Ve li ricordate i Ripper? No? È possibile, del resto, il loro debutto …And The Dead Shall Rise nel 1986 (eccoli qui a lato nella loro forma vintage) di certo non ha insidiato seriamente la popolarità di Master Of Puppets, ma neanche di Fatal Portrait di King Diamond. Eppure, non avrebbe dovuto dispiacere ai rispettivi fan, come anche a quelli dei Misfits (notate i look confrontando le foto d’epoca ai lati) o del contemporaneo Atrocities dei Christian Death, che nell’éra Valor hanno costituito un punto di contatto fra gothic metal dell’epoca ed evoluzioni della dark wave. Con titoli come “La Morte ti aspetta”, “Sinistro Ministro”, “Halloween” e un look teatrale degno del gran maestro Alice Cooper (e dei circa contemporanei Death SS in Italia), i Ripper (Squartatore) cavalcano infatti fieramente atmosfere horror irte di riferimenti romeriani e carpenteriani.
Ingiustizie della musica, il loro gioco non accese il pubblico come avevano fatto gli altri cattivoni sopra citati e il gruppo si inabissò, senza fare a tempo neppure a pubblicare il secondo album che, dice il cantante stava già componendo. E che non avremmo mai conosciuto, se la genovese Black Widow nel 2003 non avesse contattato il gruppo per ristampare quel piccolo cult perduto. E così… The Dead Have Rizen, questo il titolo con cui la band torna in scena, spiritosamente citando il debut album con un riferimento ironico a se stessi. La formazione è stata rimaneggiata: è andato perduto il mix voce maschile/femminile, garantito sul primo album dalla bassista Sadie Paine. Ma l’impianto sonoro è sostanzialmente quello: si è forse ridotta la componente punk, probabilmente solo perché l’album suona meglio grazie a una produzione più matura e a tecniche di registrazione meno “naïf”, ma alla fine questo è ciò che i Ripper vogliono essere, una band di maleducato horror metal, ideale per accompagnare una lansdaliana notte al drive-in, zeppa di zombie e seghe elettriche. Infatti il secondo album contiene anche una cover del tema di Phantasm di Coscarelli.
E ancora Black Widow dà ora alle stampe il terzo capitolo della Ripper-saga: Third Witness che – spiega il leader Rob Graves nelle note al disco – cerca la definitiva fusione fra l’horror metal storico dei texani e le sonorità più aperte tipiche dell’etichetta ligure. “Senza sacrificare il tipico timbro Ripper abbiamo seguito la linea di incorporare sonorità che dal doom abbracciassero anche elementi del prog storico” (attraverso le aperture del synt di Stephen Bogle, aggiungiamo noi). Ciliegina sulla torta, sulla carta l’album avrebbe dovuto essere interamente cantato proprio da Steve Sylvester (qui a destra) dei citati Death SS, perfetta saldatura fra due band quasi gemelle ad un oceano di distanza.
Purtroppo, altri impegni extra musicali del demoniaco cantante pesarese hanno ridotto la sua partecipazione alla cover dei Black Sabbath, Sabbath Bloody Sabbath (dall’omonimo album del ’73, evidentemente un monumento per l’intera congrega), ma la sua voce si staglia squillante e “ozzyana” in chiusura di disco. Quindi, nelle altre sette tracce, però, al microfono figura un nuovo cantante: “Rus Gib è stato reclutato dai Ripper – continua Max Gasperini della Black Widow – perché le nuove canzoni, scritte per Sylvester, erano su un registro troppo acuto per Rob Graves, che quindi in quest’album suona tutte le parti di chitarra e basso”.
A dispetto di tutti questi sommovimenti, il sound dei Ripper alla fine è sostanzialmente quello: probabilmente gli zombie texani non saprebbero suonare altro nemmeno se li si… mordesse a sangue! Colonna sonora ideale (in cui io segnalerei Morphinia e Cryptonight) per un bell’horror con emoglobina versata a litri.
Oppure,visto che la scena cinematografica ultimamente è un po’ avara in materia (ma si attende il nuovo 31 di Rob Zombie), per leggersi i racconti “Scritti Con Il Sangue” da Francesco G. Lugli (ed. Dunwich, copertina qui a fianco), che declina in chiave moderna tutti i topos dell’orrido (gotico, fanta, distopico, mostri lovecraftiani, zombie “familiari” etc.).
Third Witness non cambierà la storia del rock come non indica nuove strade, ma rinforza egregiamente quella sottile sutura che unisce metal e punk, o se preferite Dio e Danzig (anche se la voce di Rus Gib resta ben lontana da ambedue, io se mai la accosterei proprio a quella di un Valor Kand più incline all’hard), inseguendo voli notturni di pipistrelli assetati.
Mario G