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La tagline del film dice “You are not welcome here” e il film lo racconta, ma la frase chiave attorno alla quale il film si evolve e si trasforma non è nella tagline, sta lì, in mezzo ai discorsi, si nasconde tra il tanto parlare che caratterizza l’inizio di “District 9” e tu la senti, dice “…a me non può accadere…”.
A noi non può accadere perché ciò che accade ci sta attorno, sta in TV, sta sulle pagine di un quotidiano, non pensiamo mai che noi potremmo essere i protagonisti di quei fatti che stanno in TV e sui quotidiani, non pensiamo mai che, a volte, ciò che sta attorno potrebbe anche toccarci o addirittura ingurgitarci: questa è la chiave del film. È un gioco di causa ed effetto, dove la causa è l’intolleranza e l’ignoranza dell’essere umano e dove gli effetti sono i più imprevedibili.
Questo gioco rende imprevedibile anche il film, che inizia con uno stile documentaristico che, tra interviste e testimonianze, ci racconta gli eventi che hanno portato alla nascita del Distretto 9, uno dei peggiori ghetti sulla Terra, dove sono stati rinchiusi gli alieni scaricati da un’astronave bloccata, in panne, sulla città di Johannesburg.
Non credo sia un caso la scelta dell’ambientazione, non è forse il Sud Africa il simbolo dell’apartheid? Perché è proprio quello a cui assistiamo, l’apartheid dei Gamberoni, così vengono soprannominati gli alieni, l’emarginazione totale, la costrizione a una vita di stenti e violenza. Vediamo i Gamberoni scambiare le loro armi con il cibo per gatti, che è tutto ciò che loro mangiano, avere a che fare con le peggiori specie di delinquenti, come quelli che ti tagliano a pezzi con un machete solo perché si sono alzati storti. E vediamo i Gamberoni che non usano quelle armi: armi che solo loro possono far funzionare perché costruite con un sistema biotecnologico, armi che potrebbero spazzare via i loro aguzzini eppure loro le scambiano e basta, in nome di una sopravvivenza che rispetta la vita… di tutti. Un rispetto che l’essere umano non ha, e nel film questo concetto viene espresso con una crudezza che dà i brividi, basta seguire il comportamento del protagonista Wicus (Sharlto Copley).
Un coraggioso e quanto mai realistico film che ci viene proposto da un regista e sceneggiatore - sceneggiatura scritta con Terri Tatchell - sconosciuto, Neill Blomkamp, un trentenne sudafricano che si rivela al mondo del cinema con la sua originalità, con un punto di vista della fantascienza che fa del realismo la sua forza e che, attraverso l’intelligenza di una fantasia che cerca nell’inverosimile la verità di ciò che siamo e come viviamo, crea una storia talmente sincera e impegnativa da essere quasi rischiosa. Ma Blomkamp supera il rischio della storia impegnata trascinandoci in un film in continuo movimento, crudo, oscuro, ricco da tutti i punti di vista.
Gli effetti speciali sono perfetti - i Gamberoni sono realizzati con il CGI -, i dialoghi sono forti, a volte persino commoventi, narrazione e dialoghi ben studiati che vanno ascoltati, perché riescono a rispondere a tutte le domande che la storia farà nascere nello spettatore; l’azione è incessante e le situazioni tanto realistiche da farci pensare e discutere parecchio, una volta usciti dal cinema.
Questo è un film di fantascienza come non vi aspettate: qui non ci sono attori hollywoodiani che riempiono lo schermo con le loro facce, ci sono attori sconosciuti che in quanto a talento e personalità cinematografica non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi; qui non ci sono eroi senza macchia che salvano la razza umana dall’invasione; questo non è un tipico film d’azione, questa è pura, vera, sorprendente fantascienza.
Cos’altro posso dire di “District 9”? Wow!!!
Debora Montanari