. L'artista che ci ha abituato ad opere di altro genere e livello presenta un diario sciatto con immagini girate con una telecamerina in giro per Seul. Ci dispiace dirlo ma non comprendiamo il senso di questa operazione se non la mancanza di mezzi finanziari per l'artista. Le immagini, brutte, fanno da sguardo opaco e triste del testo a tratti troppo personale dell'artista.
Segnaliamo poi "Teat Beat of Sex" di Signe Baumane, una ventina di episodi animati da due minuti l'uno che parlano del sesso dal punto di vista della vagina. Esilarante ed istruttivo.
Segnaliamo la brutta opera prima di Jorge Navas "La sangre y la lluvia" (il sangue e la pioggia) rivisitazione colombiana, implicita ed inconfessabile di Taxi driver. Un tassista viene massacrato di botte e cerca di capire perchè chi ha ucciso il fratello adesso vuole rendergli la vita difficile e prima di presentarsi all'appuntamento della resa dei conti incontra una bella donna con cui stringe amicizia e la trasporta nell'inevitabile incontro con la morte. Nei festival ci sono anche questi film. D'altra parte è un'opera prima, il regista saprà rimediare.
Interessante ma non riuscito il film olandese: "De laatste dagen van Emma Blank" (The Last Days of Emma Blank) di Alex van Warmerdam. Un noir allucinato e cattivo, graffiante che risente dell'influenza francese di Claude Chabrol. Il film però è più criptico e sbilanciato di quanto ci si potrebbe aspettare. Siamo nella villa di Emma Blank, una ricca signora che maltratta la sua servitù. La donna sta per morire ed ha promesso in eredità tutte le sue ricchezze al gruppo di domestici che si prendono cura di lei (ma questo lo scopriamo lentamente dalle battute di frustrazione dei personaggi). Purtroppo non è facile stare dietro ad una donna sadica come Emma Blank. La servitù sopporta con la prospettiva di arricchirsi. Ad un certo punto però scopre che Emma Blank non è più ricca ed ha perso tutto tranne la casa.
La reazione arriva violenta (e tardiva) ed è qui che forse il film mostra tutti i suoi limiti. Le vittime si trasformano in aguzzini "spillano" a terra Emma lasciandola morire di fame e sete. Una morte orribile a cui fa seguito la scena della sepoltura. Il gruppo poi va in pezzi e dimostra tutta la sua crudeltà, rapidamente. I personaggi rimangono come pupazzi nelle mani del regista a cui sta a cuore il suo teorema, ma non ci porta dentro pronti a fare la stessa cosa.
Un pò buffo (involontariamente) il thriller Celda 211 dello spagnolo di Daniel Monzón per i suoi personaggi fumettati. Il soggetto è interessante: un secondino al suo primo giorno di lavoro si trova dentro una rivolta carceraria, per non essere ammazzato finge di essere uno degli insorti. Alla fine scoprirà la lealtà e la forza dei detenuti, in particolare del loro leader.
La scarsità di mezzi si fa sentire e l'intreccio semplicistico alla fine è facilmente prevedibile. Gli attori fanno il possibile per dare spessore ai loro personaggi ma sembrano usciti da un western anni 70. Però ci siamo divertiti alla fine e pensiamo che possa avere delle chance in sala. Ma siamo lontani dall'opera d'arte.
Venezia era anche Lebanon, Metropia, Soul kitchen, la doppia ora, Gulaal, Tom Ford, George Clooney, Matt Damon, e Michele Placido però vi volevamo raccontare la parte più nascosta che non raggiunge i riflettori. Venezia è anche l'occasione per vedere film da tutto il mondo, certo pochi saranno i film "riusciti", però è un'occasione unica per farsi un'idea del panorama cinematografico mondiale. Alla fine è stato un buon festival con molti buoni film e qualche ottimo film. I premi sono stati condivisi.
C'era intesa anche per il clima generale che si respirava.
Infatti a proposito di questo facciamo una riflessione. Tutti parlavano delle difficoltà in generale dell'industria cinematografica, la crisi economica ma soprattutto le miopie politiche che continuano a tagliare fondi e a non organizzare una politica per il settore. Praticamente potremo apostrofare un canzone di Vasco Rossi: "siamo soli".
Il monopolio o l'oligopolio della distribuzione italiana sta strozzando la cultura penalizzando le scelte di visione.
Non c'è un circuito per i cinema d'essai, nessun sostegno finanziaro nei cinema "comunali" o "universitari", le rassegne e la programmazione di buoni film sono lasciati alle iniziative private o alle scuole di cinema. Non è vero però che la cultura "non fa mercato", diciamo che non fa lo stesso "ricco mercato" delle produzioni pop-generaliste americane.
