“La più antica e potente emozione umana è la paura,
e la paura più antica e potente è la paura dell'ignoto”
(H. P. Lovecraft)
“Spaventoso”. “Agghiacciante”. “Angosciante”. Preceduto da sì impegnativo coro d’internazionale plauso (che va dal Chicago Sun Times alla recensione dell’ex direttore di Locarno Olivier Père per Nocturno), arriva il 6 luglio anche nelle sale italiane per Midnight Factory il film del 42enne David Robert Mitchell. Che, poco meno che esordiente, già si piazza nell’arena cinematografica come “vero autore” (Père), uno che ha davvero qualcosa da dire nel campo dell’horror.
Perché per una volta la messe di lodi riportata anche sulla locandina (in apertura quella italiana, qui a destra quella tedesca, che personalmente preferirei) corrisponde a verità: It follows è un, anzi è IL film che posso dire che mi ha messo veramente paura. Il primo da anni a questa parte, forse dai tempi di Martyrs o di Alta Tensione di Aja. E la cosa difficile da spiegare è che lo fa con un impianto molto semplice, per non dire banale, che non mira a metafore “alte” (come un Martyrs appunto, un The Addiction o un Lasciami Entrare, forse omaggiato nel finale in piscina). Mitchell non pretende di spiegarci perché c’è il male nel mondo, non mira a farci sentire voyeur, complici del serial killer di turno, non critica la tecnologia, i social o le ingiustizie della società contemporanea. Vuole solo farci paura. E ci riesce da maledetto, facendoci vivere in uno quegli incubi in cui ci si sente perennemente inseguiti da qualcuno/qualcosa che ci vuole male, che è sempre sul punto di raggiungerci e da cui non c’è scampo. Esattamente, spiega lui, l’incubo infantile che sta alla base del suo soggetto e che ci induce inevitabilmente a domandarci da dove scaturisca la paura, ossia l’emozione stessa in un film.
Perché se guardo i comici di Ecceziunale Veramente in tv perlopiù non mi strappano una piega delle labbra, mentre l’elementare, squallidissima goffaggine da comiche del muto di Mr Bean mi fa scompisciare? Perché posso vedere decine di horror sviscerandone acutamente contenuti tematici e pregi cinematografici, apprezzandone stile e citazioni, trovandoli quindi “interessanti”, poi arriva ‘sto sconosciuto del Michigan e m’inchioda alla poltroncina con una trama che a raccontarla sembrerebbe l’ennesimo horroretto adolescenziale buono per una serata televisiva?
Giacché questa è la realtà: una ragazza del classico quartiere residenziale americano con villette a schiera (alla Halloween), dopo una notte di sesso col moroso (pure la classica sessuofobia dell’horror anni ’80?), scopre che lui l’ha solo usata per “passarle” questa inspiegabile e ineludibile maledizione (foto sopra): da quel momento in poi, in un qualunque luogo o momento della giornata, la ragazza comincia a vedere una persona che cammina, lentamente ma inesorabilmente, puntando verso di lei. E lei sa – gliel’ha spiegato il simpatico fidanzato – che se la raggiunge non c’è scampo. E noi ne abbiamo visto gli effetti nel prologo del film, in cui un’altra ragazza fugge inspiegabilmente di casa mezzo svestita e l’indomani mattina la vediamo in spiaggia orribilmente rotta come una bambola.
È praticamente l’unica scena davvero sanguinosa del film (e la vedete qui a lato): da lì in avanti Mitchell riesce a chiuderci in una prigione di ghiaccio con un’encomiabile misura negli effetti speciali e un parimenti lodevole dominio dei classici meccanismi della suspence: la lovecraftiana paura dell’ignoto (non sapremo mai cosa origini la maledizione né donde sia partita), del buio, di cosa ci potrebbe essere dietro l’angolo. E una trovata, geniale come sanno essere le idee semplici: la minaccia non è rappresentata da mostri “tipicamente” horror (un limite de La Madre, ad es.), bensì da individui (che cambiano continuamente col procedere della trama) molto comuni. Prima è una donna anziana (sotto a sinistra), che incede in vestaglietta bianca sul prato della scuola dove la protagonista assiste alle lezioni e la scorge dalla finestra. È una scena del tutto quotidiana, ma c’è qualcosa di sbagliato, un dettaglio in sé non mostruoso: intorno son tutti ragazzi, lei è una vecchia, e vestita da casa, non per passeggiare in pubblico. Poi arriverà una ragazza sconosciuta, che minaccia la povera Jay (Maika Monroe) in casa, strisciando sul pavimento del suo salotto un piede nudo e uno vestito da un calzino, occhi fissi e un seno scoperto, pisciandosi sotto dai calzoncini corti.
