È un po’ che non compro riviste musicali in edicola, quindi potrei non essere aggiornato: non so se negli spazi delle recensioni dei dischi esistano ancora quelle “riserve indiane” dai titoli tipo Made in Italy o simili, concepite per riservare uno spazio agli album di artisti italiani, altrimenti sempre figli di un dio minore rispetto alle big thing d’Oltremanica od Oltreoceano.
Ammetto d’esser stato per anni una vittima eccellente di questa esterofilia, ma oggi mi chiedo perché poi? Gli articoli che abbiamo pubblicato di recente qui su dischi indie nostrani testimoniano di artisti non meno originali di quanto ci arriva ultimamente dalle capitali dell’Impero del Sound.
Prendiamo The Rest of Me di Dafne (copertina in apertura, foto interna qui a destra), voce epigona delle Patti Smith e PJ Harvey più crepuscolari: dopo essersi fatta notare con un primo album (Some Tales, di cui vedete la cover sotto a sinistra) – composto di pregevoli cover acustiche di classici di Velvet, Bowie, Eno, Waits, Cave, Robert Johnson, Bunnymen, ma anche dei più recenti Vedder, Cousteau, Radiohead e Muse – la malinconica ex avvocato bergamasca s’è spinta in mare aperto firmando le proprie composizioni.
Ok, i succitati numi tutelari definisco molto bene il “perfumed garden” sonoro di Dafne, ma per affrontare cotanti riferimenti ci vuole classe e la sua – come si suol dire – non è acqua. Per cui osiamo una provocazione che sorge così, spontanea: avete ascoltato l’ultimo album di Marianne Faithfull, Give My Love To London (la cui copertina vedete qui a destra)?
Disco godibilissimo e del tutto all’altezza di “her satanic majesty”, beninteso. Solo che per metterlo insieme, la 68enne ex Miss Jagger ha potuto raccogliere intorno a sé autori come Nick Cave lui même, Leonard Cohen, Roger Waters, Steve Earle e una “figlioccia” di talento ormai indiscusso come Anna Calvi; facendolo poi suonare ad Adrian Utley (Portishead), Rob Ellis (PJ Harvey), Warren Ellis e Jim Sclavunos (Bad Seeds), Ed Harcourt e la stessa Calvi, fino a guru del suono come Brian Eno e Flood. Non per togliere alcunché alla charmante Marianne, di cui il sottoscritto è un fan da anni e che anche dal vivo vale la sua fama, ma con cavalieri alla propria tavola, come può venir fuori un brutto disco?!
Dafne invece ha fatto tutto da sola, sostenuta solo dai meno blasonati Paolo Filippi (chitarra), Paolo Legramandi (basso), Diego Zanoli (fisarmonica, nella foto a lato), Sergio Pescara (batteria), Cisco Portone (percussioni), Yuri Goloubev e Massimo Moriconi (contrabbasso) e Antonio Leofreddi (viola); i quali provengono da background differenti – rock, folk, jazz e classica – come secondo me traspare per esempio da una citazione classica come il motivo del Cigno di Saint Saens nell’accompagnamento di Sitting in my Car (anche se l'artista ci spiega che "se c'è è del tutto involontaria, non pensavo al Cigno quando ho scritto la melodia per la viola di quel brano").
Ma che circondano il piano, il guitalele (ukulele a 6 corde) e le percussioni suonate dalla cantautrice attagliandosi alle sue atmosfere brumose come una vera band di Tom Waits ai tempi di Rain Dogs (anche se certo non dirompenti come fu l’album dell’orco californiano per la canzone d’autore blues nel lontano 1985).
Sicché, anche senza sfoggiare star di culto nei credit, raggomitolata nella sua cameretta (da cui ci piace immaginare provenga la tappezzeria che fa da sfondo al booklet coi suoi sofferenti testi) e abbracciata alla sua bambola (lei stessa, in Me and my doll), Dafne (ai lati in due foto live) non ci fa mancare niente, evocando il gotha delle summenzionate eroine del buio: Patti, Marianne, una Polly unplugged, una punta di Tori Amos (al piano in Hanging) e magari una della stessa Anna Calvi (meno urlata). Ma non lasciatevi depistare da tutti questi paragoni, usuale via di salvezza del recensore: quello di Dafne è un talento autentico e personale. {mosimage}
Un disco italiano di cui andar fieri, speriamo che trovi la via di un meritato riconoscimento anche fuori dei confini nazionali, cui ha diritto d’aspirare, non solo grazie al cantato in inglese e ai nobili riferimenti.
Mario G