Non è un motivo sufficiente per cancellarla dalle sale. Nessuno legge i libri di meccanica quantistica ma questo non è un motivo sufficiente per cancellarli dalle librerie. A Venezia si potevano ammirare produzioni sud-americane, asiatiche, europee, e tutte le volte la domanda era sempre la stessa: vedremo mai in sala questo film?
Per non parlare di un tema molto sensibile: i giovani autori e le opere prime. Anche la sezione corto-metraggi ha dimostrato che ci sono in giro parecchi talenti è che un peccato non mostrare le loro opere in giro per le sale. Perchè per legge non si obbliga le sale a mostrare un cortometraggio di giovani autori all'inizio di ogni proiezione?
Perchè il ministero non fa un portale gestito da critici cinematografici (non politicizzati e di prestigio) dove poter postare tutte le opere prime, con tanto di critica e valutazione (si potrebbero mettere tutti gli autori selezionati dai principali festival italiani per esempio)? Il migliori (una diecina per esempio) dovrebbero poter usufruire dei finanziamenti del ministero... in questo modo ci sarebbe una valutazione chiara e trasparente dei pochi fondi che vengono messi a disposizione e un continuo monitoraggio della creatività nazionale. Ma è solo un'idea, giusto per far capire che come tanti problemi in Italia la cultura (quella cinematografica poi...) è solo un altro nella lista dimenticato.
Per alcuni dei nostri politici la cultura è un ostacolo. Registro come shockanti le dichiarazioni che hanno definito Venezia "ciarpame culturale", uno dei festival più importanti del mondo che l'europa ci invidia, e sempre questo tipo di politici ha auspicato il taglio dei fondi per Venezia e la biennale. Ma se non si ha il buon senso di proteggere Venezia, come si potrà fare qualcosa poi per il cinema in generale?
Ricordiamo i PREMI UFFICIALI (dal sito della biennale)
La Giuria Venezia 66, presieduta da Ang Lee e composta da Sandrine Bonnaire, Liliana Cavani, Joe Dante, Anurag Kashyap, Luciano Ligabue, Sergei Bodrov dopo aver visionato tutti i venticinque film in concorso, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
Leone d’Oro per il miglior film: Lebanon di Samuel MAOZ (Israele, Francia, Germania)
Leone d'Argento per la migliore regia: Shirin NESHAT per il film Zanan bedoone mardan (Women Without Men) (Germania, Austria, Francia)
Premio Speciale della Giuria: Soul Kitchen di Fatih AKIN (Germania)
Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: Colin FIRTH nel film A Single Man di Tom FORD (Usa)
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile: Ksenia RAPPOPORT nel film La doppia ora di Giuseppe CAPOTONDI (Italia)
Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente: Jasmine TRINCA nel film Il grande sogno di Michele PLACIDO (Italia)
Osella per la miglior scenografia: Sylvie OLIVÉ del film Mr. Nobody di Jaco Van Dormael (Francia)
Osella per la migliore sceneggiatura: Todd SOLONDZ per il film Life During Wartime di Todd SOLONDZ (Usa)
LEONE DEL FUTURO - PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA (LUIGI DE LAURENTIIS)
La Giuria Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima (Luigi De Laurentiis) della 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, composta da Haile Gerima (Presidente), Ramin Bahrani, Gianni Di Gregorio, Antoine Fuqua, Sam Taylor Wood ha deliberato all’unanimità di assegnare il
Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima (Luigi De Laurentiis): Engkwentro di Pepe DIOKNO (Filippine) - ORIZZONTI
Nonché un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che saranno suddivisi in parti uguali tra il regista e il produttore.
PREMIO CONTROCAMPO ITALIANO
La Giuria Premio Controcampo Italiano della 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, composta da Carlo Lizzani (Presidente), Giulio Questi, Marina Sanna ha deliberato all’unanimità di assegnare il
Premio Controcampo Italiano: Cosmonauta di Susanna NICCHIARELLI (Italia)
“per la capacità di ricordare attraverso gli occhi di una adolescente un momento cruciale del Novecento”
Al regista Kodak offrirà inoltre un premio del valore di 40.000 Euro in pellicola cinematografica negativa nei formati 35 o 16mm (a discrezione del vincitore) che gli permetterà di girare un altro lungometraggio.
Menzione Speciale: Negli occhi di Daniele ANZELLOTTI e Francesco DEL GROSSO (Italia)