Né tentacoli, né volti putrefatti da zombie, né zanne bavose, capite: solo piccoli dettagli incongrui in uno sconosciuto che ti fissa e cerca di toccarti. Per ucciderti. Può essere un uomo nudo in piedi sul tetto di casa, o persino tua madre, che finisce (spoiler) l’amico Greg (Daniel Zovatto) in una scena incestuosa piuttosto perturbante (fine spoiler).
Qui sta la vera inquietudine, ottimamente sviluppata dal regista con ampi movimenti di macchina circolari sugli spazi che circondano la protagonista minacciata: non c’è nessun “mostro”, ma chiunque potrebbe essere la nuova incarnazione della maledizione in agguato. Cominciamo a dubitare di chiunque e ci basta notare in un angolo dell’inquadratura che c’è un qualcuno sfuocato che cammina su un vialetto fra le villette o in un parco mentre Jay coi suoi amici parlano fra loro sul da farsi, per iniziare a temere che quel qualcuno sia il messaggero di morte in avvicinamento. Solo quando anche gli amici della protagonista vedono un personaggio siamo sicuri che non si tratti della maledizione (le cui epifanie in marcia sono visibili solo alla vittima designata).
In un impianto così efficace, passano tranquillamente in secondo piano anche le piccole ingenuità che pure il film contiene: ad esempio, se voi vi sentiste minacciati da sovrannaturale condanna, pensereste di scappare pedalando di notte fino a un bel parco solitario, in cui vi mettereste a dondolare scalza su un’altalena come un succulento “boccone da mostri”? o forse Ma questa è la forza del cinema: quando la torta lievita bene, si sospende l’incredulità e si è tutti dentro la storia, accanto alla terrorizzata protagonista e ai suoi amici, credibili adolescenti contemporanei e non cliché buoni solo per il body count, come nei vari Final Destination o negli innumerevoli cloni di The Ring, che hanno adattato il concept della mortale catena di Sant’Antonio dalla VHS al cellulare, poi al social network e così via (esempi che pure sulla carta sembrerebbero poco promettenti ma chiari precedenti del film di Mitchell).
L’aver lodato l’efficacia di un’idea semplice non significa però che It follows sia un film girato senza raffinatezze, tutt’altro: dichiarato estimatore dell’Invasione degli Ultracorpi e di Velluto Blu, ed evidente fan delle foto di Gregory Crewdson, Mitchell ne riproduce brillantemente nelle sue inquadrature l’estetica al contempo lynchianamente cinematografica e glacialmente statica (vedi ad es. l’immagine della protagonista davanti alla casa nel magrittiano crepuscolo …), servendosi con grande astuzia del grandangolo, della carrellata circolare a 360 gradi in ambiente chiuso (la scuola) e del fuori fuoco sui misteriosi personaggi deambulanti (fotografia di Michael Gioulakis). Dipingendoci un ambiente desolato di una Detroit allegra quasi come quella di Jarmusch, che pare abitato dai soli ragazzi, in cui gli adulti e la polizia latitano come nel quartiere dei Peanuts. E omaggiando il Fantasmi di Coscarelli, oltre al mito Carpenter cui si rifanno i minimali, incombenti riff di sintetizzatore di Disasterpeace, che molto contribuiscono al levare della tensione quando serve il contributo sonoro.
Non tutto alla fine è chiaro: la maledizione è una metafora della scoperta del sesso? E se sì perché uccide? Ed è poi vero che col sesso la si “passa” ad altri partner o, come scopre il fidanzato “untore”, una volta “contagiati” non te ne liberi più? La scena della barca allude a questo tentativo da parte di Jay? Ma alla fine l’ignoto non si può spiegare pane al pane come un telefilm della Signora in Giallo, no? Se siete degli horror fan, It follows è sicuramente IL film da vedere ora, peccato che esca nel non proficuo periodo estivo perché potrebbe essere l’horror dell’anno.
Mario G