Il Trieste Science+Fiction Festival 2019 è terminato domenica 2 colla consegna del premio Asteroide alla carriera all’effettista Phil Tippett e la proclamazione dei film premiati di quest’edizione, su cui noi non aggiungeremo un rigo perché purtroppo non sono fra quelli che siamo riusciti a vedere nel corso della nostra presenza al principale cinefantafestival italiano, legata alla presentazione (l’1 novembre nell’ambito degli incontri di Futurologia, ottimamente moderato dall’appassionato e competente Alessandro Mezzena Lona) del dittico FantaRock/S.O.S., su cui potete già leggere l’esauriente reportage di Gianvito di Muro su Sentieri Selvaggi.
Ci dedicheremo quindi a darvi conto di qualche pellicola che invece siamo riusciti a vedere e che ci sentiamo di segnalarvi, anche se alla fine non è stata premiata dalla giuria presieduta dal veterano Brian Yuzna, né dagli amici/media partner di Wonderland e di Nocturno. Film in cui – sarà un caso – ritorna un paio di volta il tema del “super-antieroe”: ossia, le trame prevedono la presenza di personaggi dotati di facoltà particolari, ma la costruzione drammaturgica dei personaggi ci rivela che “a grandi poteri” non corrispondono “grandi responsabilità (immortale massima di Stan Lee per l’Uomo Ragno) ma perlopiù grandi sfighe: emarginazione, alienazione, una vita da “diversi” e nessuna chance, forse nemmeno il sogno, di salvare il mondo da alcun “supercriminale”. Ma neanche di opporsi credibilmente ai cattivi comuni che assediano il nostro quotidiano, come miseria, ingiustizia sociale e leggi inique.
Code 8
In particolare, speriamo che trovi modo d’essere visto anche da chi a Trieste non c’era il bellissimo Code 8 di Jeff Chan (ai lati due poster): film indipendente canadese, prodotto in crowdfunding con circa 2 milioni di dollari, ma brillantemente realizzato dal regista senza che traspaia alcuna povertà di mezzi dalla sua messa in scena, neanche quando occorrono un po’ di effetti speciali (comparto da cui peraltro il Chan proviene). Forse perché questi ultimi alla fine non sono il fulcro del film, cui si partecipa con autentico trasporto non tanto per una rutilante spettacolarità quanto – come sempre – per la forza dei personaggi (ottime tutte le interpretazioni, anche senza nomi altisonanti) e dei loro drammi, perché sentiamo che potrebbero essere i nostri.
Infatti il punto non è se sappiamo generare un campo elettrico col pensiero, gelare un bicchier d’acqua in mano, sollevare un blocco di cemento colla telecinesi o fondere un tubo di metallo con un dito: è che – quali che siano le nostre migliori facoltà – a chi non è mai capitato di sentirsi messo all’angolo, in minoranza, inadeguato o schiacciato da qualche iniquità prepotente ma appunto tanto potente da sembrare invincibile? Ai drammi dei “super-ghettizzati” di Code 8) partecipiamo perché il problema di non aver abbastanza soldi per far curare una madre malata ci appartiene, anche se non siamo degli “elettrici” come il protagonista Robbie Amell (foto a sinistra); come il non trovare un lavoro decente per le nostre potenzialità, o come infine dover scegliere se infrangere delle leggi ingiuste per ottenere qualcosa di giusto e trovarsi dalla parte dei “supercriminali” senza volerlo.
Siamo lontani dalla “genesi di un supercriminale” del recente Joker (ma l’avete visto il geniale trailer del S+F?!): qui sembra piuttosto di assistere alle estreme conseguenze della filosofia dei Watchmen di Alan Moore e poi degli Incredibili, in un mondo livido e marcio, che non ha – e non vuole avere – proprio niente di “super”, nel quale le facoltà paranormali tanto diffuse fra la popolazione individuano piuttosto una classe di “handicappati” o “paria sociali”.
Blind Spot
È più o meno così – un handicappato più che un eroe – che si sente anche Dominick, nero francese che ha il potere di diventare invisibile nel meno coinvolgente ma sempre interessante Blind Spot (L’angle mort, anche qui poster originale e internazionale ai lati) di Pierre Trividic/Patrick Mario Bernard, che l’hanno presentato sul palco del Politeama Rossetti come un vero e proprio manifesto programmatico di “antieroismo Marvel”: infatti Dominick la sua particolarità la tiene ben nascosta, al punto da lasciar naufragare la relazione con una donna che lo amerebbe tollerando che lei pensi a chissà quale segreto piuttosto che svelarle l’inconcepibile; un potere che usa di tanto in tanto solo per spiacchiare cosa fanno i vicini di casa, una specie d’iperfinestra sul cortile, mentre passa le sue opache giornate facendo il magazziniere di quelle chitarre di cui suo padre era virtuoso suonatore e lui neppure strimpella.
Last Sunrise
Come dice il programma del Festival, “i supereroi non sono mai stati così vulnerabili”. Un segno di questi tempi grigi e privi di fiducia nel presente, figuriamoci in futuri luminosi? Sembrerebbe di sì, a giudicare anche da un altro film che coi superpoteri invece non c’entra affatto, ma molto valido e purtroppo dimenticato dai premi, come il cinese Last Sunrise di Wen Ren. Film che ci proietta in un futuro in cui addirittura il sole si spegne, condannando l’intera umanità a una tragica estinzione nel gelo siderale e nella sparizione dello stesso ossigeno. Umanità del tutto priva di superpoteri, che nel dolente lungometraggio cinese ci appare “super” solo nella terribile solitudine in cui vivono i protagonisti, benché (almeno all’inizio) affollati nei mini appartamentini della metropoli più popolosa del condannato pianeta.
Antieroi per antifumetti?
Un segno dei tempi, quello dei “supereroi vulnerabili”, che – si parva licet – ci ha fatto pensare al nostro primo progetto di storia a fumetti, che col S+F triestino non ha (ancora) nulla a che vedere, ma che ci accingiamo a scrivere insieme al disegnatore Tommaso Bianchi a favore della onlus I Supersportivi, la cui missione è quella di aiutare i soggetti con difficoltà motorie e relazionali a superare le proprie barriere attraverso la pratica sportiva. Cosa c’entra tutto ciò col festival della fantascienza? Presto detto: il fondatore della onlus Massimo Magnocavallo, che ne ha scelto il nome mica a caso, rifiuta di parlare dei “suoi ragazzi” come di “handicappati”, mettendo in evidenza come alcuni di loro, se ben allenati, possano esprimere risultati sportivi da far impallidire anche i “normodotati”; correre per chilometri mantenendo basse pulsazioni come non sentendo la fatica, attraversare a nuoto lo stretto di Messina… cose “da supereroi” appunto.
E proprio da questa riflessione è nata l’idea di narrare questo mondo attraverso un fumetto che, spostando nel fantastico il concetto di barriera da superare, andasse oltre il consueto pietismo con cui di solito si guarda questa realtà. Praticamente l’operazione speculare alla sceneggiatura scritta da Chan per Code 8: lui ha immaginato persone con superpoteri imbrigliate nelle barriere del quotidiano, mentre noi stiamo sviluppando “barriere fantascientifiche” per mostrare come dei “supereroi” senza poteri speciali riescano a superarle attraverso un fantastico sforzo di volontà.
E visto così il mondo sembra già meno cupo e disperato forse.
Naturalmente, da qualunque parte della barriera vi troviate, un’immersione nel sempre più strabiliante Science+Fiction Festival (una macchina organizzativa e spettacolare strabiliante per ricchezza e proposte) sia sempre uno sforzo più che ripagato.
Mario G