"Gli uomini hanno creduto per lungo tempo all'esistenza di un solo principio di natura spirituale da cui tutto dipende. Ma un giorno questi medesimi uomini, basandosi per questo sullo studio della musica, fanno una scoperta che sgomenta. Essi scoprono che l'origine delle cose è doppia, mentre essi la credevano semplice; e che il mondo, lungi dallo scaturire da un solo principio, è il prodotto di una dualità combinata."
(A. Artaud, da Lo scisma d'Irshu, in Eliogabalo o l'anarchico incoronato)
Si può danzare Caligola? Se Ferdinando Bruni (sua la voce registrata del monologo finale) lo ha interpretato nel 1997 in panni drag da Rocky Horror Show (a lato il prezioso libretto di sala dell'epoca) e ancora nel 2000 (con chioma-carciofo alla Nick Cave), allora forse si può.
E infatti Chiara Ameglio (Fattoria Vittadini) ne ha tratto una performance fra teatro danza e drammaturgia recitata che in solo un'ora si pianta nel nostro fianco come uno dei lavori teatrali più acuminati visti da un bel po' a questa parte (qui sotto un trailer, a sinistra la locandina).
Direte che il testo di Albert Camus sulla follia dell'"orgia del potere" di un imperatore dissennato nella sua brama inappagata d'assoluto - la passione incestuosa per la sorella Drusilla - sembra scritto proprio per la nostra epoca "disastrata e vile" (rispetto a cui peraltro la protervia dell'imperatore si staglia con un titanismo impensabile per i nani odierni).
Vero, ma ex ante l'operazione mi sembrava impervia; invece la Ameglio la vince alla grande, interpretando efficacemente, pur col suo atletico corpo femminile provocatoriamente esibito seminudo, il costante clima d'incertezza e di minaccia del tiranno che in qualunque momento può sfidare la tua disponibilità a piegarti ai suoi capricci: ci mangia ostentatamente un panino davanti agli occhi ferma in scena, dicendo "quel che mi sconcerta di voi è la pazienza".
Poi sfida uno spettatore in prima fila intimandogli di "non sbattere le ciglia!"
Le voci preoccupate di Cherea e degli altri senatori, efficacemente rappresentati in scena da palloncini neri legati a un filo e a una basetta a terra, tentennenano costantemente, le loro preoccupazioni vengono proiettate come frasi secche sullo schermo di fondo: "è giovane, rinsavirà." "E se non lo fa?" "Lo sostituiremo".
Chiara C. (Caligola) li passa in rassegna a passo d'oca, li strizza, li scopa, li fa scoppiare uno ad uno ("dice che vuole disporre anche delle nostre mogli"). Anche quelli che deformano il suo corpo "mostruosamente" - lo spettacolo conclude un'ideale trilogia sui mostri - facendola sembrare un Barone Vladimir Harkonnen del Dune di Lynch coperto di bubboni: emblemi della sua impossibilità di essere "normale".
Ma niente fantascienza qui: la tirannide striscia fra noi nel presente, non nello spazio remoto: scoccano satire meloniane ("chiamatemi IL presidente", e gira tenendosi dei finti testicoli sul pube, che poi taglia colando sul palco agghiacciante finto sangue rosso) e riferimenti a Gaza, alla Gaza che è in noi, sempre e comunque, anche quando c'illudiamo di ripulirci la coscienza con la deplorazione (purtroppo non ricordo l'esatta frase recitata in scena perché sarebbe valsa la citazione).
Camus finì l'ultima versione del sofferto testo nel 1958, presumibilmente avendo in mente il tiranno più recente, Hitler. Noi ci illudevamo che con la caduta del Muro di Berlino l'era dei mostri fosse finita per sempre ma ci sbagliavamo miseramente: il mostro umano è sempre pronto a risorgere in nuove forme, e sempre trova queruli senatori pronti a piegarsi al suo arbitrio.
La trentottenne Chiara Ameglio ha lavorato (con Marco Bonadei e Aureliano Delisi alla drammaturgia) su un testo in prosa, rendendolo su un piano prevalentemente fisico, lo performa personalmente mettendo in gioco il proprio corpo-mostro, lo recita su una scena essenziale quanto efficace. Personalmente resto molto impressionato dal risultato complessivo e anche dalla quantità di abilità che vanno messe in gioco per arrivare a un risultato così. L'unica cosa che non suona è la tromba, perché sul palco echeggia quella lunare e struggente di Miles Davis in Sanctuary (da Bitches Brew, 1970).
Purtroppo abbiamo visto l'ultima replica al Teatro Elfo Puccini, quindi le nostre riflessioni arrivano a luci ormai spente. Ma se riapparisse altrove, non fatevelo sfuggire (sapete come va coi tiranni).
Mario G
NB: foto di scena di Marcella Foccardi dalla gallery su elfo.org utlizzate per gentile concessione del Teatro e della Compagnia.
Foto della locandina e del programma di sala 1997 by MG.
La cit. in apertura proviene dal bel volume Artaud e i suoni della crudeltà, di Antonello Lello Cassinotti (ed. Ponte 43), presentato da Ombretta Diaferia @Il Salotto di Varese lo scorso sabato 28 gennaio nell'ambito di ALOUD A briglia sciolta 2024.