The King of Nekropolis è il titolo della graphic novel scritta e disegnata da quel genio obliquo e slavo di Danijel Zezelj e pubblicata da Hazard nella nuova collana Contemporanea.
Ambientato nella tentacolare città di Nekropolis, la storia è incentrata sulla figura dell’investigatore privato Ras Casal.
Inseguito da demoni e ricordi e sempre sull’orlo della follia, Ras è compleatamente assuefatto all’uso di farmaci, viene ingaggiato dal professor Noah per cercare di trovare un vecchio collega, Theobald Hall. Hall è un brillante scienziato informatico probabilmente vittima del governo e scomparso in circostanze misteriose. La caccia alla ricerca di Theobald ha inizio e sarà una lunga discesa all¹inferno per Ras...
Gli elementi della cosiddetta fantascienza moderna ci sono tutti: l’indagine (elemento narrativo thriller), un detective sofferto e maudit (elemento atmosferico noir), una misteriosa droga sintetica dalle potenzialità sconfinate (l’invenzione futuribile), nata dal sogno faustiano di un genio della ricerca, poi piegata a scopi militari (elemento politico-cospiratorio) da un oscuro, ineludibile potere orwelliano (elemento politico di contesto). Il tutto ambientato in una minacciosa metropoli labirintica e degradata, molto bladerunneriana.
Cose nuove? Tutt’altro: come dice Francesco Lato di Robot, “ormai non si scrive più una storia di s/f senza miscelarla con l’impianto del noir”, come dimostrano anche i titoli di autori italiani recentemente pubblicati da Urania (come Infect@ di Tonani e Sezione Pi-quadro di De Matteo, che vi abbiamo presentato qui).
Quindi, a vole essere maligni, potremmo dire che Zezelj per il suo debutto nel fantathriller ha ricucinato degli ingredienti ormai classici da 20 anni, ossia dalla nascita del cyberpunk. Si potrebbe anche dire che questi elementi, nelle abbaglianti luci che squarciano ombre drammatiche di uno che renderebbe espressionista anche la piantina del cesso di casa tua, rendono le sue tavole palpitanti e d’impatto comunque.
Ma non è tutto qui: King of Nekropolis non è “una storia banale disegnata da dio”. Anzitutto, il protagonista è un nero e il cliente dell’indagine un ebreo, elemento razziale che è piuttosto raro nella s/f (personalmente, mi viene in mente solo la raccolta Futureland del nero Walter Mosley) e che offre al disegnatore la possibilità di prodigarsi negli scorci di squallidi slum “da negri” e in interni di locali jazz in cui eccelle (e che la fan da padroni ad es. nel suo Small Hands).
Poi, l’indagine si stringe intorno al collo del detective un po’ come quella di un Angel Heart futuribile e senza l’occulto: uno schema più usato nei noir “dei maledetti” che nella s/f; qui forse è l’apocalittico L’Impostore di Dick il riferimento dell’indagine-autoindagine, per quanto anche Gli orrori di Omega di Sheckley…
Ma il vero punto forte della storia non è tanto la possibilità o meno di trovarvi riferimenti nella storia del/dei genere/i, bensì il coraggio dell’autore nell’andare fino in fondo, spremendo dai suoi ingredienti narrativi un affresco di straziante malinconia esistenziale e disperata solitudine (temi forti del disegnatore), che fanno di lui un autentico Céline delle nuovle parlanti. Che, quando t’accosti ai suoi drammi, anche se ne riconosci gli elementi costitutivi, sa far sì che tu non riesca più a staccartene fino alla fine, come se li scoprissi per la prima volta.
Come dire, nel passato stanno i germi del futuro che ci stiamo preparando, dato che non impariamo mai niente?
Mario