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Sei ancora una volta col naso incollato alla vetrina del tuo negozio di dischi di fiducia, da lunghi minuti.
Certo, non si parla dell’oggi, la scena sa di vintage, quasi di steampunk, ma chi come il sottoscritto ha vissuto l’era del vinile (e poi quella ‘in piccolo’ del cd) ha certamente ben stampati nella memoria i ricordi di quelle emozioni: la curiosità per qualche disco sconosciuto – allora non era tutto immediatamente scaricabile solo volendolo – il desiderio proibito dell’oggetto – magari a 13 anni non si avevano le 5.000 lire necessarie intorno al ’77 per un 33 giri! – nutrito e potenziato da un’immagine di copertina che ci rapiva: surreale, sexy, orrida, shockante, magari ‘proibita’ a sua volta…
Quante volte è accaduto, quante volte ci siamo tolti da grandi lo sfizio di procurarci – magari proprio nello storico vinile – un disco che avevano filato per mesi in quella vetrina? A me è accaduto di recente, per esempio coi due Kiss Alive, Unleashed In The East dei Judas Priest (Rob Halford in quel look da biker così ‘punk’) o Brain Salad Surgery degli Emerson Lake & Palmer, colla sua goticissima cover di quel genio del Giger, in seguito usato da Debbie Harry, Celtic Frost, Danzig, Tryptikon...
Qualche volta, ammettiamolo, una copertina ci ha attratto più (o prima) del suo contenuto. Qualche volta facendoci scoprire un disco indimenticabile ancor prima della lettura di recensioni giubilanti sulla stampa specializzata o delle lodi sentite dagli amici ben informati. Qualche altra lasciandoci sul palato l’amaro guilty pleasure d’una solenne ciofeca profumatamente pagata proprio in nome di quella cover.
Difficile scelta, difficilissima, ce n’è così tante… e poi relativa, mutevole col tempo e coll’evolvere dei canoni di buon gusto, comune senso del pudore, tolleranza di censura etc. Chi oggi si scandalizzerebbe tanto per il cesso graffitato dei Rolling Stones (Beggars Banquet) o per i Beatles vestiti da macellai coi bambolotti scannati addosso? Per Lennon e Yoko nudi o per le venti donne nude di Electric Ladyland di Jimi Hendrix?
Ecco, per quanto possa essere soggettivo e relativo il discorso, siamo andati a scegliere delle cover che – indipendentemente da quando sono state pubblicate (o censurate) – anche guardate oggi possano ancora far aggrottare la fronte al benpensante.
Ci riprovarono esattamente 10 anni dopo i tedeschi Scorpions, campioni di quel sessismo macho che – magari generalizzando – è da sempre considerato consustanziale al mondo metal: qui vedete la loro geniale Lovedrive – copertina creata dall’immortale Storm Thorgerson per Hipgnosis (sopra a destra), lo studio che ci ha dato le stroiche copertine dei Pink Floyd (ma anche di Genesis, Yes, UFO, XTC…) – provocatoria e allo stesso tempo ironica.
Ma con Virgin Killer (qui a sinistra) i teutonici osavano troppo: la bambina nuda coperta solo dalla crepa nel vetro veniva subito ritirata e oggi un vinile con quella cover credo si acquisti a quotazioni da Van Gogh!
Per esempio, lo usano i Coven nella loro “scandalosa” copertina di Witchcraft Destroys Minds & Reaps Souls, l’album che nel ’69 apre le danze delle streghe (da cui il nome della band, per inciso) del rock satanista che tanta fortuna avrà di lì in avanti fino a Marilyn Manson e al black metal norvegese. E che, sull’altare sacrificale dispone una bella ragazza nuda. La vedete in alto, col suo interno shock, sono la coppia di immagini sotto il titolo.
Di pupe nature le copertine del rock son piene in ogni epoca, si diceva, e - vinta finalmente la battaglia con la censura colla rivoluzione sessuale negli anni '70, col punk è valanga: guardate la provocatorietà della cover di Songs About Fucking (chiaro il titolo?!) dei Big Black, fronte e retro (sopra a destra e a sinistra).
Insomma, insomma... provate a cercare nei negozi italiani una copia dell'italianissimo album Harshlizer (a destra) degli Alien Vampires, campioni di quella ebm che infiamma i dance floor alternativi e goth e declina il verbo glaciale della new wave elettronica degli '80 (loro erano in concerto a Milano proprio in questi giorni, tra l'altro). Sesso lesbo, fetish e profanazione del crocefisso tutto insieme. Mica male, anche nel 2010 no?
Solo i Dwarves di Dwarves Must Die, nel 2004, riescono a vilipendere in una sola copertina la religione (la croce), il femminismo (le gnocche biotte, un must delle loro copertine) e l'altro tabù contemporaneo: il politically correct verso l'handicap (il nano crocefisso). E per questa inaccettabile miscela si conquistano l'onore dell'immagine di copertina del nostro articolo (la vedete in apertura infatti).
Certo, l'hardcore punk non è stato tenero anche con gli altri valori tradizionali: la famiglia media, ad esempio, come mostra la delicata copertina di Family Man dei Black Flag del giovane Henry Rollins qui a destra.
Che resta ancora? La Morte, no? Ovvio, morte, sangue, assassini, crimini, corpi squartati ed altre efferatezze sono merce quotidiana, in certo HC americano ma soprattutto nell'iconografia horrorista del metal: anche qui ci sarebbe da riempire un tomo di teschi, cadaveri, scheletri eccetera. Per fortuna c'è uno che l'ha già fatto: è Cristian Campos, con la sua Antologia Grafica di Metal e Hardcore (ed. Logos, costa sui 50 € se non lo trovate scontato com'è capitato a me, ma li vale tutti), la più completa enciclopedia dell'immaginario grafico del rock estremo, con copertine, poster, magliette, loghi e tatuaggi, oltre alle interviste agli artisti autori delle copertine stesse.
Noi nel nostro piccolo ci limitiamo a mostrarvene solo due (non presenti nel libro), che continuiamo a ritenere fra le più oltraggiose della storia della musica: la prima è Tomb of the Mutilated, dei Cannibal Corpse (una discografia all'insegna dello splatter fumettistico più efferato), con quel cadavere che si trascina verso un improbabile cunnilingus alla morta straziata pure lei (a sinistra).
Mario G